medico - pensionamento oltre ai 65 anni d'età- solo a domanda

09/06/2020 n. 11008 - sezione lavoro

In materia di collocamento a riposo d’ufficio nel pubblico impiego contrattualizzato, il carattere di specialità che deriva dall’applicazione dei principi di cui all’art. 97 Cost., impone che il compimento di un’età massima determini, sulla base di disposizioni di legge non derogabili dalla contrattazione collettiva e dalla volontà delle parti, l’estinzione del rapporto (salva l’ipotesi di protrazione per periodi definiti a domanda del dipendente e, eventualmente, con il consenso dell’amministrazione) e non costituisca un mero presupposto per l’esercizio del potere di recesso da parte dell’amministrazione, la cui inerzia non sarebbe suscettibile di sindacato giurisdizionale (si veda Cass. 2 marzo 2005, n. 4355; Cass. 3 novembre 2008, n. 26377; Cass. 17 giugno 2010, n. 14628).

Una prosecuzione del rapporto oltre il limite di età normativamente previsto e per il solo effetto di una convenzione tra le parti si tradurrebbe nella violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori.

FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 6519, depositata in data 26 luglio 2013, la Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione del Tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta nei confronti della Azienda USL Roma (OMISSIS) da F.S., medico convenzionato cui era stato conferito l’incarico di dirigente di struttura complessa ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1993, art. 15 septies, comma 2, con decorrenza 15/1/2008 e scadenza 14/1/2011 (incarico revocato in data 1/10/2009 per il raggiungimento da parte del F. del limite di età per la permanenza in servizio e sul presupposto della tardività della domanda con cui il ricorrente aveva chiesto di essere trattenuto in servizio per un biennio oltre tale limite), e condannava l’azienda al pagamento in suo favore delle retribuzioni contrattualmente stabilite in forza del contratto individuale, maturate dal giorno 1/10/2009 sino al giorno 14/1/2011 (e cioè dalla disposta revoca alla scadenza come stabilita in sede di contratto), oltre accessori come per legge.

Riteneva preliminarmente la Corte territoriale che fosse da disattendere l’eccezione di inammissibilità del gravame formulata dall’Azienda appellata.

Evidenziava, poi, che, come già affermato dal Tribunale, effettivamente mancasse la prova della ricezione da parte dell’Azienda della nota con la quale il F., in data 1/10/2008 aveva fatto istanza di trattenimento in servizio fino al 67 anno di età proprio con riferimento al contratto a tempo determinato.

Tuttavia considerava tale circostanza irrilevante.

Assumeva, infatti, che fosse inapplicabile al rapporto instaurato ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1993, art. 15 septies, comma 2, l’istituto del collocamento a riposo e conseguentemente affermava l’illegittimità del recesso dell’azienda operato prima della scadenza contrattualmente stabilita ed al compimento da parte del F. del 65 anno di età – 1/10/2009 -.

Richiamava, a sostegno di tale interpretazione, la circostanza che i contratti individuali di cui all’art. 15 septies, potessero essere conclusi anche con soggetti non legati all’Amministrazione da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (come nel caso del F.) ed altresì quella che l’art. 15 nonies, contenesse un richiamo espresso (quanto alla sua applicabilità) soltanto al personale a rapporto convenzionale di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, ma non anche ai soggetti che avessero concluso contratti individuali a norma dell’art. 15 septies.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Roma (OMISSIS) con sei motivi.

3. F.S. ha resistito con controricorso e formulato altresì ricorso incidentale cui l’azienda ha resistito con controricorso.

4. La causa dall’adunanza camerale del 25 settembre 2019 è stata rimessa, per la trattazione, alla pubblica udienza.

5. Il F. ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c..

Sostiene che la Corte territoriale erroneamente non avrebbe accolto l’eccezione di inammissibilità dell’appello che l’Azienda aveva formulato sul presupposto che nell’atto di gravame non fossero esposte le ragioni del dissenso rispetto alla decisione del Tribunale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che il rapporto del Fazioni fosse di “medico convenzionato” omettendo di considerare che lo stesso avesse in realtà assunto la veste di dirigente del s.s.n..

3. Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies, non ammette alcuna distinzione imponendo il limite di età per tutti i dirigenti del s.s.n., sia a tempo determinato che a tempo indeterminato e indipendentemente dalla loro provenienza.

4. Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies.

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’art. 15 nonies, contenesse un richiamo espresso (quanto alla sua applicabilità) soltanto al personale convenzionale di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, ma non anche ai soggetti che abbiano concluso contratti individuali a norma dell’art. 15 septies e sostiene che il legislatore non aveva alcuna necessità di estendere specificamente l’applicazione della norma anche ai soggetti che avessero concluso contratti individuali a norma dell’art. 15 septies, trattandosi di rapporti che hanno la stessa natura dei rapporti degli altri dirigenti del s.s.n. instaurati a seguito della selezione pubblica e quindi a tempo indeterminato e differendo da essi solo quanto alla durata.

5. Con il quinto motivo la ricorrente principale denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la Corte territoriale abbia condannato l’azienda al pagamento delle retribuzioni contrattualmente stabilite dalla data del recesso da parte dell’appellata dell’1/10/2009 sino a quella della scadenza naturale del contratto senza considerare il rapporto era di fatto interrotto ed era venuta meno la sinallagmaticità.

6. Con il sesto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e/falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 7.

Censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto del fatto che ai sensi del citato art. 4, comma 7, con il servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro e per aver in conseguenza condannato al pagamento delle retribuzioni dalla revoca del contratto a tempo determinato alla scadenza naturale anche se, per effetto della richiesta di prosecuzione dell’attività quale medico convenzionato, tale rapporto aveva riacquistato efficacia da quando l’Azienda aveva preso atto di tale facoltà ed era cessato il rapporto di cui al contratto tempo determinato (1/10/2009).

7. Con il ricorso incidentale F.S. censura la sentenza impugnata per aver respinto la domanda di risarcimento del danno all’immagine per mancanza di qualsiasi specifica deduzione sul punto.

Sostiene che un danno sussistesse in re ipsa per il solo fatto dell’illegittima risoluzione anticipata del contratto a tempo determinato.

8. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.

Anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di Cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (v., ex multis, Cass. 6 dicembre 2018, n. 31671; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21226; si veda anche Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077).

Il suddetto principio è stato, in particolare applicato nell’ipotesi in cui, come nella specie, il ricorrente per cassazione censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello (v. Cass. 20 luglio 2012, n. 12664 e Cass. 10 gennaio 2012, n. 86).

Il ricorrente, pertanto, ove censuri la statuizione relativa alla ritenuta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, non può limitarsi a richiamare le ragioni di diritto poste a fondamento della censura, ma ha l’onere di riportare il contenuto degli atti processuali rilevanti, nella misura necessaria ad evidenziare la pretesa assenza di specificità dell’impugnazione.

Nel caso di specie l’Azienda ha solo trascritto, nelle parti rilevanti, il contenuto dell’atto di appello del F. ma ha omesso di individuare e riportare le statuizioni della sentenza di prime cure, rispetto alle quali i motivi proposti risulterebbero privi di specificità (di tale sentenza è riportata alle pagg. 19 e 20 una mera sintesi narrativa), così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica sulla rilevanza e decisività del vizio denunciato.

Nè rileva, al fine di ritenere in qualche modo colmata l’indicata lacuna, la circostanza che una ricostruzione del ragionamento logico della decisione del Tribunale sia contenuta nella stessa sentenza impugnata, dovendo la Corte di legittimità essere posta in condizione di valutare la fondatezza delle censure sulla base del ricorso per cassazione, senza necessità di accedere a fonti esterne, restando la stessa produzione solo finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento dei motivi di ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dell’onere di indicazione e trascrizione rispetto a quello di produzione, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048).

9. Quanto agli altri motivi del ricorso principale, le doglianze sono fondate nei termini di seguito illustrati e determinano l’assorbimento del ricorso incidentale.

9.1. Al F. è stato conferito, con decorrenza dal 15/1/2008 un incarico di durata triennale ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies, comma 2 (introdotto dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13, comma 1, poi modificato dal successivo D.Lgs. 28 luglio 2000, n. 254, ed ancora dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, in L. 8 novembre 2012, n. 189).

9.2. La predetta disposizione, nel testo ratione temporis applicabile, prevedeva, al comma 2, che: “Le aziende unità sanitarie e le aziende ospedaliere possono stipulare, oltre a quelli previsti dal comma precedente, contratti a tempo determinato, in numero non superiore al cinque per cento della dotazione organica della dirigenza sanitaria, ad esclusione della dirigenza medica, nonchè della dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa, per l’attribuzione di incarichi di natura dirigenziale, relativi a profili diversi da quello medico, ad esperti di provata competenza che non godano del trattamento di quiescenza e che siano in possesso del diploma di laurea e di specifici requisiti coerenti con le esigenze che determinano il conferimento dell’incarico”, al comma 3, che: “Il trattamento economico è determinato sulla base dei criteri stabiliti nei contratti collettivi della dirigenza del Servizio sanitario nazionale” e, al successivo comma 5, che: “Gli incarichi di cui al presente articolo, conferiti sulla base di direttive regionali, comportano l’obbligo per l’azienda di rendere contestualmente indisponibili posti di organico della dirigenza per i corrispondenti oneri finanziari”.

Come emerge dalla chiara dizione normativa, si tratta pur sempre di incarichi dirigenziali ancorchè di natura speciale che si attribuiscono nei limiti del contingente appositamente assegnato e previsto dal legislatore.

Tanto emerge con ogni evidenzia dalla collocazione della disposizione di seguito a quella di cui all’art. 15 “Disciplina della dirigenza medica e delle professioni sanitarie” e ad altre norme (da art. 15 bis a art. 15 sexies) specificamente disciplinati il rapporto di lavoro dei dirigenti di ruolo del servizio sanitario.

9.3. L’art. 15 septies, e l’ipotesi di cui al comma 2, che qui viene in rilievo, rappresenta una particolare forma di reclutamento di dirigenti a tempo determinato che deroga – a certe specifiche condizioni – alle regole generali che prescrivono tassativamente l’espletamento di un concorso pubblico. Peraltro l’art. 63, comma 5, del c.c.n.l. dell’8 giugno 2000 area dirigenziale sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa prevede che: “I casi previsti dall’art. 16 disciplinato dal c.c.n.l. 5 agosto 1997 in cui le aziende – per la presente area negoziale – possono ricorrere ad assunzioni a tempo determinato, sono integrati da quella indicata del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies, commi 1 e 2. A tal fine le aziende individuano, preventivamente, con proprio atto le modalità per il conferimento di tale tipologia di incarichi ed i requisiti richiesti – eventualmente integrati da quelli previsti dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 6, primo periodo, sentiti i soggetti di cui all’art. 10, comma 2. Ai dirigenti assunti è attribuito il trattamento economico fondamentale previsto dal presente contratto per i corrispondenti dirigenti di pari incarico già in servizio e l’assunzione comporta il congelamento di altrettanti posti di dirigente vacanti per la copertura dei relativi oneri finanziari. La retribuzione di posizione attribuibile sulla base della graduazione delle funzioni, grava sul bilancio dell’azienda nella parte eccedente il minimo contrattuale e non può, comunque, superare, negli importi massimi, quanto previsto dall’art. 40. Ai dirigenti pubblici si applica l’art. 19, comma 7 del presente contratto in tema di aspettativa” (la disposizione è rimasta in vigore pur a seguito delle successive tornate contrattuali del 3 novembre 2005 e del 6 maggio 2010).

Così è ben possibile (ed anzi generalmente accade) che gli incarichi siano conferiti previa procedura selettiva non concorsuale, che si svolge senza alcuna prova per i candidati, ma sulla base di una sola valutazione dei curricula, e che non conduce ad alcuna graduatoria finale, ma alla nomina, avente sostanzialmente carattere fiduciario, del dirigente a tempo determinato, da parte del Direttore Generale, nell’ambito di una rosa di nomi selezionati unicamente mediante l’esame degli stessi curricula (v. Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6075).

Sin dall’inizio, dunque, lo strumento è stato previsto (tanto con riguardo all’ipotesi di cui dell’art. 15 septies, comma 1, riguardante incarichi per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico, tanto con riguardo all’ipotesi di cui al comma 2, riguardante l’attribuzione di incarichi di natura dirigenziale, relativi a profili diversi da quello medico, ed esperti di provata competenza) per necessità funzionali dell’amministrazione, che rendessero eccezionalmente possibile la deroga al principio concorsuale tanto che il legislatore ha fissato, oltre a detta eccezionalità dell’attribuzione dell’incarico, un limite insuperabile di contratti stipulabili (a seconda delle ipotesi previste).

Le relative assunzioni sono state, così, sottoposte ad una regolamentazione che, quanto alle modalità di reclutamento, riveste carattere di specialità. Come più volte precisato dalla giurisprudenza, sebbene il legislatore statale abbia previsto la possibilità di dare vita a contratti a tempo determinato con riferimento alla dirigenza sanitaria (e ciò proprio richiamando del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies), il sistema resta caratterizzato dall’individuazione del concorso come modalità ordinaria di accesso a tale dirigenza (Corte Cost. 14 luglio 2009, n. 215). Ciò, evidentemente, spiega anche le successive scelte del legislatore che con il D.Lgs. n. 502 del 1992, nuovo art. 15, comma 7, quinquies (inserito dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 4, comma 1, lett. d)) ha fortemente limitato il ricorso a tale tipo di contratto, disponendo testualmente: “Per il conferimento dell’incarico di struttura complessa non possono essere utilizzati contratti a tempo determinato di cui all’art. 15-septies”.

9.4. Pur con le differenti modalità di reclutamento, il rapporto che si instaura ai sensi dell’art. 15 septies, è un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti (e non un rapporto regolato dall’art. 2222 c.c.) e, quindi, una volta stipulato il relativo contratto il rapporto si differenzia rispetto a quello ordinario con i dirigenti pubblici a tempo indeterminato solo per il carattere della temporaneità, restando tutti gli altri aspetti del rapporto disciplinati dalla stessa normativa di legge e di contratto collettivo.

I presupposti richiesti per procedere all’assunzione di un dirigente con incarico previsto dal D.Lgs. n. 502 del 1999, art. 15 septies, sono, dunque, espressamente indicati nella medesima norma (percentuali, “provata competenza”). Il trattamento economico di tali dirigenti è quello previsto per i dirigenti del SSN, come si evince sempre dal chiaro contesto letterale dei successivi periodi della disposizione che prevedono per la copertura dei costi il congelamento di un numero corrispondente di posti di dirigente e pongono a carico del bilancio l’eventuale eccedenza rispetto al minimo contrattuale esclusivamente per la retribuzione di posizione. Ai fini, poi, dell’attribuzione dell’incarico, è necessario il possesso di tutti i requisiti generali per l’accesso al pubblico impiego, nonchè di determinati requisiti specifici (ad esempio laurea corrispondente allo specifico settore di attività connesso all’incarico e alle relative funzioni da espletare).

9.5. Ed allora non vi è ragione per non ritenere applicabile anche a tale tipo di rapporto la disposizione di cui all’art. 15 nonies aggiunto del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13, comma 1, (Limite massimo di età per il personale della dirigenza medica e per la cessazione dei rapporti convenzionali) che, nel testo ratione temporis vigente (prima delle modifiche allo stesso apportate dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 22), prevede, al comma 1, che: “Il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di età, fatta salva l’applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16. E’ abrogata la L. 19 febbraio 1991, n. 50, fatto salvo il diritto a rimanere in servizio per coloro i quali hanno già ottenuto il beneficio” (si ricorda che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 33 del 6 marzo 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto di tale comma e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16, comma 1, primo periodo – nel testo quale vigente fino all’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, art. 22 – nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età).

9.5. Si tratta di una norma che ha ripreso il limite d’età pensionabile per il personale medico, fissato, già in passato, in via generale, al compimento del sessantacinquesimo anno d’età dal R.D. 30 settembre 1938, n. 1631, art. 18. Invero tale disciplina generale è stata oggetto di vari interventi legislativi che, dopo il D.P.R. n. 1631 del 1938, hanno introdotto proprio per il personale medico varie ipotesi di elevazione di tale limite (sì pensi, a mero titolo esemplificativo, alla L. 24 luglio 1954, n. 596, che consentiva agli ufficiali sanitari ed ai medici condotti, in servizio di ruolo da data anteriore al 24 agosto 1934, di essere collocati a riposo non prima di aver maturato 40 anni di servizio utile a pensione e, comunque, non oltre il settantesimo anno d’età; alla L. 20 dicembre 1962, n. 1751, recante analoga disposizione in favore dei medici e veterinari addetti agli uffici comunali; alla L. 20 febbraio 1956, n. 68, in favore dei sanitari ospedalieri in servizio di ruolo da data anteriore al 14 novembre 1938; alla L. 6 ottobre 1964, n. 982, in favore dei sanitari degli ospedali psichiatrici, e così via – si veda per più ampi riferimenti normativi, Corte Costituzionale n. 134/1986 -). Queste numerose elevazioni del limite d’età pensionabile per il personale medico venivano giustificate in base a varie considerazioni, quali: la lunga durata del corso di laurea; la necessità del conseguimento della specializzazione; la circostanza che l’accesso alla qualifica apicale prevede il superamento degli esami di idoneità a primario, scaglionati nel tempo; l’opportunità di non disperdere anzi tempo un patrimonio umano di esperienza e professionalità alla cui formazione lo Stato ha destinato ingenti risorse, ecc..

Successivamente, nel corso degli anni ‘70, principalmente per l’esigenza di ridurre il preoccupante fenomeno della disoccupazione, è stato ristabilito in via generale il pensionamento al sessantacinquesimo anno d’età. Così il D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), all’art. 4 (Cessazione dal servizio per limiti di età) ha previsto che: “Gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di età (…)”; egualmente, per il personale medico confluito nei ruoli nominativi regionali, il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, all’art. 53 ha disposto che: “Il collocamento a riposo è obbligatorio ed è eseguito di ufficio, indipendentemente da ogni altra causa: al compimento del 65 anno di età per il personale sanitario e tecnico laureato, amministrativo, di assistenza religiosa e professionale (…)”.

In particolare con il D.P.R. n. 1072 del 1973 si è reso omogeneo il quadro normativo stabilendosi un termine (sessantacinquesimo anno d’età) uguale per tutte le categorie del pubblico impiego, salvo quelle eccezioni che, il legislatore, nell’ambito delle sue scelte discrezionali, ha ritenuto di dover porre in ragione delle peculiarità della funzione esercitata (magistrati e docenti universitari) ovvero per esigenze settoriali e transitorie (così, quella di cui alla L. 30 luglio 1973, n. 477, art. 15, per il personale della scuola che, alla data di entrata in vigore di tale legge, pur dovendo essere collocato a riposo per raggiunti limiti di età non avesse raggiunto il numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione – norma poi oggetto di pronunce della Corte Costituzionale: sentenze del 12 ottobre 1990, n. 444 e del 24 luglio 1986, n. 207 – ovvero quella di cui alla L. 10 maggio 1964, n. 336, art. 6 – norma la cui permanenza in vigore è stata considerata indispensabile del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 1, che consente ai primari ospedalieri che fossero tali e di ruolo alla data di entrata in vigore della medesima legge, di beneficiare del trattenimento in servizio sino al settantesimo anno di età).

L’evoluzione legislativa è stata, quindi, nel senso di estendere le deroghe a più estese categorie di personale, fermo restando, però, il limite di età previsto in via generale al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

La Corte Costituzionale, preso atto proprio di tale evoluzione legislativa, ha dichiarato illegittimo della L. n. 477 del 1973, citato art. 15, in quanto limitava la facoltà del trattenimento in servizio solo al personale scolastico assunto prima di una certa data, ritenendo tale limitazione non più rispondente, nell’attuale quadro normativo, al precetto dell’art. 38 Cost., comma 2 (v. sentenza n. 444 del 1990).

Sempre la Corte Costituzionale, poi, pur dando atto della discrezionalità legislativa derivante dalla necessita di bilanciare l’interesse del lavoratore al conseguimento del diritto alla pensione con altri interessi anch’essi costituzionalmente rilevanti (quali la politica dell’occupazione giovanile), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 4, comma 1, nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio su richiesta fino al conseguimento di tale anzianità minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di età, ritenendo la rigidità di una sistema violativa del precetto costituzionale di cui all’art. 38 Cost. (v. Corte Cost. 18 giugno 1991, n. 282).

Per analoghe ragione il Giudice delle leggi, con sentenza 9 marzo 1992, n. 90, ha dichiarato l’illegittimità costituzione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 53, nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato, che al raggiungimento del limite di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età.

9.6. Pur dunque con la possibilità di procrastinare la cessazione dal servizio al fine di conseguire l’anzianità minima, il limite ordinamentale per la permanenza in servizio, previsto a 65 anni, è rimasto quello fissato, in via generale, dal D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 4, per i dipendenti statali e dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 53, per il personale sanitario (si veda anche la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, per i dipendenti degli enti pubblici). Tale limite non è stato modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24, comma 6, convertito con modificazioni in L. 22 dicembre 2011, n. 214 e costituisce soglia non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata (si veda quanto precisato del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, art. 2, comma 5, convertito nella L. 30 ottobre 2013, n. 125, che ha fornito l’interpretazione autentica del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 4, secondo periodo).

9.7. Quindi il collocamento a riposo d’ufficio nella pubblica amministrazione è obbligatorio al compimento dei 65 anni del dipendente. Tale limite può essere superato solo per consentire al lavoratore il perfezionamento del diritto ad una prestazione pensionistica.

9.8. Il suddetto limite è stato ribadito dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies, aggiunto del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13, comma 1, cui sopra si è fatto riferimento, senza alcuna eccezione per i responsabili di struttura complessa.

9.9. Invero già con il D.Lgs. n. 503 del 1992, all’art. 16 (Prosecuzione del rapporto) è stato previsto, al comma 1, che: “E’ in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della L. 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti”. Tale norma ha subito successive modificazioni ad opera del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, art. 1 quater, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 33, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 7, L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 22, comma 2 e da ultimo del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 1, comma 17, fino all’abrogazione da parte del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.

In particolare con il D.L. n. 112 del 2008, convertito con modifiche in L. n. 133 del 2008, nell’ambito delle misure intese alla stabilizzazione della finanza pubblica ed in relazione al disegno di riorganizzazione e di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni nonchè di progressiva riduzione del numero dei dipendenti pubblici, è stato introdotto il nuovo istituto dell’esonero dal servizio, sono state previste importanti innovazioni in materia di trattenimento in servizio dei pubblici dipendenti ed è stata disciplinata la risoluzione del contratto di lavoro per i dipendenti che abbiano maturato 40 anni di anzianità contributiva (si veda l’art. 72, Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo, comma 7, che ha aggiunto del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 comma 1, i seguenti periodi: “In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento”.

Come per gli altri casi sopra esaminati, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 33 del 6 marzo 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies, comma 1 e del dell’art. 16, comma 1, primo periodo – nel testo quale vigente fino all’entrata in vigore della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 22 – nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età.

Il D.L. n. 112 del 2008, citato art. 72, convertito con modifiche in L. n. 133 del 2008 nella formulazione originaria prevedeva al comma 11 che: “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di sei mesi (….). Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano a magistrati e professori universitari”.

Il suddetto comma è stato modificato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 35-novies, convertito con modificazioni in L. 3 agosto 2009, n. 102, che ha esteso la possibilità di risoluzione anche al personale dirigenziale e previsto che le disposizioni di cui a tale comma non si applicano anche ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa.

L’indicato art. 72, ha formato oggetto di interventi legislativi demolitori da parte del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni in L. 22 dicembre 2011, n. 214 (che ha abrogato i commi da 1 a 6 considerando l’istituto dell’esonero comunque in corso qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato prima del 4 dicembre 2011).

Ulteriori modifiche si sono avute con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90 convertito con modificazioni nella L. 11 agosto 2014, n. 114, che all’art. 1 (Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni), ha abrogato del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16, nonchè il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, commi 8, 9, 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, comma 31, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122. Il comma 7 è rimasto invariato. Il comma 11 sopra riportato è stato, invece, modificato consentendosi alle pubbliche amministrazioni di “risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi dell’art. 24, citato comma 10. Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario”.

9.10. Pur attraverso le articolate e complesse modifiche legislative succedutesi nel tempo, il limite di 65 anni è rimasto sempre inalterato, salva la possibilità, riconosciuta al dipendente, di richiede di permanere in servizio per il tempo strettamente necessario al raggiungimento dell’anzianità minima per il diritto a pensione ovvero quella, ratione temporis, vigente del trattenimento in servizio per un biennio oltre il sessantacinquesimo anno di età ad istanza del dipendente stesso.

9.11. Tale essendo il quadro normativo di riferimento deve ritenersi che un rapporto dirigenziale quale quello in questione non potesse proseguire oltre il suddetto limite di età dei sessantacinque anni.

Ed infatti, come detto, la disposizione di cui all’art. 15 nonies, deve ritenersi avente portata generale e cioè riferita tanto al rapporto dirigenziale a tempo indeterminato tanto a quello a termine come desumibile dalla collocazione di tale disposizione e di quella di cui all’art. 15 septies, in un unico corpus disciplinante i rapporti dirigenziali, tale da non rendere necessaria alcuna espressa specificazione (diversamente da quanto avvenuto con riguardo al personale convenzionale di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8).

Tale interpretazione, oltre che imposta dalla collocazione sistematica della norma, è altresì coerente con la previsione generale di cui al D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 8, sopra ricordato che ha stabilito il limite dei sessantacinque anni tanto per gli impiegati civili di ruolo quanto per quelli non ruolo.

Detto limite poteva essere superato solo mediante la manifestazione, nei tempi e nei modi previsti, della volontà di rimanere in servizio.

Sul punto la sentenza impugnata, sulla base di un accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, ha affermato (v. pag. 9) che, a fronte della specifica eccezione dell’Azienda appellata, fosse del tutto mancata la prova della ricezione della nota con la quale il F. assumeva di aver presentato già in data 8/10/2008, proprio con riferimento al contratto a tempo determinato stipulato con decorrenza dal 15/1/2008, istanza di trattenimento in servizio sino al sessantasettesimo anno di età (sempre dalla sentenza impugnata si evince che era stata, invece, accolta, la richiesta del F. di trattenimento in sevizio con riferimento al ruolo del tutto diverso dalla posizione dirigenziale oggetto dell’incarico ex art. 15 septies – di medico convenzionato).

Legittimamente, pertanto, l’Azienda, dato atto della tardività di altra domanda di trattenimento in servizio presentata dal F. in data 22/6/2009, ha risolto il rapporto di cui al contratto ex art. 15 septies, con decorrenza dall’1/10/2009, data del compimento da parte del predetto del sessantacinquesimo anno di età.

9.13. In materia di collocamento a riposo d’ufficio nel pubblico impiego contrattualizzato, il carattere di specialità che deriva dall’applicazione dei principi di cui all’art. 97 Cost., impone che il compimento di un’età massima determini, sulla base di disposizioni di legge non derogabili dalla contrattazione collettiva e dalla volontà delle parti, l’estinzione del rapporto (salva l’ipotesi di protrazione per periodi definiti a domanda del dipendente e, eventualmente, con il consenso dell’amministrazione) e non costituisca un mero presupposto per l’esercizio del potere di recesso da parte dell’amministrazione, la cui inerzia non sarebbe suscettibile di sindacato giurisdizionale (si veda Cass. 2 marzo 2005, n. 4355; Cass. 3 novembre 2008, n. 26377; Cass. 17 giugno 2010, n. 14628).

Una prosecuzione del rapporto oltre il limite di età normativamente previsto e per il solo effetto di una convenzione tra le parti si tradurrebbe nella violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori.

10. Da tanto consegue che il ricorso, nei termini sopra esposti, deve essere accolto (con assorbimento del ricorso incidentale) dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: “Anche per il contratto per incarico dirigenziale del D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15 septies, comma 2, rileva, ai fini dell’estinzione del rapporto ed in mancanza di istanza di trattenimento in servizio sino al sessantasettesimo anno di età, il raggiungimento dell’età massima di cui all’art. 15 nonies del medesimo che non può essere derogato dalla volontà delle parti”.

11. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originaria domanda.

12. L’esito alterno dei giudizi di merito e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.

13. Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito rigetta l’azionata domanda; compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020