Ordine Professionale mancanze disciplinari obbligo di denunzia

12/11/2007 n. 65 - Commissione Centrale Professioni Sanitarie

L’obbligo di comunicare all’autorità giudiziaria eventuali ipotesi di reato sorge in capo al direttore sanitario non in base ad una specifica disposizione deontologica, bensì nell’ambito di quella più ampia funzione di vigilanza che il medico che rivesta tale ruolo deve esercitare sui rapporti con e tra sanitari per la correttezza delle prestazioni professionali nell’interesse dei cittadini, ai sensi dell’art. 69 del Codice di deontologia medica.

L’obbligo di comunicare all’autorità giudiziaria eventuali ipotesi di reato sorge in capo al direttore sanitario non in base ad una specifica disposizione deontologica, bensì nell’ambito di quella più ampia funzione di vigilanza che il medico che rivesta tale ruolo deve esercitare sui rapporti con e tra sanitari per la correttezza delle prestazioni professionali nell’interesse dei cittadini, ai sensi dell’art. 69 del Codice di deontologia medica.
Come stabilito dalla Corte di Cassazione (sent. 10 maggio 1998, n. 5793), ove risulti che i fatti contestati si sono svolti in tempi tanto rapidi da non permettere l’immediata e completa individuazione degli elementi delittuosi, il pubblico ufficiale non può essere vincolato all’obbligo del rapporto sino a quando non sia in grado di individuare gli elementi del reato e di acquisire ogni altro elemento utile per la formazione del rapporto.
Certamente ciò si verifica in caso di decesso di un paziente, ove la documentazione clinica sia stata oggetto di sequestro giudiziario disposto il giorno successivo a quello della morte e, in pari data, il direttore sanitario, ricevuta la segnalazione della vicenda, la trasmetteva all’Azienda ospedaliera, che costituiva una commissione interna per l’accertamento delle responsabilità. In tale situazione, dal punto di vista deontologico, non può imputarsi al ricorrente un ritardo nell’attivarsi rispetto al veloce succedersi degli eventi, né, tantomeno, una volontà di celare il fatto

Non è necessario che la commissione disciplinare proceda ad un riesame dei testimoni già sentiti in sede giurisdizionale, valendo il principio secondo cui detto organo può fondare le valutazioni che gli competono sulle risultanze del procedimento penale. È pertanto infondato anche il connesso gravame con cui il sanitario lamenta che i testimoni non sarebbero stati sentiti in sua presenza.
Infatti, come statuito dalla Corte di Cassazione (sent. n. 7365/03), il giudizio dell’organo investito della potestà disciplinare può legittimamente fondarsi sulle risultanze delle indagini preliminari compiute in sede penale ove il relativo procedimento si sia concluso con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., ivi comprese le sommarie informazioni assunte, ad opera della polizia giudiziaria, dalle persone informate sui fatti (elementi sicuramente utilizzabili in sede di indagini preliminari, nonché in sede di giudizio abbreviato ex art. 452, comma secondo, c.p.p.).
Pertanto, è del tutto legittimo che l’organo di disciplina – purché esegua un autonomo apprezzamento degli elementi emersi in sede penale – fondi le valutazioni di propria competenza sulle predette risultanze, ove ritenute sufficienti, non essendo indispensabile che le stesse trovino diretto riscontro, in ambito disciplinare, negli eventuali accertamenti compiuti dall’organo medesimo