deontologia rifiuto iscrizione per errata valutazione dei precedenti penali
28/03/2008 n. 41 - Commissione Centrale Professioni Sanitarie
Correttamente il ricorrente lamenta che la decisione del Collegio ha trascurato la distinzione tra le sentenze penali per cui è stabilita la non menzione nel certificato del casellario giudiziale dalle ipotesi in cui detta menzione è prevista.
Correttamente il ricorrente lamenta che la decisione del Collegio ha trascurato la distinzione tra le sentenze penali per cui è stabilita la non menzione nel certificato del casellario giudiziale dalle ipotesi in cui detta menzione è prevista. Infatti, l’art. 175 del codice penale, disponendo in determinati casi la non menzione, assicura una tutela a favore del condannato, al fine di impedire una diminutio della sua reputazione sociale. Invece il Collegio, verificata l’esistenza di un precedente penale, ha deliberato la non iscrizione all’albo in modo acritico e meccanico.
Inoltre, secondo gli art. 24 e 25 del D.P.R. n. 313/2002, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti», in caso di sentenza di patteggiamento le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale spedito a richiesta di privati non sono riportate nei relativi certificati. La ratio delle disposizioni che prevedono l’esclusione di talune iscrizioni dal certificato del casellario giudiziale è, in effetti, quella di incentivare il recupero del condannato attraverso l’eliminazione di una delle conseguenze negative del reato quale quella attinente alla pubblicità del suo autore attraverso l’eliminazione dell’annotazione di pronunce relative a fatti di modesta dimensione o comunque indicativi di una ridotta antisocialità
È illegittimo il provvedimento con cui il Collegio ha deliberato, con automatismo, il diniego di iscrizione nell’albo professionale, operando un formale riferimento all’art. 6 del D.P.R. n. 221/1950, in quanto il reato di resistenza a pubblico ufficiale ascritto al ricorrente – prevedendo una pena edittale superiore nel massimo ad anni cinque di reclusione – rientrerebbe nella previsione di cui all’art. 42 del D.P.R. 221, richiamato dall’art. 6 citato, il quale prevede la radiazione, tra gli altri, per quei delitti non colposi per i quali la legge commina la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque.
Il diniego di iscrizione, invece, dovrebbe essere adeguatamente motivato con riferimento al disvalore del precedente penale dal punto di vista deontologico, soprattutto quando l’episodio al quale si riferisca la condanna non riguardava, nemmeno indirettamente, l’esercizio dell’attività di assistenza alla persona