farmacista truffa lo stato in accordo con un medico di famiglia per favorire lo spaccio di stupefacenti

15/06/2020 n. 18202 - Sezione II - (ud. 06/02/2020, dep. 15/06/2020)

1. Con provvedimento del 16-24.10.2019 il Tribunale di Cosenza ha vagliato il ricorso per riesame proposto nell’interesse di C.P. respingendo il gravame e confermando il decreto con cui il GIP aveva disposto il sequestro preventivo (finalizzato alla confisca per equivalente) della complessiva somma di Euro 175.947,96 ovvero, in caso di impossibilità, dei beni nella disponibilità dell’indagato da individuarsi in sede di esecuzione del provvedimento e per un valore pari a quello suindicato; in particolare, il GIP aveva ravvisato il “fumus” del delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato che sarebbe stata commessa in concorso con G.F.S.M., medico di famiglia, a seguito della abusiva prescrizione e consegna del farmaco Oxycontin, a base di oppioidi ed avente effetti stupefacenti simili a quelli dell’eroina;

2. ricorre per cassazione il difensore di C.P. lamentando:

2.1 mancanza di motivazione: rileva, in particolare, che il Tribunale del Riesame è venuto meno al suo compito di verificare la sussistenza del “fumus” alla luce delle argomentazioni difensive contenute nella istanza di riesame e nella memoria depositata unitamente alla documentazione allegata; richiama, quindi, le censure articolate in quella sede con riguardo: ai numerosissimi contatti con il M. relativi al prelievo, sempre autorizzato, di farmaci che il farmacista ha l’obbligo di consegnare; al fatto che il M. fosse un intermediario, circostanza assolutamente coerente con la natura del farmaco che, per l’appunto, suppone normalmente la incapacità del diretto interessato di provvedere di persona al suo ritiro; al fatto che i farmaci venissero consegnati al domicilio, elemento del tutto irrilevante e neutro atteso che il D.Lgs. 3 ottobre 2009, n. 153, art. 1, comma 2, lett. a) disciplina proprio questa modalità di consegna; alla affermazione, del tutto infondata, secondo cui sarebbero stati proprio i farmacisti, più volte, a sollecitare il M. ad acquisire le ricette ed a segnalare la disponibilità del farmaco.

Sottolinea che, in ogni caso, il C. non era in alcun modo consapevole della insussistenza dei presupposti per la regolare prescrizione del farmaco.

Rileva che, per ciascuna delle obiezioni difensive, la risposta fornita dal Tribunale è in realtà inconsistente ovvero comunque non coerente con l’argomentazione contrastata oltre che carente nel momento in cui richiama il contenuto di atti di indagine non riportati; aggiunge che non era stata depositata alcuna consulenza tecnica di parte ma solo un riepilogo contabile per dimostrare come l’utile correlato alla prescrizione di quei farmaci fosse assolutamente irrisorio rispetto a quello annuale della farmacia P., onde fornire un elemento di valutazione del compendio indiziario che sarebbe stato acquisito nel corso delle indagini.

Analogamente, nessun elemento a carico del ricorrente poteva essere desunto dal rinvenimento dei farmaci nella abitazione del M. risultando la motivazione, sul punto, del tutto apparente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato su censure non consentite in questa sede.

1. Il Tribunale ha ricordato, in primo luogo, che C.P. risponde del solo delitto di cui al capo 11) della rubrica provvisoria, ovvero della truffa aggravata che sarebbe stata commessa in concorso con la madre, P.A., titolare della farmacia di cui il medesimo è dipendente, e con il fratello G. (oltre che con G.F.S.M., B.G. e M.F.); in particolare, il G., medico convenzionato con il SSN, avrebbe prescritto abusivamente al B. farmaci contenenti sostanze stupefacenti del tipo ossicodone, in assenza dei necessari presupposti previsti dall’AIFA (patologie caratterizzate da dolore severo, non rispondenti ai comuni trattamenti antalgici, nella fase terminale, conseguenti soprattutto a patologie neoplastiche o degenerative); il B. avrebbe a sua volta sollecitato la compilazione delle predette prescrizioni e le avrebbe presentate presso varie farmacie per il tramite, nel caso che ci occupa, di M.F.; il M., dal canto suo, avrebbe ricevuto le prescrizioni presentandole alla farmacia P.; il C., infine, avrebbe dispensato i farmaci in violazione di quanto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 45 presentando inoltre tali prescrizioni per il successivo rimborso; in particolare, la farmacia dei C. avrebbe dispensato 2221 confezioni per il periodo compreso tra il 25.6.2015 ed il 30.12.2018 per un importo complessivo pari ad Euro 175.947,96, con vantaggio ingiusto per il B., il M. e loro stessi e con correlativo danno economico per il SSN.

Il Tribunale ha ritenuto sussistente il “fumus” del delitto ipotizzato nonchè, per altro verso, il “periculum in mora” rilevando che, in ogni caso, il sequestro è consentito in forza della confiscabilità del profitto dei reati di truffa aggravata per i quali si procede; ha inoltre ribadito la sequestrabilità delle somme non potendosi certamente ritenere che esse appartengano a soggetti estranei al reato di truffa quand’anche nella sua condotta iniziale ascrivibile al G., al B. ed al M..

I giudici del riesame hanno sottolineato che la vicenda è relativa a numerosissime confezioni di Oxycontin, farmaco oppioide per le cure palliative del dolore, composto da una molecola (l’ossicodone) simile a quella dell’eroina ed in grado di innescare forme di dipendenza analoghe; hanno precisato che la quantità delle confezioni non poteva sfuggire ai farmacisti e che la loro consapevolezza circa il carattere abusivo delle prescrizioni ben poteva essere desunto dalla violazione della normativa in materia di modalità di somministrazione e controllo richiamando, a tal proposito, il D.M. Salute 18 settembre 1997, art. 3.

Il Tribunale ha fatto riferimento alla disciplina di cui al D.P.R. n. 3029 del 1990 quanto ai poteri di verifica, controllo della conformità delle prescrizioni “off-label” tenuto anche conto delle previsioni contenute nel D.L. 17 febbraio 1998, n. 23 (convertito in L. 8 aprile 1998, n. 24).

Ciò non di meno ha rilevato che nel corso delle indagini era emerso che erano state consegnate, al medesimo destinatario, quantità di farmaci di gran lunga eccedenti il limite massimo di terapia (pari a trenta giorni) di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 45, comma 4 bis.

Con specifico riferimento al capo 11) della incolpazione provvisoria, ha quindi fatto riferimento all’accertamento tecnico eseguito ai sensi dell’art. 369 c.p.p. segnalando che il B. non era portatore di alcuna patologia tale da rendere necessario l’uso del farmaco in questione richiamando anche il tenore delle conversazioni intercettate all’interno dello studio medico del Dott. G..

Gli elementi indiziari a carico dei due fratelli C. e della P. erano stati inoltre rinvenuti nei numerosissimi e del tutto ingiustificati contatti telefonici da costoro intrattenuti con il M., persona diversa dal destinatario delle prescrizioni e presso la cui abitazione venivano consegnati i farmaci; ha sottolineato che erano sempre i farmacisti a contattare il M. per sollecitare la consegna di altre prescrizioni segnalando di volta in volta la disponiblità del medicinale che sarebbe stato rinvenuto in grandi quantità presso la stessa abitazione del M. il quale aveva in quella occasione riferito che esse provenivano, per l’appunto, dalla farmacia P. in forza di ricette mediche redatte dal Dott. G. ed intestate al B..

2.1 Fatta questa premessa in punto di fatto, non è inutile ricordare che il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., in tal senso, tra le tante, Cass. Pen., 2, 14.3.2017 n. 18.951, Napoli; Cass. Pen., 6, 10.1.2013n. 6.589, Gabriele).

Né è possibile invocare il vizio di violazione di legge (sotto il profilo, ad esempio, dell’art. 192 c.p.p.), quando il ricorso sia fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio (cfr., in tal senso, tra le tante, Cass. Pen., 6, 8.3.2016 n. 13.442, De Angelis; Cass. Pen., 6, 30.9.2013 n. 43.963, P.C. in proc. Basile).

Né, d’altro canto, è in grado di integrare il vizio di violazione di legge l’omessa valutazione di una memoria difensiva che, di per sé, non determina alcuna nullità, potendo al più influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 5, 21.9.2017 n. 51.117, Mazzaferro; Cass. Pen., 5, 17.1.2019 n. 24.437, Armeli; Cass. Pen., 3, 8.5.2019 n. 23.097, Capezzuto; Cass. Pen., 4, 9.1.2018 n. 18.385, Mascaro).

2.2 Per altro verso, si è più volte ribadito che in sede di riesame del sequestro il Tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, astraendo non già dalla concreta rappresentazione dei fatti come risultano allo stato degli atti, ma solo ed esclusivamente dalla necessità di ulteriori acquisizioni e valutazioni probatorie sicchè l’accertamento della sussistenza del “fumus commissi delicti” va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipizzata dalla norma incriminatrice (cfr., Cass. Pen., 3, 7.5.2006n. 33.873, Moroni; Cass. Pen., 6, 27.1.2004 n. 12.118, Piscopo; Cass. Pen., 3, 24.3.2011 n. 15.177, PM in proc. Rocchino; Cass. Pen., 5, 18.4.2011 n. 24.589, Misseri; Cass. Pen., 3, 10.3.2015 n. 15.254, Previtero; Cass. Pen., 2, 5.5.2016 n. 25.320, PM in proc. Bulgarella; conf., ancora, Cass. Pen., 1, 30.1.2018 n. 18.491, Armeli, secondo cui, ai fini della legittima adozione del sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato; Cass. Pen., 2, 28.1.2014n. 5.656, Zagarrio; Cass. Pen., 2, 11.12.2013 n. 2.248, Mirarchi).

3. Alla luce dei principi sopra appena richiamati, non può che concludersi nel senso della inammissibilità del ricorso in quanto le censure articolate nell’interesse del C. si risolvono, in realtà, nella contestazione della adeguatezza, congruità ovvero sufficienza della motivazione con cui il Tribunale del Riesame ha contrastato le obiezioni sollevate dalla difesa ribadendo la natura indiziaria delle circostanze di fatto analiticamente richiamate nel provvedimento impugnato.

La difesa, infatti, aveva sostenuto che nessuna di queste circostanze si prestasse ad una lettura univoca in termini di conferma della ipotesi accusatoria potendo (ed a suo avviso dovendo) più correttamente essere considerata in termini quantomeno “neutri”.

Dal canto suo, i giudici del riesame hanno invece sostenuto che la lettura combinata di tutti gli elementi indiziari acquisiti consente di fondare un giudizio di sussistenza del “fumus” in ordine al reato ipotizzato nella contestazione provvisoria come idoneo a giustificare il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

Come è evidente, tuttavia, le censure articolate con il ricorso si collocano senz’altro al di fuori del perimetro proprio del vizio di violazione di legge che, come pure si è chiarito, è l’unico suscettibile di essere denunziato in questa sede nei confronti della ordinanza impugnata.

4. Di qui, pertanto, la inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020