SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 49709 del registro di segreteria, proposto dal Procuratore Regionale della Corte dei conti presso la Sezione Giurisdizionale per la Lombardia, contro VM , rappresentato e difeso dall’avv. Paola Maddalena Ferrari presso il cui studio è elettivamente domiciliato
avverso
la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 237/2014 del 31.12.2014.
Visti gli atti del giudizio.
Uditi all’udienza del 16 gennaio 2018 il relatore, consigliere LP, il PM nella persona del V.P.G. F L e l’avv. Paola Maddalena Ferrari per l’appellata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 237/2014 del 31.12.2014, la Sezione giurisdizionale Regionale per la Lombardia ha assolto VM, convenuto in giudizio in qualità di medico ammesso al corso di formazione specifica in medicina generale di cui al DM 11.9.2003, non ritenendo provato il contestato danno erariale derivante dalla percezione di una borsa di studio triennale asseritamente non spettante per il contemporaneo svolgimento di attività incompatibili nel periodo considerato (febbraio 2004-gennaio 2007).
Secondo la prospettazione attorea, l’ammissione al suddetto corso e la fruizione della correlativa borsa di studio traevano con sé un contestuale divieto di esercitare la libera professione, così come di avere qualsiasi rapporto convenzionale o precario con il S.S.N., ovvero con enti od istituzioni pubbliche o private. Siffatto divieto scaturiva dal regolamento disciplinante il corso stesso (DM 11.9.2003), nonché dal comma 3 dell’art. 24 D.Lgs. n 368/1999; e, in generale, costituiva espressione del principio di incompatibilità sancito da una pluralità di disposizioni normative sia nazionali che comunitarie, analiticamente richiamate nell’atto di citazione stesso (ivi comprese due circolari emesse dal Ministero della Salute tra il 2003 e il 2004).
Il Collegio di prime cure ha ritenuto insussistente il contestato danno erariale ed assorbita l’eccezione di prescrizione, assolvendo il convenuto previa liquidazione in suo favore delle spese di difesa.
Avverso la sentenza (non notificata), ha interposto appello (notificato il 3.7.2015 e depositato il 24.7.15) il PR deducendo plurime violazioni di legge, erronea e falsa applicazione della normativa di settore, erronea e insufficiente motivazione nonché travisamento della domanda. Ed invero, la fattispecie di responsabilità era stata azionata applicando i noti principi in tema di “danno da sviamento delle finalità pubbliche”, come ribadito nella memoria conclusiva dell’udienza del 5.11.2014 ove era stato precisato che non si intendeva far valere alcuna fattispecie di responsabilità sanzionatoria per la quale, peraltro, sarebbe stata necessaria una specifica norma in tal senso. Da qui il travisamento dei fatti e della causa petendi da parte del primo giudice che non avrebbe colto a pieno la funzione pubblicistica del corso di formazione, invece ribadita dalla 1^ Sezione d’Appello di questa Corte (con sent. n. 99/15). Aggiunge l’appellante che il modus argomentandi del primo giudice si traduce di fatto “in una sostanziale abrogazione del divieto di svolgere attività professionale incompatibile e nell’ammissibilità di erogare incentivi pubblici sine causa”. Le allegate circolari ministeriali avrebbero, inoltre, un chiaro valore interpretativo sicchè erroneamente sono state ritenute inapplicabili.
Ha concluso per l’accoglimento dell’appello con condanna del sanitario al risarcimento del danno quantificato in citazione.
Con memoria depositata il 21.12.2017, si è costituito l’appellato chiedendo il rigetto del gravame e, in subordine, ha riproposto l’eccezione di prescrizione del danno già opposta in primo grado contestando altresì la configurabilità di un occultamento doloso avendo egli sempre regolarmente dichiarato al fisco i proventi percepiti. Nel merito, ha eccepito l’avvenuta confusione da parte del Requirente tra i corsi di specializzazione a livello nazionale (presso scuole specialistiche universitarie) e il corso per accedere alla graduatoria di medico di famiglia a livello regionale; l’errata individuazione della normativa applicabile ai fatti di causa, atteso che l’art. 13 del bando (su GU 74/2003) non contemplava alcuna incompatibilità e l’art. 24 del d.lgs. 368/99 vigente ratione temporis era stato modificato dall’art. 9 del d.lgs. 277/2003 che abrogò la frase citata dalla procura a sostegno della domanda (“per tutta la durata della formazione a tempo pieno è inibita …”). Solo il DM 2006 ha previsto espressamente l’incompatibilità, ma solo per “la normale settimana lavorativa”, quindi temporalmente limitata; l’art. 40 del D.Lgs. 368/99 riguarda il corso di specializzazione e non quello per cui è causa. Ha eccepito l’inesistenza del danno erariale avendo egli superato il corso con profitto sicchè la borsa è stata percepita a buon diritto e senza alcuno sviamento. Ha ribadito l’assenza di dolo e colpa grave atteso che il modulo prestampato di domanda di partecipazione al corso non conteneva alcun riferimento a cause di incompatibilità. Conclusivamente, ritenuta l’impugnata sentenza immune da censure e da confermare interamente, ha chiesto il rigetto dell’appello riproponendo, in subordine, tutte le eccezioni già opposte in prime cure.
All’udienza odierna il PM ha insistito per l’accoglimento dell’appello richiamando precedenti giurisprudenziali in tal senso. La difesa dell’appellato si è riportata agli atti concludendo come da verbale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico articolato motivo d’appello il Procuratore Regionale lamenta sostanzialmente un “palese travisamento” della domanda attrice conseguente ad un’errata interpretazione da parte del primo giudice “della disciplina normativa dei corsi di formazione in medicina generale”.
1. Ritiene il Collegio, viceversa, che l’interpretazione della domanda giudiziale quale elaborata dalla Sezione territoriale, sia condivisibile e conforme al quadro normativo e fattuale di riferimento. È da quest’ultimo che occorre partire, atteso che la vicenda di causa, avuto riguardo alle modalità fattuali e temporali di riferimento quali emergenti dagli atti, non può non vincolare il giudicante nell’individuazione della normativa applicabile ratione temporis e, conseguentemente, nell’accertamento della sussistenza, nel caso concreto, degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa.
1.1 Il quadro fattuale.
Risulta dagli atti che il medico in questione ha partecipato al “concorso pubblico, per esami, per l’ammissione al corso di formazione specifica in medicina generale” bandito con D.M. Salute 11.9.2003(pubblicato in G.U., 4a Serie Speciale, n. 74 del 23 settembre 2003) e che, essendo risultato vincitore, è stato ammesso al corso di formazione organizzato dalla Regione Lombardia. Quanto alle concrete modalità di svolgimento del corso da parte dell’interessato, nulla ha contestato il Requirente. In particolare, non sono stati formulati addebiti in punto di mancata effettuazione della formazione, ingiustificate assenze, interruzione e/o sospensione della frequenza, nonché di espulsione dal corso. Non è stato contestato l’omesso raggiungimento degli obiettivi formativi, anzi è documentalmente provato il buon esito della formazione avendo il sanitario conseguito, al termine del corso, il diploma finale di “formazione specifica in medicina generale” senza che l’Amministrazione sanitaria abbia mai rilevato alcuna irregolarità o formulato censure a carico del medico. È altresì pacifico che lo stesso abbia percepito la borsa di studio prevista dall’art. 13 del bando di concorso, per tutta la durata del corso, senza aver ricevuto contestazioni o richieste di restituzione in via amministrativa.
1.2 Il quadro normativo.
La disciplina normativa applicabile alla fattispecie concreta quale innanzi delineata, è in primis, il D.M. Salute 11.9.2003, vale a dire il bando di concorso cui l’interessato ebbe a partecipare, costituente lex specialis, unitamente alla normativa dallo stesso espressamente richiamata.
Ebbene, l’art. 13 (“Borse di studio”) del predetto DM 11.9.2003 prevedeva testualmente:
“1. Al medico durante tutto il periodo di formazione specifica in medicina generale è corrisposta, in ratei mensili, da corrispondere almeno ogni due mesi, una borsa di studio dell’importo annuo complessivo di euro 11.603,50 (undicimilaseicentotre/50).
2. Corresponsione della borsa è strettamente correlata all’effettivo svolgimento del periodo di formazione”.
L’art. 11, comma 2, del citato DM stabiliva che “Per tutto quanto non previsto nel presente decreto, si fa rinvio alla disciplina contenuta nel decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni”.
Nel preambolo del provvedimento, si dava atto che era “… in corso di pubblicazione il decreto legislativo con cui viene recepita ed attuata la direttiva comunitaria 2001/19/CE, di modifica del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli”.
Il decreto legislativo all’epoca “in corso di pubblicazione”, era il D.Lgs. n. 277/2003 dell’8 luglio 2003 (recante “Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico”), pubblicato sulla GU del 14.10.2003 ed entrato in vigore il 29.10.2003.
Il bando di concorso, inoltre, conteneva in “Allegato A”, il modulo predisposto della domanda di partecipazione con cui il candidato chiedeva, appunto, di essere ammesso a partecipare “al concorso pubblico, per esami, per l’ammissione al corso di formazione specifica in medicina generale in attuazione dell’art. 24, comma 2-ter del decreto legislativo n. 368 del 17 agosto 1999, organizzato da codesta regione/provincia autonoma”. Non era prevista, né richiesta, alcuna autodichiarazione del candidato sulla insussistenza di eventuali cause di incompatibilità.
Ciò stante, è agevole constatare che alcuna disposizione del bando di concorso prevedesse “l’esclusività della borsa di studio” quale unico compenso consentito al corsista, né la sua incumulabilità con altri eventuali redditi aliunde percepiti, né, tantomeno, la perdita dell’assegno in caso di svolgimento di altra attività lavorativa. Al contrario, il richiamato art. 13 attesta, inequivocabilmente, il nesso sinallagmatico tra borsa di studio ed “effettivo svolgimento del periodo di formazione” individuando il titolo giuridico dell’erogazione, esclusivamente, nell’effettiva formazione.
Ne consegue, stando alle disposizioni del suddetto DM 11.9.2003, che la borsa di studio debba ritenersi erogata sine titulo nel caso in cui non vi sia stato da parte del percettore un effettivo svolgimento del periodo di formazione. Il bando di concorso, quindi, ex se considerato, non supporta affatto l’assunto accusatorio laddove quest’ultimo pretende di ancorarvi l’asserita finalità retributiva esclusiva della borsa di studio.
A conseguenze non diverse si perviene sulla base del D.Lgs. 368/1999, espressamente richiamato dal citato DM 11.9.2003 (art.11) a regolare la fattispecie di causa “per tutto quanto non previsto nel presente decreto”.
Il titolo IV (artt. 21-32) del D.Lgs. 368/1999 disciplina la “Formazione specifica in medicina generale”, laddove il titolo VI (artt. 34-45) si occupa dei medici specializzandi.
Orbene, l’art. 24, richiamato dalla Procura a sostegno dei propri assunti, prevedeva (nella formulazione ancora vigente alla data del DM 11.9.2003, prima cioè delle modifiche apportate dall’art. 9 del D.lgs 277/2003) al comma 2: “Il corso, comporta un impegno a tempo pieno dei partecipanti con obbligo della frequenza alle attività didattiche pratiche e teoriche. Il corso si conclude con il rilascio di un diploma di formazione in medicina generale da parte degli assessorati regionali alla sanità, conforme al modello predisposto con decreto del Ministro della sanità”. Il comma 3 stabiliva: “Per la durata della formazione a tempo pieno al medico è inibito l’esercizio di attività libero-professionale ed ogni rapporto convenzionale o precario con il servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche e private. La frequenza del corso non comporta l’instaurazione di un rapporto di dipendenza o lavoro convenzionale né con il Servizio sanitario nazionale, né con i medici tutori”.
Il testo originario dell’articolo 24, comma 3, quindi, poneva in risalto i “divieti” (privi di sanzione, atteso che la “decadenza” dal corso di formazione originariamente prevista dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 256/1991, risultava già abrogata all’epoca dei fatti in contestazione dall’art 46, comma 3, del d.lgs. n. 368/1999) connessi alla formazione.
La nuova formulazione del comma 3 (in vigore dal 29 ottobre 2003) ha, invece, individuato in positivo gli “obblighi” incombenti sul medico in formazione (“La formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l’intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno”) contestualmente eliminando ogni riferimento espresso ai “divieti” (“è inibito”).
Osserva il Collegio che una compiuta regolamentazione delle conseguenze scaturenti dalla violazione degli obblighi connessi alla formazione a tempo pieno, è stata disciplinata solo con il DM 7 marzo 2006 (“Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specifica in medicina generale”). Infatti, solo con l’articolo 11 del suddetto D.M., sono state dettagliatamente e rigorosamente normate le cause di incompatibilità la cui inosservanza dà luogo alla “sanzione” dell’espulsione dal corso (“in presenza di accertata incompatibilità”), precedentemente non prevista.
La fattispecie in esame, però, rimane soggetta ratione temporis alla disciplina normativa previgente il predetto regolamento ministeriale del 2006 che, pertanto, non può trovare applicazione nell’odierna vicenda.
Ebbene, atteso che -come innanzi visto- dal DM 11.9.2003 non emerge alcun divieto esplicito allo svolgimento di altre attività, asseritamente incompatibili, rimane da valutare quanto previsto dall’art. 24 del Dlgs n. 368/1999 siccome integrato e/o modificato dal decreto legislativo n. 277/2003 ancorché entrato in vigore solo successivamente (il 29.10.2003) al bando di concorso che regola la fattispecie di causa.
Ebbene, come già rilevato, l’incompatibilità originariamente prevista dal comma 3 dell’art. 24, sotto forma di “divieto” di svolgimento di altre attività (“è inibito”), non è stata evidentemente riprodotta nella nuova formulazione della norma (quale innanzi riportata) che, invece, ha individuato il contenuto degli “obblighi” incombenti sui medici in formazione.
Ritiene il Collegio che quand’anche si possa interpretare il nuovo testo del comma 3, dell’art. 24, nel senso che il divieto (ora divenuto implicito) di svolgimento di altre attività remunerate durante il corso di formazione, non sia nella sostanza venuto meno, non è revocabile in dubbio -quanto alla responsabilità amministrativa dell’agente- che la violazione del precetto normativo si arresti sul piano della condotta imputabile, colorandola di obiettiva antigiuridicità.
La ratio del divieto implicito che si ricava dalla nuova formulazione della norma (privo, peraltro, di espressa sanzione per l’inosservanza ex art. 46, comma 3, del d.lgs. n. 368/1999), è evidentemente quella di prevenire ogni possibile distrazione di energie del medico corsista onde garantirne, a monte, un’effettiva e proficua formazione.
Se la contestata violazione vale, quindi, ad integrare una condotta contra ius, è però insufficiente a radicare una responsabilità amministrativa in mancanza di prova di un effettivo e concreto danno erariale da indebita percezione della borsa di studio.
Premesso che dalla violazione del divieto di svolgere prestazioni professionali incompatibili (eccetto quelle consentite ex articolo 19, comma 11, della legge n. 448 del 2001) non consegue -in via amministrativa- la perdita del diritto alla borsa di studio perché tanto non è stato previsto né dal D.Lgs. n. 368/1999 e successive modificazioni (D.Lgs 277/2003), nè dal bando di concorso (DM 11 settembre 2003), è invece evidente che le suddette disposizioni correlano il diritto alla borsa di studio, esclusivamente, “all’effettivo svolgimento del periodo di formazione” in funzione sinallagmatica tra prestazioni. La compiuta realizzazione della “causa” formativa rende, quindi, dovuta l’erogazione della borsa di studio la cui percezione può, pertanto, divenire indebita e foriera di danno erariale solo in caso di comprovato mancato svolgimento del corso e/o omesso conseguimento del diploma finale. In tal senso, un concreto pregiudizio per l’Erario potrà realizzarsi allorquando il contestuale svolgimento di attività vietate perché incompatibili, abbia causalmente impedito la proficua partecipazione al corso di formazione, come ad esempio nel caso in cui il medico sia stato espulso dal corso per aver superato il numero di assenze consentite (è il caso -diverso da quello odierno- oggetto della sent. della 1^ Sez. App. 99/2015, richiamata dall’appellante) o ne abbia comunque ingiustificatamente interrotto la frequenza o non abbia conseguito il giudizio positivo dei tutori e, nonostante ciò, abbia percepito la borsa di studio.
Ma allorquando, come nella specie, sia incontestato il regolare ed effettivo svolgimento del corso e l’esito proficuo dello stesso con conseguimento del diploma finale, non si vede in che modo la percezione della borsa di studio possa ritenersi indebita e integrare un danno erariale.
Nel caso in esame, infatti, è mancata del tutto la prova di un concreto ed effettivo sviamento delle energie professionali dall’attività formativa, non avendo l’Attore pubblico fornito alcun elemento, anche solo indiziario, in tal senso. In particolare, non è emerso quali siano state le modalità concrete di svolgimento delle attività extra-borsa, vale a dire se le stesse siano state prestate a detrimento del corso di formazione o, piuttosto, come sostenuto dall’appellato, al di fuori dei giorni e degli orari dedicati alla formazione e senza alcuna compromissione della frequenza del corso. Risulta viceversa, documentalmente provato il regolare adempimento dell’obbligo formativo e il proficuo conseguimento degli obiettivi finali del corso.
1.3 Il danno erariale
Alla luce delle suddette argomentazioni, non appare condivisibile l’assunto accusatorio secondo cui il danno erariale consisterebbe nello sviamento dalla finalità retributiva esclusiva della borsa di studio a causa della percezione di altri redditi.
Come condivisibilmente affermato in sentenza, l’assunto accusatorio per cui la borsa di studio dovesse costituire “l’unica fonte di reddito del corsista” è privo di copertura normativa. Né nel bando di concorso (DM 11.9.2003), né nel d.lgs. 368/1999 dal primo richiamato (v. art. 11 del DM 11.9.2003), vi è un esplicito riferimento alla natura retributiva “esclusiva” dell’assegno.Rimane, peraltro, evidente che si tratterebbe, comunque, di un’esclusività “relativa” e non assoluta, attesa la prevista cumulabilità della borsa di studio con i redditi provenienti dallo svolgimento delle “attività extra” consentite dall’art. 19, comma 11, della legge 448/2001.
In effetti, la pretesa finalità retributiva esclusiva viene desunta da quanto all’uopo previsto dalla fonte comunitaria (direttiva CEE 93/16 art. 1) in termini di “un’adeguata remunerazione” dell’attività di formazione.
Sennonché, l’art. 46 del d.lgs. 368/1999 di recepimento della citata direttiva comunitaria, subordinava l’importo della borsa di studio alle risorse disponibili nel Fondo sanitario nazionale “destinate al finanziamento della formazione dei medici specialisti”, con la conseguenza che, all’epoca dei fatti di causa, l’importo dell’assegno in questione era, obiettivamente, ben lontano dal potersi ritenere “adeguato” così come la direttiva comunitaria prescriveva.
Ed infatti, l’art. 13, comma 1 del DM 11.9.2003 prevedeva “una borsa di studio dell’importo annuo complessivo di euro 11.603,50 (undicimilaseicentotre/50)”, pari quindi, a poco più di 900 euro lordi mensili, importo questo che, in disparte la natura giuridica del rapporto intercorrente tra il medico in formazione e l’amministrazione sanitaria (v. comma 3, ultima parte, dell’art. 24 del d.lgs. 368/1999), appare oggettivamente inidoneo in relazione al periodo cui si riferiscono i fatti di causa, a garantire al “lavoratore” e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa” ex art. 36 Cost..
Osserva il Collegio, infatti, che l’aumento dell’importo della borsa di studio è avvenuto solo con i d.p.c.m. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007, allorquando lo Stato italiano ha finalmente provveduto ad attribuire ai medici in formazione ed agli specializzandi il compenso previsto dal d.lgs. 368/1999. Tale questione, in verità, è ancora oggi, oggetto di contenzioso per ciò che riguarda il diritto ad ottenere l’indennizzo per il mancato rispetto da parte dello Stato, dell’obbligo di erogare un “adeguato” compenso per la formazione dei medici specializzandi nel periodo antecedente l’anno accademico 2006-2007 e, precisamente, dall’anno 1991 (vedasi sul punto, Cass. n. 9147/2009, n. 23358/2011, Sez. Lav. n.12624/2015 e SS.UU. ord. n. 23582/2016 di rimessione al vaglio della Corte di Giustizia Europea della questione dell’ambito applicativo della Direttiva 82/76/CEE).
La pretesa “finalità retributiva esclusiva” della borsa è, quindi, contraddetta dall’accertato, in concreto, mancato adeguamento remunerativo della stessa nel periodo di causa.
L’assunto attoreo appare avvinto da un inammissibile automatismo laddove pretende di ravvisare il dedotto “sviamento” del contributo pubblico dal venir meno del “carattere esclusivo dell’attività formativa” che farebbe cessare “la presunzione di legittima destinazione ed utilizzazione” della borsa di studio (pag. 12 app.).
Tale interpretazione appare confliggente con il dato normativo (innanzi richiamato) e confliggente con la sua stessa ratio legis.
L’interesse pubblico sotteso all’erogazione della borsa di studio è da individuarsi, come detto, nell’effettivo conseguimento dei programmati obiettivi formativi. La borsa di studio va a remunerare, infatti, l’effettivo e proficuo svolgimento del corso di formazione da parte del medico, integrando il nesso sinallagmatico di un rapporto a prestazioni corrispettive.
L’assunto accusatorio, invece, finisce col relegare in secondo piano le finalità di formazione del corso e la natura di remunerazione corrispettiva della borsa di studio, laddove arriva ad affermare che il regime di incompatibilità sarebbe stato predisposto dal legislatore a garanzia “dell’esclusività ed unicità della finalità retributiva della borsa di studio”. Così opinando, si finisce per individuare la ratio legis nel regime retributivo del medico-corsista invece che in quella, chiaramente indicata, di garantirne la piena ed effettiva partecipazione alle attività formative.
Ritiene il Collegio, quindi, che l’esegesi elaborata al riguardo dal primo giudice sia condivisibile ed immune dalle censure sollevate dall’appellante.
2. La Procura appellante lamenta altresì l’asserita qualificazione da parte del primo giudice della fattispecie come sanzionatoria. In realtà, l’impugnata sentenza non contiene alcuna affermazione in tal senso. Osserva il Collegio che proprio perché la disciplina normativa della materia -quale innanzi delineata- non contempla alcuna responsabilità di tipo sanzionatorio, deve a fortiori ritenersi privo di pregio l’assunto accusatorio basato sull’automatismo logico-giuridico per cui alla violazione della normativa sulla incompatibilità consegue tout court il danno erariale pari all’importo della borsa di studio.
3. Da ultimo, il Procuratore appellante censura la mancata applicazione da parte del primo giudice delle circolari ministeriali (di cui ai DD.MM. del 16.12.2003 e del 31.5.2004) successive al bando di concorso, asserendo viceversa che le stesse “rilevano ai fini della determinazione dell’elemento soggettivo della responsabilità”. Rileva il Collegio che l’accertata assenza in fattispecie di un danno erariale concreto ed attuale è assorbente della valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità e delle eventuali circostanze a tal fine rilevanti sicché la disamina dell’anzidetta circostanza si rivelerebbe comunque inutiliter data.
4. Conclusivamente, l’acclarata assenza della prova del danno è assorbente di ogni altro motivo di gravame nonché delle altre eccezioni sollevate in via subordinata dall’appellato.
A tale convincimento il Collegio perviene rivisitando il proprio precedente orientamento (di cui alle sentenze nn. 1005, 1095, 1099, 1119 e 1120/2017 emesse da questa Sezione in diversa composizione) ed in piena consapevolezza dell’esistenza in materia di orientamenti diversi delle altre Sezioni d’appello di questa Corte dalle quali si dissente.
In particolare, non pare condivisibile la sentenza n. 68/2017 della 3^ Sezione centrale (emanata in fattispecie dal quadro fattuale sovrapponibile all’odierna) che pur sposando la tesi accusatoria dell’esclusività retributiva della borsa di studio, considera la questione della sua “adeguatezza” così “definita (a monte) giusta e congrua” dal legislatore, “estranea all’odierno decidere poiché questione rimessa ad altri ambiti”. Ritiene questo Collegio, al contrario, che nel momento in cui si assume che la borsa di studio debba essere l’unica forma di sostentamento del medico in formazione sul presupposto che la fonte comunitaria abbia previsto per l’attività di formazione una remunerazione “adeguata”, non possa coerentemente obliterarsi che il legislatore nazionale non abbia in concreto mai provveduto a dare attuazione al precetto comunitario, se non a distanza di anni. Del resto, la stessa Sezione è stata costretta ad ammettere che “la ratio della predetta disciplina è quella di far concentrare il medico in formazione soltanto sul corso, al fine di meglio poter perseguire la finalità pubblicistica, di rango comunitario, di una migliore formazione” così finendo per smentire l’assunto di partenza incentrato sulla finalità retributiva esclusiva quale ratio dell’erogazione, ed ammettendo (sia pure involontariamente) che la stessa è in funzione esclusiva della formazione.
Con riguardo poi, alla vicenda (anch’essa sovrapponibile, in fatto, all’odierna) oggetto della sentenza sempre della 3^ Sezione n.104/2017, ritiene questo Collegio che il rilievo secondo cui “il tempo sottratto alla formazione (che non è solo frequenza in aula ma studio e applicazione)” possa essersi “concretizzato in una minore preparazione, quand’anche la stessa abbia raggiunti livelli di sufficienza” ivi posto a base della statuizione di accoglimento dell’appello di parte pubblica, se astrattamente condivisibile, necessiti però di concreta prova che, nel caso odierno, è certamente mancata alla luce di quanto detto sub 1.2.
Inconferente al caso in esame è, invece, la sentenza n. 99/15 della 1^ Sezione centrale perché inerente una vicenda dal diverso quadro fattuale (v. sub 1.2).
Conclusivamente, l’appello deve essere respinto con conseguente conferma dell’impugnata sentenza.
Al definitivo proscioglimento nel merito consegue ex art. 31 CGC la liquidazione delle spese di lite in favore dell’appellato nella misura di cui in dispositivo.
P. Q. M.
la Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando così provvede:
-rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
-liquida le spese legali in favore della difesa dell’appellato in euro 1.500,00 (millecinquecento/00)
Così deciso, in Roma, nelle camere di consiglio del 16 gennaio 2018 e del 30 gennaio 2018.
L’Estensore Il Presidente