reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro

31/01/2017 n. 2498 - sez Lavoro

Svolgimento del processo

1.— La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 29 ottobre 2013, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo a R M in data 12 ottobre 2010 da D I, titolare di una farmacia, condannando quest’ultimo alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, con le pronunce conseguenziali previste dall’art. 18 St. lav.. La Corte territoriale ha ritenuto che nella lettera di licenziamento non fossero state sufficientemente specificate le ragioni del licenziamento e che alla successiva missiva del 18 ottobre 2010, con cui il lavoratore aveva chiesto “spiegazioni in merito”, l’Imbesi aveva replicato il 25 ottobre 2010 senza alcun riferimento “ai motivi concreti e oggettivi” che lo avevano indotto a licenziare il M, violando così l’art. 2, co. 2, della I. n. 604 del 1966. La Corte ha inoltre ritenuto che non vi fosse la prova che il titolare della farmacia avesse un numero di dipendenti uguale o inferiore a quindici al momento del licenziamento in controversia.
2.— Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D I con cinque motivi, illustrati da memoria. Non ha svolto attività difensiva R M. Motivi della decisione
3.— Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della I. n. 604 del 1966 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il M, con la lettera di impugnativa del licenziamento del 18.10.2010, avesse richiesto le motivazioni del licenziamento. Si deduce, in ogni caso, che i motivi del licenziamento già indicati nella lettera di recesso del 12.10.2010 escludevano l’obbligo datoriale di doverli specificare nuovamente nella seconda comunicazione dei 25.10.2010. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co. 2, della 1. n. 604/66, in relazione agli artt. 1363, 1366, 1375 e 1175 c.c. perché il contenuto dei motivi di licenziamento era evincibile dalla lettura congiunta delle due comunicazioni ai fini della complessiva valutazione di specificità. Le censure, che possono esaminarsi congiuntamente perché relative al medesimo aspetto della sentenza impugnata, non possono trovare accoglimento. Nonostante la denuncia formale di violazione di plurime norme di diritto, nella sostanza si contesta l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale in ordine al contenuto degli atti richiamati in punto di specificità delle ragioni poste a fondamento del licenziamento. Evidentemente si tratta di un apprezzamento di fatto, congruamente espresso dalla Corte territoriale, che non è meritevole delle censure che vengono mosse in quanto si travalicherebbero i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014.
4.— Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della I. n. 300 del 1970 per avere la Corte territoriale omesso di valutare, ai fini dell’insussistenza del requisito dimensionale, l’allegato Libro Unico del Lavoro dal quale risultava, in base alla quota oraria di ciascun dipendente part time, che l’organico aziendale era di 13,47 unità e non di 17. Si censura altresì la valutazione di inattendibilità dei testi escussi formulata dalla Corte di Appello. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per avere collegato alla mancata produzione del libro matricola il mancato assolvimento dell’onere della prova sul requisito dimensionale, trascurando di considerare che, con l’art. 39 del d.l. n. 112 del 2008, conv. in I. n. 133 del 2008, è stato abolito il libro matricola e registro d’impresa. Anche tali censure, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, in concreto si dolgono dell’accertamento della sussistenza del requisito dimensionale effettuato dalla Corte di Appello, incontrando la medesima preclusione di cui ai motivi che precedono imposta dalla nuova formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, che inibisce a questa Corte ogni riesame della quaestio facti. Quanto all’abolizione del libro matricola è sufficiente evidenziare che il dato non ha alcun valore decisivo nella motivazione della sentenza impugnata atteso che la Corte romana ha tratto il convincimento che l’Imbesi valicasse la soglia del requisito dimensionale ai fini dell’applicabilità della tutela reale sulla base di una pluralità di circostanze e non solo per la mancata produzione del libro matricola.
5.— Con il quinto motivo si lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio “vale a dire la deduzione di aliunde perceptum formulata dal dott. I”. Si deduce che la sentenza impugnata sarebbe “incorsa in netto vizio di motivazione non avendo in alcun modo esaminato l’eccezione e l’allegazione formulata dal ricorrente nella memoria di costituzione in giudizio”. La doglianza è infondata. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che l’eccezione con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte: pertanto, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d’ufficio tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato (Cass. SS.UU. n. 1099 del 1998). Tuttavia è il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore ad essere onerato, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell’aliunde perceptum o dell’aliunde percipiendum, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (Cass. n. 9616 del 2015; Cass. n. 23226 del 2010). Inoltre è stato anche precisato che, ai fini della sottrazione dell’aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore ingiustamente licenziato, è necessario che risulti la prova non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito essendo questo il fatto che riduce l’entità del danno presunto (Cass. n. 21919 del 2010; Cass. n. 6668 del 2004).R.G. n. 11096/2014 Nel caso di specie la deduzione della difesa dell’I secondo cui “il dott. M, dal mese di febbraio 2011 ha lavorato come farmacista presso altra farmacia di Roma, nonché effettuando varie sostituzioni presso altre farmacie della provincia di Roma” è talmente generica, anche circa il quantum di quello che sarebbe stato diversamente percepito, da risultare inadeguata allo scopo e priva della necessaria decisività.
6.— Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese di giudizio in difetto di attività difensiva dell’intimato. Poiché il ricorso per cassazione risulta nella specie proposto in data 24 aprile 2014 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.