distrofia di genere e cambio anagrafico - il tribunale di milano descrive il percorso

17/02/2020 n. 1479 - Tribunale Milano sez. I

Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico

Con atto di citazione del 7.10.2019, Omissis ha chiesto che venisse rettificata l’attribuzione di sesso e variato il suo nome proprio, nel senso che il sesso risulti femminile e che il nome da “F.” divenga “F.” ai sensi della Legge 164/1982 e dell’art. 31 D. Lgs 150/2011.

Ha rappresentato che fin dalla più tenera età aveva evidenziato una psicosessualità nettamente femminile risultante da una naturale inclinazione ad assumere comportamenti femminili; che, come da certificato del dott. G.C., specialista in psichiatria e psicoterapia, gli era stata diagnosticata, a seguito di un percorso di psicodiagnostica unitamente ad un percorso di sostegno psicologico e di cure ormonali, la disforia di genere; che si presentava già alla collettività come donna in ogni ambito sia relazionale che lavorativo e che la differenza tra genere espresso e assegnato determinava un forte malessere ed un profondo desiderio di appartenere al genere opposto; che aveva intrapreso un percorso di assunzione di terapia ormonale presso l’Ospedale Niguarda, seguito dal dott. B., endocrinologo, ed aveva in progetto di sottoporsi all’intervento chirurgico di riassegnazione di sesso; che tale passaggio non era più richiesto come necessario a seguito della recente pronunzia della Corte di Cassazione ( sentenza n. 15138 del 20.7.2015) in adesione alla lettura offerta dalla Corte Edu del diritto al mutamento di sesso come espressione del diritto alla identità personale che non determini necessariamente il sacrificio della personale integrità psico fisica attraverso il ricorso necessario all’intervento chirurgico di riassegnazione di genere; che le caratteristiche del percorso individuale erano significative di una acquisizione completa e non reversibile di una identità femminile; che la giurisprudenza di merito aveva ormai riconosciuto la possibilità di ottenere contestualmente sia l’autorizzazione all’intervento chirurgico sia la rettifica dei dati anagrafici.

All’udienza del 30.1.2020 il ricorrente, sentito liberamente dal giudice relatore, ha dichiarato di avere percepito i primi segnali del suo disagio all’età di 9-10 anni; ha ricordato che la decisione di dichiararsi pubblicamene come donna era stata a lungo conservata nel proprio intimo nella convinzione di essere in grado di superare ogni difficoltà ugualmente; solo dopo diversi anni, aveva deciso di dedicarsi a sé stessa e di fare il passo della rivelazione pubblica. Ne aveva parlato con il compagno e con i genitori ricevendo pieno appoggio; nel 2016 aveva quindi fatto il passo verso la vita reale ed aveva quindi intrapreso anche il percorso di transizione assumendo terapia ormonale.

Ha dichiarato di essere intenzionata a procedere ad intervento chirurgico di riassegnazione dei caratteri sessuali ma di avere come immediata priorità quella della rettifica dei dati anagrafici.

Ha precisato di condividere la scelta con il compagno con il quale è legato da unione civile e di considerare la decisione di rettifica irreversibile, anche perché adottata dopo un lungo periodo di riflessione. Ha indicato quale nome da assumere quello di F..

All’udienza del 30.1.2020 è stato sentito anche il sig. Omissis., compagno dell’attore, il quale ha dichiarato di avere pienamente condiviso la decisione di F.Q. e di intendere dare continuità al legame affettivo già intrapreso e consolidato con l’unione civile.

Il G.I. ha quindi autorizzato la precisazione delle conclusioni in udienza; avendo la difesa rinunziato al deposito di memorie conclusionali, gli atti sono stati trasmessi al Tribunale in composizione collegiale per la decisione assunta nella camera di consiglio del 6.2.2020.

Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, ritiene che, sulla base della documentazione acquisita, la domanda possa essere accolta.

Infatti alla luce della documentazione depositata dalla difesa può affermarsi sussistente una disforia di genere nonchè sufficientemente accertato il completamento del percorso di transizione nei termini di irreversibilità richiesti dalla giurisprudenza e tali da consentire la riassegnazione di genere.

Va infatti ricordato che la Corte Costituzionale ha da tempo specificato che nel concetto di identità personale riconosciuto e garantito dall’art. 2 Cost. deve farsi rientrare anche quello di identità sessuale, ricostruibile non solo sulla base della natura degli organi riproduttivi esterni, bensì anche sulla base di elementi di ordine psicologico e sociale (Corte Cost. 24.05.1985 n. 161)

Va inoltre ricordato quanto più recentemente affermato dalla Corte Edu, nella sentenza del 10 marzo 2015, Affaire Y.Y. c. Turquie, nella quale il giudice sovranazionale – prendendo in esame le particolari previsioni del codice civile turco che prevede l’incapacità di procreare fra i requisiti per l’autorizzazione al cambiamento di sesso – ha ravvisato nella previsione della sterilizzazione come condizione imprescindibile di accesso al percorso di riconversione sessuale una violazione della libertà di definire la propria appartenenza sessuale, definita come parte essenziale del diritto all’autodeterminazione.

Di non minor rilevanza appare la recente pronuncia della Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 15138/2015, ha affermato il seguente principio di diritto: “il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso non può che essere preceduto da un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l’irreversibilità personale della scelta. Tali caratteristiche, unite alla dimensione tuttora numericamente limitata del transessualismo, inducono a ritenere del tutto coerente con i principi costituzionali e convenzionali un’interpretazione della L. n. 164 del 1982, articoli 1 e 3, che, valorizzando la formula normativa “quando risulti necessario” non imponga l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. L’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psicofisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del soma alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale”.

Ed ancora più di recente, ma non meno significativamente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/15, ha a sua volta affermato il principio secondo cui “il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.

Nel caso di specie, la relazione del dott. M.B. del 24.10.2018 dà conto di avere visitato F.Q. il quale utilizza da più di due anni terapia ormonale sostitutiva femminilizzante con estrogeni e terapia antimascolinizzante con antiadrogeni; in tutto questo periodo ha mostrato sempre assiduità nei controlli e soddisfazione nel cambiamento fisico in senso femminilizzante senza mai evidenziare alcun ripensamento o dubbio sul percorso prescelto.

Il dott. B. evidenzia altresì che il soggetto è stato sottoposto a ripetute valutazioni da parte dello psichiatra collegato al centro Onig che ha confermato la diagnosi di transessualismo primario e la necessità di adeguamento del soma; non sono state evidenziate altre aree di disturbo o disagio psichico, anzi i livelli di integrazione della personalità appaiono superiori alla norma con buon equilibrio complessivo.

Il dott. Bi… ha concluso affermando che “la necessità di autorizzazione all’adeguamento chirurgico del soma con contemporanea riattribuzione anagrafica appare indubitabile”.

Analoghe conclusioni sono formulate nella relazione a firma del dott. G.C., psichiatra e psicoterapeuta presso l’Ospedale Niguarda di Milano. Questi ha anche sottolineato come il percorso di femminilizzazione sia stato portato avanti anche durante il percorso di coppia che il sig. F.Q. ha instaurato dal 2002 con il compagno e nell’ambito lavorativo ( il sig. F.Q. lavora nel campo della moda).

Lo specialista ha concluso rilevando come parte attrice ” è portatore di Disforia di Genere e non presenta alcun altro disturbo psichiatrico in atto. Egli non ha mai mostrato deficit dell’esame di realtà. Il sig. Omissis. presenta una identità psicologica femminile che appare stabile e duratura; da numerosi anni vive in ruolo di genere femminile in tutti i contesti di vita inclusi quello lavorativo e della vita di relazione. La progressiva femminilizzazione e la vita nel ruolo del genere femminile sono state fonte di benessere e hanno lenito il disagio profondo che il paziente ha avvertito soprattutto a partire dall’adolescenza”.

Sulla base degli accertamenti medico psicologici acquisiti il Tribunale deve dunque constatare la sussistenza di una diagnosi certa e inequivoca di transessualità; il richiedente, che si trova attualmente in stadio di trasformazione in senso femminile, non presenta disturbi psicopatologici e dispone di capacità cognitive e volitive integre.

Tanto premesso le due domande svolte dalla parte attrice possono essere cumulativamente e contestualmente decise.

La prospettazione di parte attrice dà per certa la volontà e necessità di procedere all’intervento chirurgico – richiesta alla quale neppure in via subordinata la parte ha inteso rinunciare – al fine di “completare” e rendere pieno e definitivo il percorso di cambiamento di genere; dall’altro tuttavia il processo di adeguamento appare ormai irreversibilmente intrapreso e la decisione di sottoporsi al più presto all’intervento chirurgico è ferma di modo che appare sin d’ora autorizzabile una rettifica dei dati anagrafici che consentirebbe alla ricorrente quantomeno di mitigare le sofferenze legate all’attesa dell’intervento.

Del resto l’aspetto fisico del viso e del vestire, riscontrati dallo giudice in udienza, danno conto dello stato avanzato del percorso di adeguamento di genere la cui volontà di portare a compimento è stata espressa con modalità serie e determinate da F.Q., che ha espresso piena consapevolezza della irreversibilità e definitività della scelta.

Va quindi accolta la duplice e contestuale domanda volta sia alla autorizzazione dell’ intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali che appare utile e necessario al fine di dare a

P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, visti gli artt. 31 D. L.vo 150/11 e 1 e ss legge n. 164 del 1982, definitivamente pronunziando sulle domande svolte dall’attore

autorizza

F.Q., nato a Roma il .. a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico di adeguamento e modifica dei propri caratteri sessuali maschili ai caratteri sessuali femminili;

ordina

all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma ove l’atto di nascita è stato formato (atto numero 271, anno 1978, parte 1, serie A,) di effettuare la rettificazione della attribuzione di sesso di F.Q. nato a Roma il 25.9.1978 da maschile a femminile, nonché del nome proprio da F. a F..

manda il Cancelliere di comunicare copia della presente sentenza, passata in giudicato, all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma perché provveda alle annotazioni ed ulteriori incombenze di legge.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del giorno 6.2.2020