tirocinio infermieristico e richiesta di risarcimento del danno per valutazione negativa del tirocinio

03/03/2020 n. 1549 - Consiglio di Stato - sezione IV

Dalla riscontrata illegittimità dell’atto è, in aderenza alla concezione normativa oramai più ampiamente condivisa, un indice di colpa dell’amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l’illegittimità in cui l’apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all’amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l’assenza di colpa. Si afferma cioè che la riscontrata illegittimità dell’atto rappresenta, nella normalità dei casi, un elemento idoneo a presumere la colpa della P.A, spettando poi a quest’ultima l’onere di provare il contrario (ex multis, Cons. Stato, III, 22 ottobre 2019, n. 7192; id., V, 30 giugno 2009, n. 4237; id., IV, 6 aprile 2016, n. 1356).

La colpa della pubblica amministrazione va quindi individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (da ultimo, Cons. Stato, III, 15 maggio 2018, n. 2882; id, III, 30 luglio 2013, n. 4020). Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 gennaio 2013, n. 23; id., V, 31 luglio 2012, n. 4337).

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Con ricorso iscritto al n. 238 del 2014, l’Università degli studi di Torino propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, 23 maggio 2013 n. -OMISSIS- con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso proposto da -OMISSIS- per il risarcimento del danno subìto in conseguenza del giudizio negativo sul tirocinio, espresso il 27 luglio 2007 dall’Università di Torino nell’attività formativa del ricorrente per il conseguimento della laurea in Infermieristica, con atto dichiarato illegittimo dal TAR Piemonte con sentenza n. 1808/2008.

Con ricorso notificato il 2 ottobre 2009 e depositato il 20 ottobre 2009, -OMISSIS- ha riferito di essersi iscritto nell’anno accademico 2006/2007 al corso di laurea in Infermieristica della Facoltà di medicina dell’Università di Torino, tenuto presso la sede distaccata di Cuneo; di aver superato il primo modulo di tirocinio pratico previsto nel corso del primo anno di studi; di non aver superato, invece, il secondo modulo previsto nel corso dello stesso anno, con la conseguenza di non essere ammesso a sostenere l’esame finale propedeutico all’ulteriore seguito degli studi; di aver impugnato il predetto giudizio negativo dinanzi al T.A.R. per il Piemonte ottenendone l’annullamento con sentenza 17 luglio 2008, n. 1868, passata in giudicato.

Tanto premesso, il ricorrente ha convenuto dinanzi allo stesso T.A.R. l’Università degli studi di Torino per sentirla condannare al risarcimento dei danni asseritamente sofferti in conseguenza dell’illegittima bocciatura, danni complessivamente quantificati in € 29.954,00 oltre il danno biologico da quantificare mediante CTU, fatta salva una diversa quantificazione giudiziale.

I danni sono stati così partitamente individuati:

A) danni patrimoniali:

a) quanto al danno emergente:

– spese sostenute per il trasferimento presso l’Università di Genova in conseguenza del grave disagio ambientale: spese sostenute per ottenere l’autorizzazione al trasferimento presso la predetta Università (€ 60,00); tasse universitarie di iscrizione (€ 1.901,02); spese per la locazione di un alloggio a Genova per la durata di 19 mesi (€ 8.075,00); acquisto dei nuovi testi di studio (€ 340,00); spese di viaggio per il periodico rientro in famiglia e quelle di sostentamento fuori casa (non quantificate);

– contributo ONAOSI di sostentamento allo studio (€ 3.978,00), perso a seguito della ripetizione dell’anno scolastico;

b) lucro cessante: perdita di chance conseguente al ritardato ingresso nel mondo lavorativo con un anno di ritardo, quantificabile con riferimento all’importo stipendiale iniziale di un infermiere professionale, pari a € 15.600, oltre al correlato versamento previdenziale;

B) danni non patrimoniali:

– danni conseguenti alla “grave depressione reattiva da stress post traumatico” diagnosticata al ricorrente quale “conseguenza dell’ingiusta bocciatura”; patologia che ha costretto il medesimo ad un pesante trattamento farmacologico e ad interrompere le sue attività di studio su espressa indicazione dei medici curanti.

In via istruttoria, il ricorrente ha prodotto documentazione (tra cui alcuni referti medici e una perizia medico-psichiatrica), ha chiesto disporsi CTU per l’accertamento e la quantificazione del danno biologico e ha dedotto prova per testi.

Si è costituita l’Università degli Studi di Torino, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, contestando il fondamento del ricorso ed invocandone il rigetto. Secondo la difesa erariale difetterebbero, nella specie in esame, i presupposti di legge per la risarcibilità del danno invocato dal ricorrente, avuto riguardo, in particolare, ai seguenti profili:

– insussistenza di colpa o dolo della P.A:. il giudizio formulato sarebbe stato verosimilmente identico anche se formulato quattro giorni dopo;

– concorso di colpa del danneggiato nella causazione del danno, ex art. 1227 c.c. e art. 30 c.p.a.: il ricorrente non ha formulato domanda cautelare nel giudizio di impugnazione della bocciatura, con la quale avrebbe potuto paralizzare gli effetti della bocciatura imponendo all’amministrazione il riesame della propria posizione; inoltre, il ricorrente non si è nemmeno avvalso della facoltà di effettuare lo “stage di recupero” durante lo stesso anno accademico, come previsto nella “Guida di orientamento al tirocinio” (documento conosciuto dall’interessato perché dallo stesso prodotto nel giudizio di annullamento);

– insussistenza nel nesso di causalità tra l’atto amministrativo annullato e il pregiudizio asseritamente sofferto, tenuto conto che il trasferimento a Genova non era affatto ineluttabile e che l’asserito danno biologico non è verosimile né comunque provato; lo stesso lucro cessante è ricollegato a circostanze ipotetiche ed astratte.

In prossimità dell’udienza di merito del 7 aprile 2011, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha illustrato le singole voci di danno, includendo tra i danni non patrimoniali anche il “danno morale soggettivo”, da liquidarsi in via equitativa.

Con ordinanza collegiale n. 405 del 21 aprile 2011 il T.A.R. ha disposto l’acquisizione a cura della segreteria del fascicolo processuale relativo al ricorso n. 1209/2007 e ha disposto verificazione tecnica, ai sensi dell’art. 66 c.p.a., per l’accertamento dell’asserito danno biologico dedotto dal ricorrente, affidando l’incarico al Servizio di Medicina Legale dell’ASL TO1.

L’ente verificatore ha depositato la propria relazione conclusiva in data 22 dicembre 2011.

Tuttavia, con successiva ordinanza collegiale n. 454/12 del 19 aprile 2012, in accoglimento di una specifica eccezione formulata dalla difesa erariale, la Sezione ha dichiarato “inutilizzabile” la predetta relazione per violazione delle regole del contraddittorio processuale (in particolare, i medici verificatori avevano proceduto all’esame psichiatrico del ricorrente in presenza dei soli consulenti di parte attrice, senza darne avviso alla difesa erariale, e successivamente avevano omesso di trasmettere lo schema della relazione di verificazione alla difesa erariale, che pure l’aveva espressamente sollecitata, violando una precisa prescrizione dell’ordinanza di verificazione), e ha disposto con separata ordinanza n. 488/2012 del 20 aprile 2012 l’integrale rinnovazione della verificazione con diverso verificatore (ASL TO 3).

La nuova relazione di verificazione è stata depositata in data 12 dicembre 2012.

In prossimità dell’udienza di discussione, la difesa erariale ha depositato un nuovo documento e una memoria conclusiva.

All’udienza pubblica del 18 aprile 2013, la causa è stata discussa e decisa con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva parzialmente fondata la domanda risarcitoria proposta in relazione alle infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione ai solo danni non patrimoniali (morale soggettivo e biologico), dedotti dal ricorrente anche con l’ausilio di una perizia psichiatrica di parte, e confermati in giudizio dagli esiti della verificazione tecnica disposta dal Tribunale.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.

Nel giudizio di appello, si è costituito -OMISSIS-, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Dopo la notifica in data 15 gennaio 2019 dell’avviso di perenzione ultraquinquennale di cui all’art. 82, comma 1, c.p.a., la difesa erariale depositava in data 15 luglio 2019 una nuova istanza di fissazione dell’udienza di trattazione.

Alla pubblica udienza del 6 febbraio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO
1. – In via preliminare, va precisato il thema decidendum del presente appello, che è limitato allo scrutinio di fondatezza del risarcimento riconosciuto dal T.A.R. in merito alle sole voci di danno ritenute acclarate dalla sentenza gravata.

Infatti, di fronte alla richiesta formulata in ricorso, il primo giudice non ha riconosciuto la risarcibilità dei danni patrimoniali vantati (e su tale capo di sentenza non vi è stato appello, con conseguente giudicato interno) mentre ha accolto la domanda solo su quelli non patrimoniali, su cui incide il ricorso erariale.

Pertanto saranno oggetto di questo giudizio unicamente le doglianze in relazione alle voci di danno non patrimoniale riconosciute dal T.A.R..

2. – Nei limiti sopra indicati, l’appello è parzialmente fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

3. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.”, viene lamentata l’integrale erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto sussistenti i presupposti per l’affermazione di una responsabilità dell’Università nella vicenda in esame.

In particolare, il giudizio sull’esistenza del comportamento colposo rilevante ai fini della sussistenza di un danno risarcibile sarebbe stato emesso all’esito di una interpretazione non corretta della precedente sentenza del T.A.R. del Piemonte, 17 luglio 2008, n. 1868, che nulla aveva affermato in merito alla colpa stessa.

3.1. – La doglianza va respinta.

Nella fattispecie in esame, può farsi applicazione delle regole oramai consolidatesi in tema di riconoscimento della colpa della pubblica amministrazione a seguito di annullamento del provvedimento per ragioni formali.

In questi casi, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che l’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo per vizi formali (che in questo caso coincidono con un vizio procedimentale, dato dalla mancata osservanza del termine finale per la valutazione del ricorrente), non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può pertanto costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno (ex multis, Cons. Stato, V, 23 marzo 2018 n. 1859; id., ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13; id., III, 23 gennaio 2015, n. 302; id., IV, 8 febbraio 2018, n. 827; id., IV, 4 luglio 2017, n. 3255; id., IV, 6 febbraio 2017, n. 489; id., V, 27 novembre 2017, n. 5546; id., V, 17 luglio 2017, n. 3505; id., V, 6 marzo 2017, n. 1037; id., V, 15 novembre 2016, n. 4718; id., V, 23 agosto 2016, n. 3674; id., V, 10 febbraio 2015, n. 675; id., V, 14 ottobre 2014, n. 5115; id., VI, 30 novembre 2016, n. 5042).

Ciò che invece può dedursi dalla riscontrata illegittimità dell’atto è, in aderenza alla concezione normativa oramai più ampiamente condivisa, un indice di colpa dell’amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l’illegittimità in cui l’apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all’amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l’assenza di colpa. Si afferma cioè che la riscontrata illegittimità dell’atto rappresenta, nella normalità dei casi, un elemento idoneo a presumere la colpa della P.A, spettando poi a quest’ultima l’onere di provare il contrario (ex multis, Cons. Stato, III, 22 ottobre 2019, n. 7192; id., V, 30 giugno 2009, n. 4237; id., IV, 6 aprile 2016, n. 1356).

La colpa della pubblica amministrazione va quindi individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (da ultimo, Cons. Stato, III, 15 maggio 2018, n. 2882; id, III, 30 luglio 2013, n. 4020). Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 gennaio 2013, n. 23; id., V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Nel caso in esame, il primo giudice ha correttamente evidenziato, secondo una stringente opzione ermeneutica che la Sezione condivide, come nel giudicato deducibile dalla citata sentenza n. 1868 del 2008 fosse presente una considerazione esplicita, in quanto quel giudice aveva rilevato che “Nulla esclude … che nei quattro giorni lavorativi rimanenti il tirocinante potesse recuperare le prestazioni fino a quel momento negative”. Con ciò collegando direttamente l’evento lesivo con la mancata osservanza del termine conclusivo per la valutazione dell’attività della parte.

È quindi corretta, e come tale va condivisa, la decisione nella parte in cui ha ritenuto che la sussistenza della colpa amministrativa, nel senso normativo sopra esplicato, fosse già evincibile dalla sentenza del T.A.R. del Piemonte, 17 luglio 2008, n. 1868 e, come tale, coperta dal giudicato.

La censura va quindi respinta.

4. – Con il secondo motivo di diritto, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e 2056 del c.c.”, viene lamentata l’erroneità della sentenza anche in relazione agli ulteriori presupposti per l’affermazione di una responsabilità dell’Università nel caso di specie.

Ciò viene dedotto, da un lato, in relazione alla circostanza che la proposizione di una domanda cautelare avrebbe potuto impedire ogni pregiudizio alla controparte, imponendo all’Amministrazione, con la sospensione dell’atto impugnato, il riesame della posizione dell’interessato; e dall’altro, dal fatto che l’originario ricorrente potuto recuperare lo stage nello stesso anno accademico, così come previsto nella guida di orientamento al tirocinio secondo la quale “gli stage di recupero possono essere effettuati durante lo stesso anno accademico (fine agosto – settembre), secondo la progettazione del tutor referente”.

4.1. – La censura è fondata nei limiti sotto meglio precisati.

In relazione alla prima parte della censura, quella di carattere escludente il risarcimento, va notato come la parte appellante invochi a suo sostegno il disposto dell’art. 30, comma 3, c.p.a., che stabilisce che “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’espletamento degli strumenti di tutela previsti”. A parere dell’appellante, tale disposizione, sebbene introdotta successivamente nell’ordinamento, rappresenta un principio generale valevole anche anteriormente alla sua esplicita adozione.

La questione è inconferente.

Sebbene non possa escludersi che la detta disposizione sia l’espressione positiva di un principio già valido ed applicato, è del pari vero che non possono essere condivisi gli esiti propugnati dall’amministrazione. Va qui ricordato che la giurisprudenza, proprio in relazione all’applicazione del citato art. 30, ha affermato che il riferimento agli “strumenti di tutela” al plurale deve essere correttamente inteso, non nel senso che il privato ha l’onere di attivare tutti gli strumenti di tutela astrattamente previsti dall’ordinamento (ivi inclusa, quindi, la tutela cautelare), ma, al contrario, nel senso che l’onere di ordinaria diligenza può essere assolto anche attivando uno (o solo alcuni) degli strumenti di tutela previsti, compresi persino, come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, anche quelli di natura non giurisdizionale (Cfr. Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011 n. 3), evidenziando inoltre come anche solo attraverso la proposizione del ricorso giurisdizionale, ancorché non accompagnato dalla domanda cautelare, possa essere assolto l’onere di ordinaria diligenza di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. e all’art. 1227, comma 2, c.c. (in termini, Cons. Stato, V, 27 dicembre 2017, n. 6078).

La detta affermazione permette di rigettare la censura anche in relazione alla mancata attivazione del meccanismo di riesame, quale fatto escludente.

5. – Migliore fortuna riscuote invece la seconda parte della doglianza, dove viene richiesto non l’accertamento dell’interruzione del nesso causale ma il concorso di colpa del danneggiato nella produzione dei danni sofferti (indicata a pag. 8 del ricorso in appello).

In questo caso, va notato come la valutazione del primo giudice sconti una contraddizione interna, inerente il modo del giudizio sul rapporto causale. Infatti, mentre nella sentenza 17 luglio 2008, n. 1868 il T.A.R. del Piemonte aveva affermato l’esistenza di una relazione eziologica, unendo il mero mancato rispetto del termine procedimentale con l’erroneità del giudizio di insufficienza (sulla base cioè un giudizio squisitamente formale, senza valutare le ragioni di merito proposte dall’Università), nella sentenza qui gravata il metro di giudizio è stato opposto e fondato su considerazioni probabilistiche, tanto da affermare che “È evidente, infatti, che a fronte di un atteggiamento preconcetto dell’organo valutatore, né l’uno né l’altro rimedio avrebbero potuto verosimilmente determinare un esito diverso da quello ‘precostituito’ accertato dal Tribunale.”

La discrasia tra il primo criterio (mero rispetto dell’ordine procedimentale) e il secondo (considerazione ipotetica degli esiti di un riesame) appare evidente, atteso che nel primo caso vi è un giudizio di corrispondenza negata con uno schema normativo mentre nel secondo una valutazione prognostica sul possibile sviluppo del procedimento amministrativo.

Appare quindi necessario, in termini di coerenza interna delle diverse pronunce, applicare ad entrambe le fattispecie lo stesso metro che, stante il passaggio in giudicato della sentenza del 2008, non può che essere quello della corrispondenza allo schema normativo.

Per cui, stante la mancata attivazione della richiesta di riesame, deve essere ritenuto sussistente il contributo causale del danneggiato, rilevante non come fatto escludente del risarcimento (come sopra già evidenziato) ma come diminuente, anche in considerazione della non prevedibilità dell’esito provvedimentale.

6. – Parimenti fondata è la doglianza, non espressamente rubricata, contenuta nell’ultima parte dell’appello, dove si lamenta una errata considerazione della rilevanza dell’evento, ossia l’esclusione dal corso di formazione infermieristica, nella causazione delle patologie ansiose lamentate.

In particolare, viene lamentata l’errata valutazione della verificazione disposta che avrebbe accertato, da un lato, la sola plausibilità del nesso causale e, dall’altro, il valore di mera concausa nella comparsa dei sintomi della malattia.

6.1. – La censura deve essere accolta.

Dalla lettura della citata relazione tecnica emerge come sussistano gli elementi indicati in appello in merito alla riconducibilità solo probabile e mediata tra il ritiro dal corso di studi infermieristici e la patologia vantata.

Nella relazione si narra, in ordine progressivo, di una mera plausibilità che “il giudizio scolastico negativo sia stata concausa della comparsa dei sintomi ansiosi”, dell’esistenza di “motivazioni più complesse e articolate rispetto alla presenza di una sintomatologia ansiosa” e che “i successivi disturbi ansiosi non sembrano tutti in connessione con l’evento considerato”.

È quindi palese come l’integrale considerazione del danno, come operata dal primo giudice, si ponga in contrasto palese con le conclusioni della perizia clinica e, per tale ragioni, debbano essere riviste.

Conclusivamente, anche l’ultima doglianza deve essere accolta.

7. – L’accoglimento delle ultime due ragioni, non idonee ad escludere in toto il nesso causale tra danno ed evento, comporta tuttavia l’obbligo del giudice di provvedere ad una diversa quantificazione del danno che tenga conto, da un lato, del concorso del danneggiato e, dall’altro, della valenza ipotetica e concausale del fatto nella causazione del danno.

Va così ricordato che, ai fini della determinazione della riduzione del risarcimento del danno in caso di accertato concorso colposo tra danneggiante e danneggiato in materia di responsabilità extracontrattuale, occorre – ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – porre riferimento sia alla gravità della colpa e che all’entità delle conseguenze che ne sono derivate. In particolare, la valutazione dell’elemento della gravità della colpa deve essere rapportata alla misura della diligenza violata e, solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali tra danneggiante e danneggiato nella realizzazione dell’evento dannoso, il giudice può avvalersi del principio generale di cui all’art. 2055, ultimo comma, c.c., ossia della presunzione di pari concorso di colpa, rimanendo esclusa la possibilità di far ricorso al criterio equitativo (previsto dall’art. 1226 c.c. e richiamato dall’art. 2056 c.c.), il quale può essere adottato solo in sede di liquidazione del danno, ma non per la determinazione delle singole colpe (da ultimo, Cass. civile, III, 21 gennaio 2010, n. 1002).

Nel caso in esame, la quantificazione finale va quindi operata riducendola della metà, giusta il disposto del citato art. 2055, comma 3, c.c., in termini di valutazione dell’apporto causale e, sulla base di una considerazione equitativa, ulteriormente della metà in relazione alla liquidazione del danno determinatosi.

Conclusivamente, l’originaria quantificazione del danno liquidato, pari a € 10.800,00 (diecimilaottocento), deve essere ricondotta alla corretta somma di €. 2.700,00 (duemilasettecento), ferme le altre statuizioni in tema di interessi, nonché quelle in tema di spese della verificazione tecnica.

8. – L’appello va quindi accolto, nei limiti sopra indicati. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598; Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77).

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie in parte l’appello n. 238 del 2014 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, 23 maggio 2013 n. -OMISSIS-, accoglie il ricorso di primo grado, nei limiti di quanto in motivazione;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 03 MAR. 2020.