responsabilità professionale- responsabilità per colpa grave- danno erariale- ginecologo- ostetriico
06/12/2007 n. 303 - Corte Conti Appello Sicilia
Danno erariale da errato parto con menomazioni fisiche del neonato
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 762/2002, ad integrazione e modifica dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., depositata in data 07.07.1998, con la quale il giudice istruttore, aveva condannato in solido l’A.U.S.L. n. 6 di Palermo e il dott. V. F., ginecologo ostetrico, a pagare in favore dei coniugi L. V. e V. G. – a titolo di risarcimento per le gravi menomazioni fisiche subite dal minore L. E. in occasione del parto eseguito presso la divisione ostetricia e ginecologia dell’O.C. di Partinico dal dott. F. in data 2.8.1986, – la somma di £. 57.500.000, corrisposta in corso di causa dall’U.N.I.P.O.L., condannava in solido F. e l’A.U.S.L. n. 6, a rifondere agli attori la somma complessiva di £. 412.500.000, di cui £. 175.000.000 per danno biologico, £. 87.500.000 per danno morale e £. 150.000.000 per danno patrimoniale, dalla quale occorreva detrarre l’importo di £. 65.000.000, pagato in corso di causa, nonché quanto corrisposto in esecuzione dell’ordinanza ex art. 186 quater. (£. 57.500.000). Lo stesso Tribunale, inoltre, condannava l’U.N.I.P.O.L. e la R.A.S. a rivalere l’Amministrazione delle somme liquidate in favore degli attori negli importi, rispettivamente, di £. 65.000.000, peraltro già corrisposto, e di £. 35.000.000; condannava altresì l’A.U.S.L. n. 6 a rifondere le spese di causa agli attori, quantificate in £ 21.511.000, per c.t.u. diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a., e le citate compagnie di assicurazione a rivalere l’Amministrazione di tutte le spese processuali liquidate ai coniugi attori.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 138/2004, passata in giudicato, condannava l’Assessorato alla Sanità della Regione Siciliana e la Gestione stralcio A.U.S.L. n. 6 (ex A.U.S.L. n. 55 di Partinico) in solido con F. V., a rifondere a L. V. e V. G., la somma di 24.456,01 euro quale credito residuo per il risarcimento del danno biologico sofferto dal minore, detratte le somme corrisposte dalla Compagnia U.N.I.P.O.L. e quelle ottenute in esecuzione dell’ordinanza ex art. 186 quater emessa dal GI di Palermo in data 6.7.1998, confermando nel resto l’impugnata sentenza; condannava, altresì, in solido l’Assessorato, la Gestione stralcio e F. al pagamento nei confronti dei coniugi delle spese processuali del giudizio d’appello, quantificate in 4.300,00 euro oltre i.v.a. e c.p.a.
Con atto di citazione depositato in data 20.12.2005, nonché con atto integrativo depositato il 24.1.2006, la procura regionale conveniva in giudizio il dott. F. V., ginecologo ostetrico, per essere condannato al pagamento della somma di € 253.106,17, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, quale danno erariale patito dalla citata A.U.S.L. n. 6 di Palermo. Secondo l’attore, il dott. F. che aveva assistito la sig.ra V. G. durante la gestazione, ancorché con visite non annotate nei registri ospedalieri, non aveva consigliato il ricorso al taglio cesareo in modo da anticipare così il momento della nascita al fine di evitare che il feto (per il quale l’anamnesi materna forniva indicazioni di macrosomia) accumulasse ulteriore peso proprio nelle ultime settimane, impedendo ogni possibile danno al nascituro. Tale comportamento risultava aggravato, in particolare, dalla circostanza che il giorno 1.8.1986, alle ore 23.00, il dott. F. aveva visitato la V. e l’aveva inviava a casa senza disporne il ricovero, invitandola a presentarsi il lunedì successivo per alcuni controlli. Invece il giorno dopo, alle 8.00, nasceva con parto naturale il piccolo L. E. .
Con la sentenza impugnata, il giudice di primo grado, affermata la responsabilità amministrativa del convenuto, lo ha condannato a pagare a favore dell’A.U.S.L. n. 6 di Palermo la somma di 219.574,18, euro , con rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., sulla somma di 38.724,17 euro dal 22.5.2000, sulla somma di 180.850,11 euro dal 13.7.2005 e fino al giorno del deposito della sentenza, e con gli interessi legali sulle somme così rivalutate dal predetto deposito al soddisfo, oltre le spese di giudizio. Ha egli ritenuto sussistente la responsabilità amministrativa dell’appellante, osservando che il collegio di due periti, nominati dal Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo, ha accertato che il piccolo L. E. al momento della nascita ebbe a riportare la paralisi del plesso branchiale (paralisi ostetrica) e che tale lesione, benché non direttamente imputabile a colpa professionale grave del dott. F., che, chiamato ad assistere la donna al momento della espulsione del feto, si sarebbe trovato ad affrontare problemi tecnici di particolare difficoltà nel disimpegno delle spalle, essendo il feto macrosoma (peso kg 4,850), era comunque riferibile a responsabilità dello stesso per imprudenza. Ad avviso dei consulenti tecnici d’ufficio nominati dal giudice, infatti, egli, avendo avuto in cura la Vitale durante la gravidanza, non ebbe a valutare adeguatamente il rischio di possibili facili complicanze con un parto per le vie naturali di un feto macrosoma. Secondo detto giudice, sussiste la colpa grave del sanitartio per non avere predisposto gli opportuni e semplici accertamenti ecografici, al fine di potere intervenire tempestivamente, mediante intervento laparotomico, prima che il feto superasse abbondantemente le dimensioni normali; la superficialità della condotta del ginecologo è stata evidenziata anche dalla circostanza che precedentemente vi erano stati già due parti macrosomici e che la macrosomia tende ad accentuarsi nelle gravidanze successive, stante anche l’età avanzata della partoriente. Ha, quindi, concluso, che il sanitario ha, con grave imprudenza, sottovalutato il rischio di un parto per vie naturali con feto macrosoma, non avendo sottoposto la sig.ra Vitale ai necessari esami strumentali per valutare attentamente le relative complicanze.
Il dott. F. ha impugnato tale decisione, censurandola per vari e ragioni, e ha, conclusivamente, chiesto che la Corte lo dichiari esente da responsabilità amministrativa e, comunque, applichi, in subordine, nei suoi confronti l’art. 231 del 23.12.2005, n. 266. Il P.M., nelle sue conclusioni, ha chiesto il rigetto dell’appello.
All’udienza, le parti hanno confermato le rispettive posizioni.
Diritto
Nell’appello, il dott. F. ha sostenuto, in primo luogo, che affinché possa essere riconosciuta una responsabilità dell’AUSL per la condotta del dipendente e, conseguentemente, il suo diritto di rivalsa nei confronti del dipendente medesimo, presupposto essenziale è che sia stato posto in essere un contratto, nella fattispecie di ricovero, tra l’ente stesso ed il paziente; contratto che nella fattispecie, si sarebbe perfezionato soltanto al momento del ricovero avvenuto alle ore 7,30 del giorno 2.8.1986, mentre la visita del 1.8.86 avrebbe comunque determinato un mero contatto sociale. La sua condotta sarebbe stata posta in essere, dunque, in forza di un rapporto privato tra medico e paziente, ancorché tale rapporto si sia svolto nella struttura ospedaliera. Conseguentemente, egli soltanto avrebbe dovuto risponderne nei confronti del paziente, il quale, invece, non avrebbe potuto svolgere azione risarcitoria nei confronti dell’ente, che, a sua volta, avrebbe dovuto impugnare in cassazione la sentenza civile di condanna e, in ogni caso, non avrebbe titolo a rivalersi sul proprio dipendente. Nel merito, ha sostenuto che erroneamente il giudice di primo grado ha fatto riferimento alle testimonianze rese nel giudizio civile, nonostante queste non sempre siano coincidenti con quanto dichiarato nelle audizioni innanzi al P.M. contabile ed ha, inoltre, lamentato l’inadeguatezza del massimale di polizza concordato dall ‘Ente Ospedaliero con le compagnie di assicurazione a garanzia della responsabilità verso terzi, ritenendo che la causazione del danno contabile debba essere correlata alla condotta omissiva di chi ha mancato di adeguare la copertura assicurativa.
Per quanto riguarda la prima questione, a parte ciò che si dirà in seguito sul merito, va detto che può ormai ritenersi consolidata l’opinione che riconosce la natura contrattuale del rapporto intercorrente tra il paziente ed il medico e la struttura sanitaria pubblica o privata. Secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale, l’attività svolta dall’ospedale è da assimilarsi a quella svolta dal medico nell’esecuzione dell’obbligazione della sua prestazione, cosicché al rapporto fra ente sanitario e paziente si applicano in via analogica le norme che disciplinano il contratto di prestazione d’opera intellettuale. Il presupposto essenziale per l’affermazione della responsabilità contrattuale dell’ente, diviene l’accertamento di un comportamento negligente del sanitario, il cui operato è riferito all’ente o attraverso il richiamo all’art. 28 della Costituzione, che enuncia il principio della cosiddetta immedesimazione organica, o attraverso il richiamo all’articolo 1228 del codice civile, che disciplina la responsabilità del debitore per il fatto dei propri ausiliari. L’orientamento più recente, tenendo conto della forma strutturata di gestione dei servizi ospedalieri e del fatto che i servizi erogati dalla struttura ospedaliera sono molto più ampi e complessi rispetto a quelli resi dal singolo medico, rinviene la fonte del rapporto struttura-paziente nel c.d. “contatto sociale”, cioè in un contratto non espressamente previsto dalla legge, che è stato genericamente definito come “contratto di spedalità”. La relazione negoziale fra i soggetti coinvolti fa sorgere il contratto di spedalità del malato con l’ente ospedaliero ed una relazione negoziale con il medico a contenuto essenzialmente obbligatorio, caratterizzato dall’affidamento che il malato ripone nel medico, esercente una professione protetta che ha per oggetto il bene della salute tutelato dall’art. 32 Cost. L’obbligazione del medico dipendente del servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata su contratto, ma sul contatto sociale, ha comunque natura contrattuale avuto riguardo non alla fonte dell’obbligazione, ma al contenuto del rapporto (Cass. civ., III, 22.1.1999, n. 589 e 19.4.2006, n. 9085). Il cd. contatto sociale, proprio per la sua natura contrattuale, non esclude dunque l’applicazione delle regole predette in tema di responsabilità della struttura per l’illecito compiuto dal sanitario, ma determina semplicemente un aumento delle possibilità di ristoro del paziente danneggiato, configurando la deficienza organizzativa come fonte autonoma di responsabilità della struttura; struttura che è chiamata a rispondere, in sostanza, non soltanto dei danni occorsi al paziente per l’attività illecita del sanitario nella prestazione della sua attività professionale, ma anche dell’inadempimento del contratto di cura o di spedalità intercorso con la stessa. In altri termini, il medico e la struttura sono chiamati a rispondere a titolo contrattuale dei danni cagionati nell’esercizio della propria attività professionale per il solo fatto di essere venuti in contatto con il paziente, anche in assenza di un vero e proprio obbligo di prestazione a favore del paziente posto a loro carico.
Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, contrariamente a quanto ha sostenuto l’appellante, deve ritenersi che correttamente il giudice civile abbia affermato la responsabilità dell’AUSL, oltre quella del sanitario, per la condotta del suo dipendente, con conseguente ammissibilità in questa sede dell’azione di responsabilità amministrativa esercitata dal P.M. contabile.
Gli addebiti mossi al F. si riferiscono, poi, alla complessiva attività svolta dal dott. F. all’interno dell’ospedale, secondo quanto dichiarato nel corso del giudizio civile dallo stesso medico e dalle testi Tommasa Rubino e Adriana Giuliana e ciò è sufficiente perché anche la struttura sanitaria debba rispondere del fatto illecito del proprio dipendente e possa legittimamente esercitare, quindi, se (come nella specie) condannata, l’azione di regresso nei confronti del proprio dipendente. L’accettazione del paziente in una struttura sanitaria ai fini del ricovero o anche di una semplice visita ambulatoriale, indipendentemente dalla regolarità delle modalità dell’accettazione stessa, comporta, infatti, la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità anche in assenza di un patto scritto. La responsabilità della struttura sanitaria per fatto dell’ausiliario o preposto, d’altronde, trova fondamento nel principio del rischio, senza che assuma rilievo la distinzione tra comportamento colposo o doloso dell’agente, essendo sufficiente al riguardo la mera occasionalità necessaria.
Passando al merito, va premesso che la vicenda in esame propone la delicatissima questione della responsabilità medica. La valutazione della sussistenza del nesso causale fra evento dannoso e condotta antigiuridica del medico pare oggi assestarsi sul criterio, condiviso dal Collegio, secondo cui assume rilevanza l'”alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. Il nesso causale, in altri termini, sussiste nel caso in cui alla stregua del giudizio condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica universale o statistica si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Il giudice deve verificare la validità di tale criterio nel caso concreto, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica e infine che l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso eziologico, quindi il ragionevole dubbio, della reale efficacia lesiva della condotta pregiudizievole del medico rispetto ad altri fattori interagenti comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Cass., sez. un. pen., 11.9.2002, n. 30328). Ora, è indubbio, non essendo neppure contestato dall’appellante, che, come emerge dalle deposizioni rese in sede civile dalle testi Tommasa Rubino e Adriana Giuliana, rispettivamente infermiera ed ostetrica presso la disciolta USL 55 di Partinico, la sig.ra Vitale ebbe più volte a farsi visitare in ospedale dal dott. F., che tale medico conosceva della pregressa nascita di due feti macrosomi e che, almeno in una occasione, alla domanda di entrambi i coniugi circa la necessità di procedere con un taglio cesareo per le dimensioni del feto lo stesso rispose che il periodo di gravidanza fino ad allora intercorso non era sufficiente per fare una previsione. Conseguentemente, come hanno peraltro sostenuto i consulenti tecnici d’ufficio nominati dal giudice civile, in presenza di una tendenza alla macrosomia fetale della paziente, facilmente diagnosticabile dati i precedenti anamnestici della Vitale noti al dott. F., il comportamento corretto dell’ostetrico sarebbe dovuto consistere nella prevenzione della situazione di rischio mediante il costante monitoraggio delle condizioni della paziente e la tempestiva effettuazione del parto cesareo. Senonché, indipendentemente dalla veridicità o meno della deposizione teste Assunta Ravveduto, madre della Vitale, la quale ha affermato che la sera prima del parto, intorno alle 23,00, il dott. F. ebbe a visitare la figlia e a mandarla a casa, affermando che c’era ancora del tempo e dalla soluzione della questione, non sufficientemente approfondita sul piano tecnico, relativa alla praticabilità o meno del parto cesareo al momento del ricovero ospedaliero, nei documenti acquisiti al fascicolo di causa e nelle deduzioni di parte non v’è traccia di alcuna attività preventiva svolta da parte dell’appellante per evitare le conseguenze che poi si sono verificate, attività che se fosse stata svolta avrebbe sicuramente evitato l’evento, dal momento che la situazione clinica della paziente richiedeva con certezza l’esecuzione del parto cesareo.
Relativamente all’elemento psicologico va detto che, in genere, la colpa grave del medico è esclusa quando questi debba risolvere problemi diagnostici e terapeutici di difficile soluzione, in presenza di quadro patologico complesso e passibile di diversificati esiti, ovvero si trovi nella necessità di agire in una situazione di emergenza o di urgenza, e la sua scelta nel caso concreto appaia comunque ragionevole avuto riguardo alle conoscenze scientifiche e alla prassi medica. Al contrario, la colpa è grave quando non si presenti una situazione emergenziale, o quando il caso non implichi problemi di particolare difficoltà, ovvero ancora quando, come nel caso in esame, il medico abbia completamente omesso di compiere un’attività diagnostica e terapeutica routinaria atta a scongiurare determinate complicazioni. Nella specie, come si è già osservato, non v’è traccia in atti di alcuna attività preventiva svolta dall’appellante, sicché il suo comportamento appare gravemente negligente in considerazione della assoluta prevedibilità dell’evento.
Per quanto concerne la questione relativa all’inadeguatezza del massimale di polizza concordato dall’ente ospedaliero con le compagnie di assicurazione, il Collegio condivide l’osservazione del giudice di primo grado secondo cui la stipula di polizze assicurative non è obbligatoria, né comporta l’esclusione o la riduzione delle conseguenze risarcitorie direttamente ricollegabili alla condotta illecita dell’appellante.
In conclusione, pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata, non sussistendo, a giudizio del Collegio, i presupposti per la riduzione dell’addebito.
P.Q.M.
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione siciliana
Rigetta
l’appello proposto dal dott. V. F. e, per l’effetto, conferma la sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 2240/2006 del 28.4 -23.6.2006.
Condanna, altresì, il predetto al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi 278,00 euro.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 11 ottobre 2007.
Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.
Palermo 06/12/2007