Responsabilità del radiologo e del medico di pronto soccorso. Morte per tromboembolia

14/03/2022 n. 8114 - n. 8114 Civile Sent. Sez. 3 8114


FATTI DI CAUSA

Con sentenza resa in data 11/1/2019, la Corte d’appello di Palermo, decidendo quale giudice civile in sede di rinvio, a seguito di annullamento in sede penale di legittimità, ha rigettato la domanda proposta da (OMISSIS) , per la condanna dell’Azienda Ospedaliera ‘Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” di Palermo, (OMISSIS), al risarcimento dei danni subiti dagli attori a seguito del decesso di (OMISSIS) (loro congiunto) in conseguenza dell’asserita responsabilità dei convenuti sanitari attivi presso l’azienda ospedaliera convenuta, avendo detti sanitari colpevolmente trascurato l’approfondimento diagnostico delle condizioni del (OMISSIS) , presentatosi al reparto di pronto soccorso dell’azienda ospedaliera a seguito di un sinistro stradale nel quale era stato precedentemente coinvolto, così omettendo di avvedersi della frattura alle ossa del bacino subita dal (OMISSIS) per effetto di tale sinistro; e per aver colpevolmente omesso di adottare gli opportuni presidi terapeutici di carattere farmacologico (segnatamente la somministrazione di eparina) indispensabili al fine di impedire il decesso del (OMISSIS) verificatosi a causa di una trombosi polmonare indicata come conseguente alla stasi imposta a carico del paziente in ragione della rilevata frattura ossea.

A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base del complesso degli elementi istruttori acquisiti in sede penale (pacificamente utilizzabili anche dal giudice civile), fosse emersa la totale incolpevolezza dei sanitari coinvolti nella vicenda in esame, essendo risultato come nessuna evidenza probatoria avesse manifestato in modo inequivocabile (e comunque ragionevolmente rilevabile da un professionista del livello dei sanitari convenuti in giudizio) l’esistenza della frattura al bacino lamentata dal (OMISSIS) , né essendo emersa con certezza alcuna prova del nesso di causalità tra le omissioni contestate ai sanitari e il decesso del paziente.

Avverso la sentenza del giudice del rinvio, (OMISSIS) , (OMISSIS) e (OMISSIS) , propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di impugnazione.

L’Azienda Ospedaliera ‘Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” di Palermo, Giovanni Lipari, Antonio (OMISSIS) , Alfredo Salamone e Antonio Ciavarello, resistono ciascuno con un proprio controricorso.

Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, instando per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

(OMISSIS) , (OMISSIS) e (OMISSIS) ; l’Azienda Ospedaliera ‘Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” di Palermo; Giovanni Lipari e Alfredo Salamone, hanno depositato memoria.

(OMISSIS) non ha svolto difese in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1218 e 1228 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso, sulla base di una lettura inadeguata dei dati probatori complessivamente acquisiti, la responsabilità colposa del (OMISSIS) (medico radiologo presso la struttura ospedaliera convenuta) nella causazione del decesso del (OMISSIS) , e per aver erroneamente escluso la sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni addebitate allo stesso (OMiSSIS) e il decesso del paziente, dovendo ritenersi che gli estremi documentali acquisiti e gli esiti delle consulenze tecniche eseguite in sede penale avessero attestato, in modo sufficientemente inequivocabile, la piena diagnosticabilità della frattura ossea occorsa a carico del (OMISSIS) all’epoca della relativa presentazione al pronto soccorso della struttura ospedaliera convenuta, nonché l’esistenza di un preciso nesso di causalità (valutabile secondo il tradizionale parametro civilistico della preponderanza dell’evidenza) tra le omissioni in cui era colpevolmente incorso il (OMISSIS) e la trombosi che ebbe a condurre il (OMISSIS) al decesso.

2. Il motivo è infondato.

3. Osserva il Collegio come la corte territoriale abbia proceduto all’analisi del comportamento del radiologo (OMISSIS) in termini sufficientemente approfonditi e sulla base di un ragionamento logicamente congruo e giuridicamente corretto.

4. In particolare, il giudice a quo ha con chiarezza evidenziato gli elementi di prova acquisiti in relazione al punto concernente la (non) riconoscibilità della frattura ossea al bacino subita dal (OMISSIS) a seguito del sinistro stradale che lo condusse al pronto soccorso di Palermo, evidenziando come gli strumenti di valutazione rilevanti, ai fini della diagnosticabilità di tale frattura ossea, fossero sostanzialmente ‘muti’, rispetto all’impegno di un professionista del livello pari a quello del (OMISSIS) , con la conseguente insussistenza di alcun residuo di rimproverabilità colposa a suo carico.

5. Sul punto, la decisione impugnata ha rilevato come dagli atti del procedimento penale fosse emerso che gli esami radiografici non evidenziarono alcuna frattura nella zona del bacino tali da suggerire l’opportunità dell’esecuzione di esami più approfonditi (cfr. pag. 7 della sentenza d’appello; v. in particolare quanto riferito, in sede di incidente probatorio, dal consulente del giudice per le indagini preliminari: pag. 8).

6. Sul punto, i giudici della corte palermitana hanno sottolineato come il contenuto della relazione del consulente del pubblico ministero, in occasione dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice per le indagini preliminari, ebbe a precisare, con riferimento all’esame radiologico del 17/8/2004, che l’esame era stato esteso, con campo allargato, anche al bacino, e che la fattura della branca ileo-pubica non era visibile all’esame, in quanto non vi era allontanamento (diastasi) dei margini ossei, mentre la stessa è stata sospettata solo nei diagrammi eseguiti dopo diversi giorni presso l’abitazione del (OMISSIS) con le proiezioni oblique che evidenziavano il margine inferiore della frattura, con le conseguenza che la diagnosi del (OMISSIS) (negativa in relazione alla frattura) doveva ritenersi, per l’epoca in cui fu fornita e la documentazione illo tempore disponibile, correttamente formulata e “rientrante nella media preparazione dello specialista”.

7. In particolare, come rilevato dal dott. Maggio (il medico che aveva già in cura il (OMISSIS) per una pregressa lombosciatalgia), la possibilità di accertare radiologicamente la frattura del bacino è emersa solamente a seguito della radiografia successivamente prescritta dallo stesso, atteso che, solo a distanza di tempo, si sono verificati i processi riparativi ossei con la formazione del callo osseo (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).

8. Il complesso di tali elementi istruttori, valutato dal giudice a quo in termini logicamente coerenti e giuridicamente corretti, è pertanto valso a escludere la riconoscibilità di qualsivoglia profilo di rimprovera responsabilità colposa nel comportamento esecutivo del (OMISSIS) , sì da superare, siccome assorbita per difetto di rilevanza, ogni ulteriore questione in ordine all’eventuale ricorso di elementi idonei ad attestare la sussistenza di un ricostruibile nesso di causalità tra il comportamento del (OMISSIS) e il decesso del paziente.

9. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1218 e 1228 c.c., nonché degli artt. 112 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso, sulla base di una lettura inadeguata degli elementi di prova complessivamente acquisiti, la responsabilità colposa della struttura ospedaliera convenuta e di tutti gli altri sanitari convenuti (diversi dal (OMISSIS) ) coinvolti nella vicenda del (OMISSIS) , e per avere altresì escluso la sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni imputate a detti convenuti e il decesso del paziente, dovendo ritenersi che gli estremi documentali acquisiti e gli esiti delle consulenze tecniche eseguite in sede penale avessero attestato, in modo sufficientemente inequivocabile, la piena diagnosticabilità della frattura ossea occorsa a carico del (OMISSIS) all’epoca della relativa presentazione al pronto soccorso della struttura ospedaliera convenuta, nonché la sicura acquisizione di elementi obiettivi di valutazione tali da rendere esigibile, da detti sanitari, la prescrizione terapeutica (consistente nella somministrazione di eparina) indispensabile al fine di cautelare le prevedibili conseguenze connesse alla condizione di stasi del paziente, nonché l’esistenza di un preciso nesso di causalità (valutabile secondo il tradizionale parametro civilistico della preponderanza dell’evidenza) tra tutte le omissioni in cui erano colpevolmente incorsi detti medici e la trombosi che ebbe a condurre al decesso del (OMISSIS) .

10. Il motivo è fondato, nei limiti e secona i termini di seguito indicati.

11. Osserva il Collegio come la censura in esame colga un punto critico non adeguatamente esplorato nella sentenza impugnata, e segnatamente la questione concernente l’accertamento dei profili di rilevanza colposa della condotta omissiva dei sanitari (diversi dal radiologo (OMISSIS) ) specificamente riguardante la mancata somministrazione dell’eparina, ossia l’effettiva sussistenza di elementi obiettivi di valutazione che avrebbero certamente reso esigibile il riconoscimento della necessità di adottare tale presidio farmacologico terapeutico in considerazione della stasi cui il paziente era stato costretto dal sinistro stradale, indipendentemente dal fatto che detta stasi fosse stata imposta dalla frattura ossea o da altra causa.

12. In breve, al di là della circostanza concernente l’obiettiva diagnosticabilità della frattura ossea del bacino, varrà considerare come la valutazione clinica dei sanitari (diversi dal radiologo) che ebbero immediatamente a disposizione gli elementi costitutivi del quadro clinico del (OMISSIS) , all’atto della relativa presentazione presso il pronto soccorso, avrebbe verosimilmente dovuto comprendere la prospettiva, concretamente verosimile, di una persistente condizione di stasi del paziente per un tempo ragionevolmente significativo, in considerazione della rilevantissima sintomatologia dolorosa dallo stesso riportata.

13. Ciò posto, la prevedibile formazione di una trombo-embolia polmonare dovuta alla prolungata immobilità alla quale il paziente fu costretto a seguito del trauma subito (trombo-embolia polmonare che gli stessi giudici palermitani hanno riconosciuto come alla base del decesso del (OMISSIS) ), avrebbe in ipotesi necessariamente dovuto indurre i sanitari del pronto soccorso, indipendentemente dall’esistenza della frattura del bacino e della sua mancata evidenziazione, ad assumere le necessarie contromisure terapeutiche (e, in primo luogo, a provvedere alla somministrazione dell’eparina), essendo chiaro come l’immobilizzazione di un paziente costituisca un importante fattore di rischio per trombosi venosa profonda, e ciò a prescindere da un trauma, essendo tutti i pazienti allettati soggetti a un concreto rischio di trombosi (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).

14. Sul punto, il giudice a quo, dopo aver (correttamente) riconosciuto come un’eventuale terapia eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e il conseguente decesso del (OMISSIS) , ha tuttavia aggiunto, richiamando sul punto le dichiarazioni rese dal dott. Padania (consulente del pubblico ministero in sede penale), come la terapia eparinica fosse idonea a proteggere il paziente traumatizzato da una trombosi venosa profonda solo nel 68/70% dei casi, non potendo escludersi una certa percentuale di casi che, nonostante il trattamento con terapia eparinica, si concludono ugualmente con la morte del paziente (cfr. pag. 14).

15. In forza di tali premesse – e dunque sul presupposto dell’inesistenza di alcuna “prova certa” dell’efficacia causale della terapia eparinica (“nessuna prova certa, quindi, che la terapia in questione […] avrebbe comunque evitato il verificarsi della trombo- embolia polmonare”) – il giudice a quo ha tratto la conclusione dell’inesistenza di un prospettabile nesso di causalità materiale tra l’omissione imputabile ai medici convenuti e il decesso del paziente, attesa la mancata dimostrazione, in chiave probatoria, che un eventuale comportamento terapeutico corretto dei medici (ricostruito in termini controfattuali) avrebbe evitato, in termini causali, la verificazione dell’evento letale così come in concreto manifestatosi.

16. Nei termini indicati, la motivazione della corte territoriale non si sottrae alle censure articolate nel motivo in esame.

17. Sul punto, varrà considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (Sez. 3, Ordinanza n. 23197 del 27/09/2018, Rv. 650602 – 01).

17. Nel caso di specie, il giudice a quo, lungi dall’esigere, ai fini del riconoscimento del nesso di causalità tra l’omissione ascritta ai sanitari convenuti e il decesso del (OMISSIS) , la ‘prova certa’ dell’efficacia salvifica del trattamento eparinico (sulla base di uno standard probatorio, quello della certezza capace di resistere ad ogni ‘ragionevole dubbio’, valido ed efficace ai fini della ricostruzione della responsabilità penale di un imputato di reato), avrebbe viceversa dovuto orientare il giudizio sull’efficacia rappresentativa degli elementi probatori acquisiti nella prospettiva della preponderanza dell’evidenza, ossia della maggior probabilità (in termini logici o ‘baconiani’) del successo terapeutico della somministrazione di eparina rispetto all’esito contrario. Una verifica che, già sul piano astratto, l’avvenuto riconoscimento dell’idoneità della terapia eparinica a proteggere il paziente traumatizzato da una trombosi venosa profonda nel 68/70% dei casi (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata) avrebbe consentito di avviare a un giudizio affermativo (circa la positiva sussistenza del nesso di causalità), una volta (eventualmente) escluso il decorso o l’incidenza di serie causali alternative.

18. Una volta stabilita la relazione causale in esame sulla base dello standard probatorio indicato, la corte territoriale avrebbe dovuto approfondire in modo adeguato e scrupoloso gli indici istruttori utili ai fini della ricostruzione dei profili di esigibilità (e dunque di rimproverabilità) dell’eventuale condotta terapeutica corretta dei medici dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale palermitano, al fine di attestarne (o di negarne) la concreta responsabilità colposa (ai fini civilistici) in relazione al decesso del paziente.

19. Avendo il giudice a quo svolto il proprio ragionamento, in termini di causalità, esclusivamente in relazione al parametro probatorio configurato sul metro della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, la sentenza impugnata dev’essere cassata sul punto, e la causa nuovamente rimessa al giudice del rinvio affinché abbia a riformulare il proprio giudizio sulle questioni indicate in conformità al seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio contro fattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c. d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)”.

20. Quanto invece alla questione legata alla prospettata rimproverabilità del profilo omissivo contestato a carico dei sanitari convenuti in ordine alla concreta diagnosticabilità della frattura ossea, ritiene il Collegio di dover disattendere le censure critiche sul punto avanzate dai ricorrenti, valendo al riguardo le medesime considerazioni già esposte in corrispondenza del rigetto del primo motivo di ricorso; considerazioni (nel loro insieme esaurite sul piano della non rimproverabilità colposa del comportamento sanitario) tali da consentire di superare, siccome assorbita, la rilevanza di ogni altra questione in termini di causalità, pure essa scorrettamente affrontata, sul punto, dal giudice d’appello, sulla base dei parametri probatori della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, e non già sulla base del criterio della preponderanza dell’evidenza rilevante in sede civile.

21. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 116 e segg. c.p.c. ed omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inattendibili le dichiarazioni testimoniali rese dai congiunti del (OMISSIS) in relazione alla decisiva circostanza costituita dagli acutissimi stati dolorosi denunciati dal Galeotti in occasione del relativo ricovero presso la struttura ospedaliera convenuta, sottostimandone la decisiva valenza indiziaria in relazione alla scoperta della frattura al bacino (solo successivamente accertata in termini inequivocabili) a carico del paziente.

22. Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 116 e segg. c.p.c. ed omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disporre la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio invocata dagli odierni ricorrenti al fine di pervenire al definitivo accertamento della responsabilità di tutti i convenuti nella causazione del decesso del proprio congiunto.

23. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili.

24. Osserva il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).

25. Nella specie, i ricorrenti, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.) – si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità.

26. Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo motivo nei termini in precedenza indicati, disattese tutte le restanti censure, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo nei limiti di cui in motivazione; rigetta tutte le restanti censure; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in dive in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile, il 13 dicembre 2021.

spese straordinarie imprevedibili e rilevanti: strumenti processuali per ottenerne il rimborso

13/01/2021 n. 379 - Sezione Prima

1. Il Giudice di Pace di Bassano del Grappa, con la sentenza n. 498 del 2013, in accoglimento della domanda proposta da AAAA nei confronti di BBBB, genitori naturali della minore CCCC, nata l'(OMISSIS), affetta da “Trisomia 21”, pronunciando in un giudizio di opposizione a precetto al primo intimato per l’importo di Euro 1.747,14 a titolo di pagamento delle spese straordinarie, rispetto alle quali era stato riconosciuto l’obbligo di contribuzione del padre nella misura del 50%, annullava il precetto opposto.

Il giudice di primo grado riteneva infatti che perché le spese straordinarie potessero essere oggetto di esecuzione forzata ne occorresse l’accertamento in una autonoma sede giudiziale, non potendo intendersi come immediatamente esecutivo il provvedimento cautelare del Tribunale di Padova che, adito in via d’urgenza dalla madre, aveva altresì determinato l’ammontare dell’assegno mensile di mantenimento dovuto dal padre in Euro 424,00.

2. Su appello di BBBB, il Tribunale di Vicenza con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta, escluse le spese per l’acquisto di quaderni e materiale di cancelleria, per un importo pari ad Euro 43,45, e ridotto in pari misura il precetto, ha qualificato, nel resto, come straordinarie le altre spese, confermando così la residua somma portata nel titolo opposto.

3. Ricorre per a cassazione della sentenza di appello AAAA con sei motivi. Resiste con controricorso C.D.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-ibis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 474 c.p.c. e quindi la carenza di un titolo esecutivo. Le somme portate in precetto a titolo di, rimborso spese straordinarie non costituivano un diritto certo, liquido ed esigibile.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente inteso la giurisprudenza della Corte di Cassazione, confondendo, in materia di ripetibilità di esborsi sostenuti dal genitore per il figlio, gli stilemi “spese ordinarie” e “spese straordinarie”.

2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione di legge in cui era incorso il tribunale nell’interpretazione fornita della nozione di “spese straordinarie”.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente; il giudice di appello aveva qualificato come “straordinarie” e quindi ricomprese nel titolo le spese scrutinate con ragionamento apodittico. Non vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” il giudice di secondo grado non aveva adempiuto all’obbligo della “motivazione rafforzata”.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il tribunale dato risposta alle eccezioni proposte dall’appellato.

5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 700 c.p.c. e degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. In via preliminare dei motivi che vanno dal secondo al sesto va data una valutazione in termini di inammissibilità.

S tratta infatti di critiche con cui il ricorrente introduce, prima facie, per un giudizio che involge, all’esito di una loro lettura, complessivamente e partitamente i motivi proposti, oltre che capillari e defatiganti contestazioni in fatto sulle singole spese precettate, un coacervo di questioni d’indole sostanziale e processuale – che si vogliono sostenute, anche, dal riferimento ad autori di dottrina le cui opere sono riportate nel corpo del ricorso per brani virgolettati delle quali non viene neppure indicata la fonte.

I motivi sono così portatori di una torrenziale quantità di questioni che inserite nelle cinquantadue pagine di sviluppo del ricorso omettono di definire dei primi i contenuti, in tal modo sottraendosi all’osservanza stessa della tipizzazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il richiamo a questioni “multiple” e “a grappolo” all’interno di ogni motivo, quasi nell’intento del ricorrente di contestare quanto più possibile ogni profilo dell’impugnata sentenza, in una sorta di affannosa rincorsa ad aggiunte che si vorrebbero finalizzate ad una sempre più puntuale critica, propone, invece, nei suoi faticosissimi passaggi, segnati anche da una discorsività che dei primi lascia pure sbiadire il contenuto, una disorientante lettura che non consente di saggiare dei motivi neanche a portata.

Al di là della osservata tecnica della numerazione – peraltro neppure essa puntualmente seguita, atteso che alla relativa titolazione dei motivi si accompagna, anche, il richiamo a non meglio precisate note commento -, non è possibile dei motivi apprezzare finanche l’effettiva consistenza, nella mancanza di una loro autonomia ed autosufficienza.

Nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che in negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, prospetti una pluralità di questioni in diritto precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate è inammissibile richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, in violazione del dovere di terzietà del e attraverso una propria selezione dovrebbe individuare, per ciascuna delle doglianze, l’atteggiarsi dello specifico vizio di violazione di legge.

8. Operata l’indicata premessa, resta al sindacato di questo Collegio lo scrutinio del primo motivo di ricorso che, infondato, per le ragioni di seguito indicate, va rigettato.

9. Segnatamente, viene alla valutazione di questa Corte di Cassazione per l’indicata censura, la questione relativa a caratteri e contenuti di cui deve godere, in modo imprescindibile, il titolo esecutivo e l’atteggiarsi dei primi là dove si discorra del rapporto tra assegno forfettizzato, stabilito in sede giudiziale o consensuale, per il mantenimento del figlio e contributo dei genitori alle spese straordinarie (scolastiche e mediche) solo in misura percentuale nel primo richiamate.

Per l’indicato percorso va più puntualmente, saggiata la capacità del titolo di condanna alla corresponsione dell’assegno di contributo al mantenimento (art. 337 ter c.c., comma 4) a sostenere, ed in quali limiti, anche le spese straordinarie fissate solo in misura percentuale a carico dei genitori e quindi la necessità, o meno; per colui che si trovi ad anticipare quelle spese di munirsi, per ottenere delle prime il rimborso, di un nuovo titolo attraverso un autonomo accertamento giudiziale, o ancora, di concludere un diverso accordo con l’altro genitore.

10. Il principio da cui muovere è quello per il quale, il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore esaurisce per ciò stesso il proprio diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo un altro titolo contro il medesimo debitore per la medesima ragione ed oggetto semprechè, però, il comando sia idoneamente delimitato e quantificato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l’oggetto, o comunque lo possa essere in forza di elementi in modo idoneo indicati nel titolo stesso ed all’esito di operazioni meramente materiali o aritmetiche (sul principio, ex multis: Cass. 06/06/2003 n. 9132, Cass. 5/02/2011, n. 2816).

10.1. La regola, d’indole generale, va poi declinata nella fattispecie in esame – in cui e in contestazione la distinzione tra spese ordinarie e straordinarie di cui sono gravati i genitori nel mantenimento del figlio – per la capacità dell’originario titolo, che abbia statuito anche sul contributo mensile forfettizzato al mantenimento dei figli, di sostenere negli effetti esecutivi suoi propri, anche le altre spese.

10.2. Il tema è connesso al significato da riconoscersi alle spese straordinarie, sub specie di quelle mediche e scolastiche, in quanto non ricomprese nell’assegno mensile quantificato in modo forfettizzato per il mantenimento del figlio, e ciò nell’intento di realizzare un equo contemperamento tra le ragioni del genitore, creditore anticipatario e quelle dell’altro, tenuto al rimborso “pro quota”, il tutto all’interno di una più generale cornice nella quale si realizza l’interesse del figlio ad essere educato e mantenuto dai genitori nel rispetto delle sue formazioni.

Deve così richiamarsi la distinzione operata da questa Corte di Cassazione tra spese ordinarie e spese straordinarie nel settore degli esborsi scolastici e medici.

Va, sul punto, precisato che la contribuzione alle spese mediche e scolastiche del figlio non va riferita a fatti meramente eventuali perché straordinari e connotati da imprevedibilità e tanto in ragione di un dovere, generalissimo, alla cui osservanza i genitori sono tenuti, che è poi quello di mantenere, istruire ed educare la prole, ai sensi dell’art. 148 c.c., nei cui contenuti, per un fisiologico suo atteggiarsi secondo nozioni di comune esperienza, le prime rientrano.

La necessità di continui esborsi per l’istruzione, richiesti anche da quella pubblica, in rapporto al grado della scuola o istituzione superiore o universitaria, e, ancora, per prestazioni mediche, generiche o specialistiche – rispetto alle quali la variabilità tocca soltanto la misura e l’entità, in rapporto all’incidenza sullo stato di piena salute, e tanto nella normalità del ricorso alle prime anche per controlli periodico – non rientra nella nozione di straordinarietà.

E l’ordinarietà della spesa non può dirsi soffrire di limitazioni nella sua affermazione nell’ipotesi in cui il figlio sia persona portatrice di handicap, potendosi anche per siffatta ipotesi aversi un novero di spese comunque qualificabili come routinarie nel senso indicato, in rapporto alla particolare condizione della persona.

Le spese mediche e scolastiche integrative della categoria delle spese straordinarie sono quegli esborsi (spese per l’acquisto di occhiali; visite specialistiche di controllo; pagamento di tasse scolastiche) che pur non ricompresi nell’assegno periodico di mantenimento tuttavia, nel loro routinario proporsi, assumono una connotazione di probabilità tale da potersi definire come sostanzialmente certe cosicché esse, indeterminate nel quantum e nel quando, non lo sono invece in ordine all’an (in tal senso: Cass. 23/05/2011 n. 11316, in motivazione, parr. 4.1.-4.4.).

10.3. L’operata qualificazione consente di apprezzare, nella fattispecie in esame, con superamento, o meglio puntualizzazione, di diverso indirizzo pure in precedenza fatto proprio da questa Corte di legittimità (vedi in tal senso Cass. 28/01/2008 n. 1758; Cass. 24/02/2011 4543; Cass. 18/1/2017 n. 1161), nella natura routinaria del credito per spese mediche e scolastiche portato in condanna, di cui è preannuncio di esecuzione nell’opposto precetto, l’azionabilità in forza dell’originario titolo.

10.4. Le spese che pur qualificate come straordinarie finiscono per rispondere ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio tanto da assumere nei loro verificarsi una connotazione di certezza, anche se non ricomprese nell’assegno forfettizzato e periodico di mantenimento possono, tuttavia, essere richieste in rimborso dal genitore anticipatario sulla base della loro elencazione in precetto ed allegazione in sede esecutiva al titolo già ottenuto,

senza che insorga la necessità il fare accertare, nuovamente in sede

giudiziale e per un distinto titolo, la loro esistenza e quantificazione.

10.5. In ordine alla distinta ipotesi delle “spese straordinarie”, categoria intesa come residuale ed onnicomprensiva (così: Cass. n. 11316 cit., ibidem), lontana come tale da ogni carattere di ordinarietà e certezza, questa Corte di Cassazione ha chiarito che, tali devono intendersi quelle spese che per la loro rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli e la cui sussistenza giustifica per ciò stesso un accertamento giudiziale specifico dietro esercizio di apposita azione.

In siffatta ipotesi, la ratio che sostiene la non ricomprensione di dette spese nell’ammontare dell’assegno in via forfettaria posto a carico di uno dei genitori è il contrasto che altrimenti si realizzerebbe con il principio di proporzionalità ed adeguatezza del mantenimento sancito dall’art. 337-ter c.c., comma 4, n. 4, ed il rischio di un grave nocumento per il figlio che potrebbe essere privato di cure necessarie o di altri indispensabili apporti, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo” (nel regime definito dall’art. 155 c.c., in tal senso: Cass. 08/06/2012 n. 9372; Cass. 23/01/2020 n. 1562).

10.6. Sulla indicata premessa, di natura classificatoria, al di là quindi della dizione utilizzata nell’impugnata sentenza – che ricalca quella poi quella adottata dal giudice del titolo, che accomuna, tra le altre, all’interno della categoria delle “spese straordinarie” quelle di istruzione (tasse, libri di testo e gite scolastiche) e quelle mediche (con la precisazione, quanto a queste ultime, che deve trattarsi di “spese non coperte dal SSN”) – negli esborsi portati dal titolo giudiziale non si ravvisano voci straordinarie, o comunque imprevedibili, all’epoca di sua formazione.

Tanto nel rilievo, quanto alle spese mediche che la non ricomprensione di una prestazione remunerata dal Servizio Sanitario Nazionale lascia impregiudicato il tema della loro ordinaria rispondenza ai bisogni dei figli, non valendo la sola modalità, resa secondo il diverso regime libero-professionale, a rendere la prestazione inadeguata e come tale non ricompresa nell’originario titolo giudiziale salvo la contestazione sull’adeguatezza ai bisogni da portarsi al medesimo titolo per iniziative da coltivarsi in sede di opposizione.

10.7. E’ necessario pertanto affermare che le formule adottate dai giudici di merito, nelle quali in modo tralatizio si richiama, in aggiunta all’assegno forfettizzato di contributo al mantenimento, la partecipazione di ciascun genitore, in misura percentuale, ad una serie di spese qualificate come straordinarie, ha carattere meramente ricognitivo e pressochè superfluo, nulla predicando di quella natura che resta, invece e sostanzialmente, individuabile in ragione dell’assoluta importanza, imprevedibilità ed imponderabilità delle prime (quali quelle necessarie a sostenere l’esigenza di un intervento chirurgico o poco meno).

Il richiamo alla causale delle spese computate a parte ed in aggiunta alla somma fissa da erogare mensilmente all’altro coniuge, nulla dice circa natura ordinarie delle spese aggiuntive ovvero straordinarie; risolvendosi, nel primo caso, in una componente ulteriore delle erogazioni ordinarie e, nel secondo, nella vera erogazione straordinaria.

Solo le spese straordinarie così connotate ed estranee come tali al circuito della ordinarietà, salvo la loro urgenza, vanno poi concordate tra i coniugi per evitare i conflitti dovuti alla loro unilaterale decisione e, in difetto, richiedono l’accertamento in un autonomo titolo esecutivo.

10.8 Conclusivamente, per l’indicata categoria di spesa ed ai fini della sua ripetibilità da parte del genitore che l’abbia anticipata resta possibile la formazione di un precetto su un titolo integrato da cui risultino, per loro elencazione ed all’esito di mera operazione aritmetica, gli esborsi sostenuti.

Ciò non toglie che quegli importi saranno eventualmente contestabili dal genitore, chiamato a contribuirvi dal preesistente titolo esecutivo, in sede di incidente di cognizione introducibile nelle forme dell’opposizione precetto o all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., per i profili della proporzionalità ed adeguatezza rispetto alle esigenze del mantenimento e, quindi, ai bisogni del figlio.

11. All’esito delle svolte valutazioni deve quindi formularsi il seguente principio di diritto:

“In materia di rimborso delle spese cdd. straordinarie sostenute dai genitori per il mantenimento del figlio, fermo il carattere composito della dizione utilizzata dal giudice, occorre in via sostanziale distinguere tra: a) gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento forfettizzato dal giudice – o, anche, consensualmente determinato dai genitori – e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna adottato in materia di esercizio della responsabilità in sede di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli al di fuori del matrimonio, previa una allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità; b) le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento, richiedono per la loro azionabilità l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico-patrimoniali del genitore onerato e tanto in comparazione con quanto statuito dal giudice che si sia pronunciato sul tema della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, divorzio, annullamento e nullità del vincolo matrimoniale e comunque in ordine ai figli nati fuori dal matrimonio”.

12. Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione degli indicati principi ed il ricorso per cassazione, infondato nei termini indicati, va pertanto respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicate.

Si dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente AAAA a rifondere a BBBB le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17; va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

Responsabilità genitoriale: competente il giudice del luogo di residenza abituale del minore

21/12/2020 n. 29171 - SEZIONI UNITE

1. Con ricorso in data 13 novembre 2013, AAAA premesso di avere contratto nel Comune di (OMISSIS), in data (OMISSIS), matrimonio civile con BBBB – adiva Tribunale di Milano, chiedendo pronunciarsi la separazione personale dei coniugi, con addebito al marito, con le conseguenti statuizioni in ordine all’affidamento della figlia minore CCCC, ed al suo mantenimento.

1.1. Instauratosi il contraddittorio, il resistente si costituiva eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano, a favore del Tribunale portoghese “Tribunal de Comarca e de Familia e Menores de Almada”, ed avanzando, nel merito, domanda di addebito della separazione e richiesta di affidamento della minore.

1.2. Con sentenza n. 14085, depositata il 12 dicembre 2015, il Tribunale di Milano – per quel che rileva in questa sede disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal resistente, pronunciava la separazione dei coniugi, senza addebito, ed affidava la figlia minore alla madre, con la quale avrebbe convissuto in Opera, stabilendo i tempi e le modalità di frequentazione del padre e ponendo a carico di quest’ultimo un assegno di mantenimento della minore.

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2883/2018, depositata il 12 giugno 2018, rigettava il gravame proposto da AAAAA, ribadendo la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, già affermata dal Tribunale, e disattendendo, nel merito, le pretese dell’istante.

2.1. La Corte rilevava, in relazione alla causa di separazione personale dei coniugi, che l’appellata BBBB., cittadina italiana, era residente nel Comune di (OMISSIS), ove svolgeva altresì la sua attività lavorativa, che aveva interrotto solo momentaneamente per un periodo di aspettativa – per ricongiungersi con il marito residente in (OMISSIS), facendo, poi, ritorno in Italia nell’agosto 2012. La Corte riteneva, pertanto, che il giudizio di separazione fosse stato correttamente incardinato in Italia, nel luogo di residenza della ricorrente, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n. 2201/2003.

2.2. Quanto all’affidamento della minore, il giudice di appello rilevava che la medesima, nata a (OMISSIS), era anagraficamente residente in (OMISSIS), con la madre e la sorella, dove era stata altresì iscritta all’asilo, nel quale sarebbe ritornata a (OMISSIS), al ritorno delle vacanze estive trascorse in (OMISSIS). Il ritardo nel rientro in Italia era stato determinato dal fatto che il padre aveva indebitamente trattenuto la bambina per un mese in più in (OMISSIS), avendo i genitori pattuito che il rientro della minore in Italia sarebbe dovuto, invece, avvenire nell'(OMISSIS). La sottrazione della minore alla genitrice affidataria era stata, peraltro, accertata dal Tribunale di Circoscrizione e di Famiglia e Minori di Almada, con sentenza del 20 marzo 2014, che aveva accolto la richiesta proposta in tal senso del Pubblico Ministero. La causa era stata, pertanto, correttamente incardinata, a giudizio della Corte, nel luogo – tale riconosciuto anche dal giudice portoghese nella succitata pronuncia – di abituale residenza della minore, ai sensi dell’art. 8 del Regolamento CE nn. 2201/2003.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione AAAA nei confronti di BBBB, affidato a tre motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, AAAA denuncia il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c..

1.1. La censura del ricorrente all’impugnata sentenza si incentra essenzialmente sulla questione di giurisdizione relativa all’affidamento della minore, dolendosi l’istante del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che il luogo di residenza abituale della figlia CCCC. fosse da individuarsi – all’epoca dei fatti per cui è causa – nel Comune di (OMISSIS), laddove per otto mesi, dal (OMISSIS), la medesima avrebbe vissuto presso il padre in (OMISSIS). Tale collocazione della bambina all’estero sarebbe stata peraltro effettuata, d’accordo tra le parti, per consentire alla madre di reperire lavoro in Italia, dove la medesima aveva deciso di ritornare nell'(OMISSIS). Dal (OMISSIS), epoca alla quale risalirebbe la rottura di fatto dei rapporti tra i coniugi, pertanto, la minore avrebbe avuto la sua stabile residenza in (OMISSIS), con conseguente iscrizione presso il Sistema sanitario portoghese.

1.2. Trascorsi, pertanto, ben otto mesi dal cambiamento della precedente residenza della minore, non avrebbe potuto la madre ad avviso del ricorrente – instaurare il giudizio di separazione dinanzi al Tribunale di Milano, facendo uso del meccanismo della cosiddetta “ultrattività della preesistente residenza abituale”, quale criterio di attribuzione della giurisdizione nell’ambito dell’Unione Europea, atteso che l’art. 9 del Regolamento CE n. 2201/2003 “sancisce la possibilità di adire ancora il tribunale della residenza anteriore per un periodo limitato di tempo e cioè tre mesi dopo il mutamento di residenza abituale del minore”.

1.3. Il motivo è infondato.

1.3.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, invero, la giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all’interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori – pure ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi – sia ravvisabile nella mancata contestazione della giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione (Cass. Sez. U., 30/12/2011, n. 30646; Cass. Sez. U., 05/06/2017, n. 13912).

1.3.2. Da tale affermazione di principio circa il cosiddetto “rapporto di prossimità del minore”, discende che nei giudizi di separazione e di divorzio, che attengano – come nella specie – anche all’affidamento ed alla collocazione di un figlio minorenne, al fine di determinare quale sia il giudice nazionale dotato di giurisdizione, deve aversi riguardo alla residenza del nucleo familiare, all’interno del quale il medesimo vive, al momento della proposizione della domanda, rimanendo ininfluente il successivo trasferimento del figlio con un genitore all’estero (Cass. 11/06/2019, n. 15728). In tema di giurisdizione sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale su figli minori non residenti abitualmente in Italia, formulate nel giudizio di separazione o di divorzio introdotto dinanzi al giudice italiano, il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dall’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, trova, invero, fondamento nel superiore e preminente interesse di quest’ultimo a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della sua residenza effettiva, nonché nell’esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative (Cass. Sez. U., 02/10/2019, n. 24608).

Di conseguenza, anche nel caso in cui nel giudizio di separazione o di divorzio, introdotto innanzi al giudice italiano, siano avanzate domande inerenti la responsabilità genitoriale ed il mantenimento di figli minori, che non siano residenti abitualmente in Italia, ma in altro stato membro dell’Unione Europea, la giurisdizione su tali domande spetta, rispettivamente ai sensi dell’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, all’autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale dei minori al momento della loro proposizione, dovendosi salvaguardare l’interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonchè realizzare la tendenziale concentrazione di tutte le azioni che li riguardano, attesa la natura accessoria della domanda relativa al mantenimento rispetto a quella sulla responsabilità genitoriale (Cass. Sez. U., 27/11/2018, n. 30657).

1.3.3. Nel caso di specie, è incontroverso tra le parti – avendolo affermato anche lo stesso ricorrente -, e risulta dalla sentenza di appello, che alla data di proposizione del ricorso per separazione dei coniugi ((OMISSIS)), concernente anche l’affidamento e la collocazione della figlia minore, quest’ultima era ormai stabilmente residente in Italia presso la madre. Tanto da essere stata iscritta come rilevato dalla Corte territoriale – all’asilo nel Comune di (OMISSIS), nel quale aveva fatto ritorno nel (OMISSIS), al suo rientro in Italia. Orbene, al fine di accertare quale sia lo Stato in cui ha la residenza abituale un figlio di tenera età, nato da genitori non uniti in matrimonio che vivono in Paesi diversi, e di individuare in conseguenza il giudice nazionale dotato di giurisdizione, al fine di assumere i provvedimenti riguardanti il minore, ben possono valorizzarsi indicatori di natura proiettiva, quali – appunto – l’iscrizione del bambino presso l’asilo in un determinato Paese ed il godimento dell’assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo Stato (Cass. Sez. U., 30/03/2018, n. 8042).

1.3.4. D’altro canto, come evidenziato dalla sentenza di appello lo stesso Tribunale portoghese di Almada, con pronuncia del 20 marzo 2014, non ha dubitato del fatto che CCCC fosse abitualmente residente in Italia, ove avrebbe dovuto fare rientro, per accordo delle parti, già nell'(OMISSIS), al punto da accogliere la domanda del Pubblico Ministero di riconsegna della medesima alla madre.

1.3.5. Da quanto suesposto discende, pertanto, che deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano a giudicare della presente controversia.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, AAAA denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello non abbia preso adeguatamente in esame le prove documentali prodotte a sostegno della domanda di addebito della separazione alla moglie, nonché a fondamento della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento, corrisposto a favore della figlia minore.

2.2. Le censure sono inammissibili.

2.2.1. Con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce, invero, nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 29/10/2018, n. 27415).

2.2.2 Nel caso concreto, l’impugnata sentenza ha adeguatamente motivato – alla stregua delle risultanze probatorie in atti – in ordine alle ragioni per le quali ha disatteso la richiesta di addebito, ritenendo giustificato l’allontanamento dell’odierna resistente dal (OMISSIS), al fine di riprendere il suo lavoro presso l’Istituto Europeo di Oncologia, “dove era assunta con contratto a tempo indeterminato, essendo scaduto il periodo di aspettativa per maternità”, nonché immotivato l’addebito rivolto dal marito alla moglie, di avere quest’ultima privilegiato esclusivamente i propri interessi lavorativi e la propria realizzazione personale, non avendo l’appellante D.C.V. neppure impugnato le motivate statuizioni rese sul punto dal giudice di primo grado.

2.2.3. Quanto alla richiesta di riduzione dell’assegno, la Corte territoriale è pervenuta alla decisione di lasciarne invariato l’importo stabilito dal Tribunale, sulla base di una motivata valutazione comparativa dei redditi delle parti in causa, e tenuto conto anche dei due diversi contesti geografici nei quali i medesimi si trovano a vivere.

2.2.4. A fronte di tali motivate statuizioni, la censura si risolve in una allegazione di questioni di merito, attraverso la sostanziale richiesta di riesame di atti e documenti – le cui risultanze, peraltro, non sempre sono state riprodotte nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza – e la riproposizione di temi di indagini già sottoposi al giudice a quo. Le doglianze devono, pertanto, essere disattese.

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso va rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione della controricorrente.

P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza/ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

interruzione della gravidanza in assenza di un valido consenso informato - nessun risarcimento- la paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l'intervento nel caso di adeguata informazione.

16/11/2020 n. 25875 - Cassazione civile sez. III

La Cass. 11 novembre 2019 n. 28985 ha operato una sistemazione complessiva della giurisprudenza recente di questa Corte in materia di consenso informato. Il Collegio intende dare continuità a tale rilevante precedente. Sulla base della classificazione operata da Cass. n. 28985 del 2019, la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento. Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva, come afferma sempre Cass. n. 28985 del 2019, sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.

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causa di manleva dell'azienda ospedaliera contro il chirurgo - giudice competente è quello ordinario

12/10/2020 n. 21992 - Sezioni Unite Civili

l’azione di responsabilità contabile nei confronti dei sanitari dipendenti di un’azienda sanitaria non è sostitutiva delle ordinarie azioni civilistiche di responsabilità nei rapporti tra amministrazione e soggetti danneggiati, sicché, quando sia proposta da una azienda sanitaria domanda di manleva nei confronti dei propri medici, non sorge una questione di riparto tra giudice ordinario e contabile, attesa l’autonomia e non coincidenza delle due giurisdizioni (Cass., S.U., 18 dicembre 2014, n. 26659; cfr. anche Cass., 23 agosto 2018, n. 21021).

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Danno da perdita genitorialità

15/09/2020 n. 19190 - Sezione III

La sentenza impugnata, a differenza di quanto reputato dalla ASL ricorrente, ha fornito una spiegazione piuttosto puntuale delle ragioni a fondamento della liquidazione del danno da perdita della genitorialità, illustrando, dapprima, la differenza intercorrente tra il danno consistente nella perdita del frutto del concepimento e il danno conseguente alla perdita del figlio, quindi, fornendo ampia giustificazione del parametro liquidativo utilizzato; segnatamente, la Corte territoriale ha ritenuto che, “trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita”, le tabelle milanesi non fossero “direttamente” utilizzabili, perchè elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valessero come criterio orientativo per la liquidazione equitativa del danno da perdita al frutto del concepimento subito tanto dalla madre quanto dal padre. In linea con quanto statuito da questa Corte nella pronuncia n. 12717/2015, che ha equiparato la perdita del feto nato morto alla perdita del figlio, ma con dei correttivi, dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta, il giudice a quo ha ritenuto di parametrare la liquidazione nel caso concreto sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perché il figlio era nato morto.

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paziente allergica agli antibiotici e morte per infezione

25/08/2020 n. 17696 - Sezione Terza

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione. Ciò sul presupposto che nelle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, cioè il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore, ma del diritto alla salute, che è l’interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato (così, da ultimo, le sentenze 11 novembre 2019, n. 28991 e n. 28992, in linea con la sentenza 26 luglio 2017, n. 18392).

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distrazione somme intramoenia: relazione tra giudizio contabile e civile

05/08/2020 n. 16722 - sezioni unite (ud. 09/06/2020, dep. 05/08/2020)

Nel giudizio contabile, invero, il Procuratore generale della Corte dei conti agisce quale pubblico ministero portatore di obiettivi interessi di giustizia nell’esercizio di una funzione neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, rappresentando un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati, non l’interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure convergenti con il primo (Corte Cost. n. 104 del 1989, n. 1 del 2007, n. 291 del 2008).

Tale azione, a carattere necessario, non potrebbe mai essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate (Cass., sez. un., 18/12/2014, n. 26659; Cass. Sez.Un. 19/2/2019, n. 4883), le quali ben possono promuovere dinanzi al giudice ordinario l’azione civilistica di responsabilità a titolo risarcitorio, facendo valere il proprio interesse particolare e concreto (Cass. Sez.Un. 10/9/2013, n. 20701), non essendo neppure in astratto ipotizzabile che detti soggetti non possano agire in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti e interessi (artt. 3 e 24 Cost.), tanto più in mancanza di specifiche norme derogatorie.

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nullità contratto preliminare cessione farmacia. condizioni di incompatibilità

28/07/2020 n. 16050 - Cassazione civile sez. II

La disposizione della L. n. 475 del 1968, art. 12, che consente il trasferimento della farmacia solo a favore di persona dotata di particolari requisiti, non impedisce la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita della farmacia condizionato alla futura acquisizione dei requisiti di legge da parte del promittente acquirente o di un terzo a favore del quale il contratto preliminare sia destinato a operare e che lo stipulante si riservi di indicare (Cassazione civile sez. III, 01/04/2014, n. 7525; Cassazione civile sez. II, 21/06/1995, n. 7026; Cassazione civile sez. II, 22/10/2015, n. 21523).

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giudice competente in caso di modifica delle condizioni di separazione

20/07/20 n. 15421 - SEZIONE VI

Il Tribunale di Sondrio ha declinato la propria competenza in relazione alla causa avente ad oggetto la revisione delle condizioni relative all’affidamento e mantenimento dei figli minori, contenute nella pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio intercorso tra XXXX e YYYY. Ha ritenuto il Tribunale la competenza del Tribunale di Cassino ove era stato pronunciato il divorzio e l’obbligazione messa in discussione era sorta, precisando che il convenuto risiedeva a Minturno.

La signora YYYY ha proposto ricorso per regolamento di competenza indicando in Sondrio il foro competente in quanto luogo di residenza abituale dei minori.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha individuato in Sondrio il foro competente in primo luogo perché coincidente con la residenza abituale dei minori ed in secondo luogo perché luogo ove l’obbligazione doveva essere eseguita.

Il Collegio condivide le conclusioni del Procuratore Generale in quanto coerenti con il costante orientamento della Corte, saldamente ancorato sulle regole del diritto Eurounitario (Reg. CE n. 2201 del 2003), del diritto internazionale convenzionale e ribadite nel nostro ordinamento positivo con l’art. 709 ter c.p.c. in tema di conseguenze dell’inadempimento degli obblighi relative all’esercizio della responsabilità genitoriale. Le controversie che hanno ad oggetto l’affidamento e il mantenimento dei minori ancorché contenute in una pronuncia di separazione personale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio devono essere radicate nel luogo di residenza abituale dei minori. (Cass.25636 del 2016; 27153 del 2017). La L. n. 898 del 1970 non contiene un indicatore esplicito ma il principio espresso dal citato art. 709 ter c.p.c., alla luce dell’ampio quadro di fonti delineato e in sintonia con il preminente interesse del minore, deve ritenersi esteso anche alle determinazioni sui figli minori conseguenti il divorzio, essendo identico l’oggetto delle controversie ex art. 709 ter c.p.c. e quelle riguardanti la modifica delle determinazioni relative all’affidamento e mantenimento minori, in quanto entrambe relative alla regolazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Ritiene, pertanto, il Collegio di doversi discostare dall’ordinanza n. 8016 del 2013 su cui fonda la declinatoria di competenza il Tribunale di Sondrio dal momento che la Corte in questa pronuncia non ha potuto tenere conto (perchè ratione temporis non ancora applicabile) del nuovo regime giuridico derivante dalla riforma della filiazione introdotta dalla L. n. 219 del 2012 e dal D.Lgs. n. 154 del 2013, tutto rivolto ad eliminare ogni ingiustificata disparità di trattamento sostanziale e processuale nel sistema di protezione giuridica dei minori ed in particolare in ordine alla titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale, come si può agevolmente desumere dalla stessa intitolazione del capo II del Titolo IX del Libro I (Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) che afferma in modo espresso l’uniformità di regolazione giuridica della responsabilità genitoriale in sede separativa, divorzile ed in relazione ai figli nati fuori dal matrimonio. Il principio è infine rafforzato dall’art. 337 quinquies c.c., il quale prevede in via generale il diritto di richiedere la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. Non incide sulla correttezza del principio affermato la L. n. 898 del 1970, art. 12 quater che si limita ad introdurre un foro concorrente (quello del luogo in cui deve essere eseguita l’obbligazione) ma non esclude l’applicazione di quello individuato dalla ricorrente nella residenza abituale dei minori.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, dichiarata la competenza per territorio del Tribunale di Sondrio cui va rimesso il giudizio e la statuizione sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso dichiara la competenza del Tribunale di Sondrio cui rimette la causa anche per le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 20 luglio 2020