quale medico del servizio sanitario era socio occulto di centro medico privato finalizzato a compiere truffe ed abusi d'ufficio.
27/01/2017 n. 4103 - Penale Sent. Sez. 6
Il medico effettuava presso la struttura convenzionata un numero di visite superiore a quello dichiarato mensilmente alla Asl, omettendo di versare parte del ricavato, di cui pertanto egli integralmente si appropriava.
Rilascio certificazioni su timbro di altro medico.
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RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 settembre 2013, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale di Firenze il 27 febbraio 2009, ha condannato Stefano O. alla pena di tre anni e due mesi di reclusione per il reato di cui al capo a-bis) della imputazione, oggetto di contestazione suppletiva all’udienza del 5 maggio 2008, riqualificato quale peculato continuato (artt. 81 e 314 cod. pen.), esclusa la contestata aggravante (art. 61 n. 7 cod.pen.), per i fatti successivi al 23 marzo 2001. Con la medesima sentenza si è dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del prevenuto quanto ai reati di cui agli artt. 416, primo, secondo e terzo comma, 640, primo e secondo comma,
n. 1) e 476 cod. pen., contestati ai capi a), b), c) ed f) della rubrica, perché estinti per intervenuta prescrizione. Il prevenuto è stato in tal modo ritenuto partecipe, quale socio occulto, insieme ad altri sanitari del SSN, di un’associazione finalizzata al compimento di una serie di truffe, falsi, abusi di ufficio e peculati, in relazione a somme incassate per visite sportive e correlate certificazioni svolte presso il poliambulatorio M. F. 2000 a r.I., struttura accreditata, anche in regime di intramoenia, ai danni dell’Asl di Firenze, azienda di cui era dipendente il sanitario.
2. Ricorre per cassazione il prevenuto con il patrocinio del difensore dì fiducia ed articola sei motivi in annullamento, in relazione ai vari capi di imputazione. 3. Con il primo motivo, relativo al capo a-bis), oggetto di contestazione suppletiva del P.m. all’udienza del 5 maggio 2008, si denuncia violazione di legge per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (artt.521, comma 2, 522 cod. proc. pen., come richiamati dall’art. 598 cod. proc. pen.).
La Corte di appello condannando l’imputato per peculato, secondo originaria imputazione, così modificata la qualificazione di truffa ritenuta invece primo grado, aveva ritenuto il dottor O. responsabile, per contrasto con la normativa nazionale e regionale di settore, di avere svolto in regime pubblico visite e rilasciato certificati, apponendo firma e timbro falsi, al posto del dottor G. che, quale partecipe della diversa associazione G.- B., pure operante nei locali del poliambulatorio della M. F., era autorizzato ad emettere certificati agonistici ad atleti minori o affetti da handicap in regime esente o soggetto al solo pagamento del ticket. Si deduce in ricorso come la contestazione suppletiva (capo a -bis) avesse invece ad oggetto la diversa condotta di appropriazione del sanitario di somme di denaro dell’Asl di appartenenza, di cui egli aveva la disponibilità e che erano state da lui incassate nello svolgimento dell’attività libero- professionale di rilascio dei certificati di idoneità agonistica ad atleti maggiorenni, rese a pagamento, in regime di intra moenia presso la M. F..
Il medico effettuava presso la struttura convenzionata un numero di visite superiore a quello dichiarato mensilmente alla Asl, omettendo di versare parte del ricavato, di cui pertanto egli integralmente si appropriava. Nel dedotto disallineamento tra fatto contestato e fatto per cui era stata emessa sentenza, in ricorso si denuncia nullità per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza (art. 522 cod. proc. pen.).
4. Con il secondo motivo di ricorso, si fanno valere i vizi di erronea applicazione di norma penale sostanziale (in relazione all’art. 314 cod. pen.) e di contraddittorietà della motivazione anche per travisamento degli esiti di prova, dovendo il fatto contestato al capo a -bis) essere qualificato come truffa ai danni dello Stato ai sensi dell’art. 640, secondo comma, n. 1 cod. pen., in difetto in capo all’agente del possesso o disponibilità delle somme e dell’appartenenza di queste ultime alla pubblica Amministrazione. 5. Con il terzo motivo, relativo ai capi a), b) e c) della rubrica, fa valere mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, contestando la sussistenza dei correlati reati ritenuti. Deduce la difesa che la Corte territoriale nella parte dell’impugnata sentenza in cui aveva confermato, pur dichiarandone la prescrizione, l’esistenza dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e di falso in atto pubblico, aveva commesso evidenti salti logici e travisato alcune risultanze probatorie, testimoniali, intercettative e documentali, sulla presenza dell’O. presso la struttura accreditata e sulle assenze del dottor G.. 4.2.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione della legge penale (in relazione agli artt. 416 e 640, secondo comma, n. 1 cod. pen.) per contestata sussistenza del danno ingiusto in relazione al delitto di truffa nel necessario contenuto patrimoniale e non morale dello stesso. La circostanza che fosse contestato ai prevenuti il rilascio di certificazioni all’esito di visite che essi erano autorizzati a svolgere e che l’Asl aveva rimborsato a soggetti comunque esenti, avrebbe escluso il danno. Il servizio era stato poi reso da soggetto professionalmente qualificato senza alcun danno o pericolo per la salute dei singoli fruitori. 6. Con il quinto motivo, si deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione quanto al reato di falso (art. 476 cod. pen.), ritenuto anche per una serie di certificati — su cui non vi era comunque prova che riguardassero soggetti esenti e come tali possibili pazienti dei dottori G. e B.— emessi dal prevenuto a sua firma là dove in imputazione si contestava di aver formato illecitamente certificati a firma G. e B., sanitari che, accreditati presso l’Asl, avrebbe avuto il diritto al rimborso. 7. Con il sesto motivo, quanto al capo f) della rubrica, si fa valere l’erronea applicazione del C.C.N.L. 98 del 2001 e delle direttive europee 93/104/CE e 200/34/CE, recepite con il d.lgs. n. 66 del 2003.
Per il capo f) il prevenuto era stato condannato per truffa aggravata dalla violazione dei doveri inerenti la sua qualità di medico pubblico dipendente ed ai danni dell’Asl perché egli, assentandosi sistematicamente dall’Ospedale S.M. Annunziata di cui era dipendente, dal settembre 2001 al settembre 2002 in orario di lavoro con periodica frequenza, mediante inserimento di un orario di entrata e di uscita difforme dal reale sul cartellino di presenza, induceva in errore l’Asl di Firenze che gli corrispondeva stipendi mensili a fronte di ore di lavoro non svolte, in tal modo determinando un ingiusto profitto ed un contestuale danno ingiusto per l’Azienda.
Il ‘monte ore’ retribuito sarebbe stato determinato in modo erroneo senza tener conto dell’attività istituzionale prestata dal prevenuto quale Dirigente Medico e senza rilevare l’incidenza che il raggiungimento degli obiettivi ha sull’ammontare dello stipendio mensile (art. 16, Capo II, del C.C.N.L. – Compatto Sanita’ Quadriennio 1998-2001 – Area relativa alla Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale; direttive europee recepite con il d.lgs. n. 66 del 2003, art. 17, comma 5, d.lgs. cit.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per il proposto ricorso vengono in contestazione titoli di reato rispetto ai quali la Corte di appello fiorentina ha emesso declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Tali il reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento, da parte di medici dipendenti del SSN associati in struttura privata, la M. F. 2000 a r.I., di una serie di falsi in certificazioni mediche, truffe ai danni di ente pubblico per il conseguimento di rimborsi non dovuti, abusi di ufficio, peculati, ed i singoli correlati reati-fine (capi a), b) e c) della rubrica).
2. Tanto ritenuto, quanto al capo a -bis) della rubrica, con il primo motivo di ricorso viene dedotta una causa di nullità della sentenza per avere i giudici di appello pronunciato su un fatto nuovo, non contestato ed essere quindi incorsi nella inosservanza dell’art. 522 cod. proc. pen. La deduzione è fondata nei termini ed agli effetti di seguito indicati.
L’O. per siffatto titolo è stato infatti condannato per aver rilasciato, nell’ambito dell’attività libero professionale svolta all’interno del poliambulatorio della M. F., certificati di idoneità sportivo- agonistica con la firma ed il timbro di altro professionista, il dottor G., sanitario autorizzato, lucrando dalla Usl di dipendenza una quota che non gli sarebbe spettata.
Come fondatamente deduce la difesa del prevenuto, il capo in questione afferisce invece alla diversa condotta di appropriazione di somme di denaro derivanti dall’effettuazione di un numero di visite ad atleti maggiorenni per la certificazione di idoneità all’attività agonistica, in regime di intramoenia presso il poliambulatorio della M. F. di via xx.
Si imputa per siffatto comportamento al prevenuto di avere trattenuto tali somme omettendo di trasferirle alla Asl di appartenenza che avrebbe poi provveduto ad una restituzione parziale al sanitario, secondo il regime dell’intramoenia. Il richiamo operato in sentenza alla diversa condotta di falsificazione di timbri e firme del dottor G. — sanitario autorizzato alla prestazione in quanto appartenente all’associazione G.-B.pure operante all’interno del poliambulatorio — con effettuazione, a nome di questi, di visite specialistiche e rilascio di certificazione di idoneità sportivo-agonistica ad atleti minorenni o affetti da handicap, attiene invece ad altra vicenda, pure contestata all’O., ma in relazione ad altre imputazioni.
Tanto valga infatti quanto al diverso capo a) della rubrica, nella parte in cui si contesta al prevenuto il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen. diretto alla commissione di una serie indeterminata di truffe aggravate ai danni di ente pubblico, l’Asl di Firenze, per il conseguimento di rimborsi non dovuti per visite sportive a carico del SSN e di falsi in certificati medici, ed ai correlati ‘reati-fine’, contestati ai successivi capi b) e c) della rubrica.
2.1. L’impropria commistione, operata nell’impugnato titolo, di condotte afferenti a distinti capi sortisce l’effetto di definire un ‘fatto nuovo’, come tale non contestato in rubrica ed al quale si accompagna la nullità della sentenza (artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) nella parte in cui la stessa si pronuncia sul capo a -bis) negli indicati termini.
Nella non inammissibilità del motivo di ricorso, va dichiarata la prescrizione del reato di cui al capo a -bis) della rubrica, riqualificato dalla Corte territoriale quale peculato aggravato continuato, in concorso con altri (artt. 81 cpv, 110, 314, 61 n. 7 cod. pen.). A tale titolo sono state contestate al prevenuto condotte poste in essere fino al primo semestre del 2002, con conseguente maturazione ad oggi della prescrizione, ai sensi del novellato art. 157 cod. pen. (I. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, nell’applicabilità temporale definita da Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv. 244810), e ciò nella pure stimata esistenza di periodi di sospensione. 2.2.
La pronunciata di nullità è compatibile con la immediata declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. nel rilievo, ormai squisitamente civilistico, della adottata pronuncia. Come questa Corte ha già affermato per persuasive valutazioni, nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, se non è rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva, pur tuttavia resta salva la contraria ipotesi della valutabilità della nullità, da valere in termini di eccezione alla regola, ove la sentenza di merito, affetta da nullità, abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o alle restituzioni.
In tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili (Sez. 2, n. 3221 del 07/01/2014, Macchia, Rv. 258817).Ciò posto, per la ritenuta nullità cadono le statuizioni civili correlate che vanno quindi revocate, assorbito poi ogni ulteriore motivo articolato quanto al capo a -bis) in punto di dedotta errata qualificazione del fatto (secondo motivo di ricorso). 3. Nel resto, quanto ai motivi dal terzo al sesto, il mezzo proposto è inammissibile perché ha ad oggetto, violazioni di legge e vizi di motivazione non deducibili a fronte della declaratoria di estinzione dei reati emessa dalla Corte di appello (capi a), b) e c) della rubrica) ed in difetto di alcun riferimento in ricorso ai soli capi relativi agli interessi civili (Sez. 6, n. 23594 del 19/03/2013, Luongo, Rv. 256625).
4. La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio perché i reati sono prescritti, revocate le statuizioni civili che si accompagnano al punto della sentenza colpito dalla rilevata nullità d’ordine processuale, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione e rinvia alla Corte di appello civile competente per valore e territorio per la decisione sulla domanda civile.
Così deciso, il 22/11/2016