• mani

    Mani

  • gabbia

    Gabbia

  • famiglia

    Famiglia

  • stetoscopio

    Stetoscopio

personale universitario non medico- indennità di equiparazione

27/01/2017 n. 2216 - sez VI

l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (indennità D.M.), riconosciuta dalla L. n. 200 del 1974, art. 1, per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università, deve essere determinata – in caso di equiparazione tra l’originario 8^ livello (ovvero, come nella specie, tra l’originario 7^ livello) di cui alla L. n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Università) e il 9^ livello, poi divenuto 1^ livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri) – senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (S.U. 9 Maggio 2016, n. 9279)”. Tuttavia tale questione non risulta essere stata mai posta (cfr. sentenza impugnata).
———————

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:
“Con sentenza n. 2717/2013, depositata in data 13 giugno 2013, la Corte di appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dall’Università degli Studi di xX nei confronti di L.F. e confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto del ricorrente, appartenente al personale universitario non medico ed inquadrato nella ex 8^ qualifica funzionale in qualità di funzionario tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente ex qualifica funzionale 10^ del c.c.n.l. Comparto sanità, senza che potesse assumere rilevanza la distinzione operata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università tra personale laureato e personale non laureato, in quanto in contrasto con la volutas legis di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 ed al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e senza che potesse essere attribuita importanza all’effettività delle mansioni svolte (che, si sosteneva, non poteva prescindere dal titolo di studio). Richiamava la Corte territoriale i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 21608/2012 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e conclusivamente riteneva, a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, fondato il diritto del ricorrente all’indennità di equiparazione commisurata alla retribuzione spettante alla ex 10^ qualifica funzionale del ruolo sanitario, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di (OMISSIS) affidato a due motivi.
L.F. resiste con controricorso.
Con il primo motivo l’Università denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi per la controversia nonchè violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.I. 9 novembre 1982, anche in relazione all’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte territoriale abbia fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza a Sezioni unite n. 8521/2012 e richiama la difforme decisione di questo stesso giudice di legittimità n. 4418/2012, intervenuta in un contenzioso del tutto analogo a quello oggetto del presente giudizio. In particolare sottolinea la rilevanza attribuita in tale ultima decisione alla parità di mansioni, funzioni e anzianità che assume siano presupposti indefettibili per il riconoscimento del diritto all’equiparazione alle figure ospedaliere reclamate. Rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provato per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero). Evidenzia che le corrispondenze previste nel decreto interministeriale del 9 novembre 1982 e nella allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale.
Con il secondo motivo l’Università denuncia violazione dell’art. 51 c.c.n.l. Comparto sanità 1998/2001 rilevando che tale disposizione pattizia avalla la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità per la parte in cui sono denunciati pretesi vizi motivazionali formulati in riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella previgente formulazione, non applicabile, ratione temporis, al presente ricorso. La sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 con la conseguenza che la norma cui occorre fare riferimento è quella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), che consente la censura soltanto per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14).
Per il resto, quanto alle denunciate violazioni di legge e di norme contrattuali, il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.
Nella specie, il dipendente ha chiesto la liquidazione dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, commisurata alla retribuzione spettante alla ex 10^ qualifica del ruolo sanitario, poi transitata nell’unico ruolo dirigenziale (che, come è pacifico tra le parti, ha comportato per i livelli ex 9^, ex 10^ ed ex 11^ un unico trattamento economico dirigenziale, differenziato solo dalla retribuzione di posizione variabile). Tale richiesta è fondata sul fatto che, a termini dell’allegato D al D.I. 9 novembre 1982, la figura del Funzionario tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e sociosanitaria dell’8^ qualifica funzionale è equiparata a quella di Coadiutore tecnico (farmacista, biologo, chimico, fisico, psicologo), ex 10^ livello sanitario ai sensi del D.P.R. n. 348 del 1983, art. 37. La tesi contraria dell’Università valorizza il carattere transitorio del D.I. 9 novembre 1982 cit., destinato a perdere efficacia con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale dei personale medico-scientifico e la conseguente ridefinizione delle qualifiche ad opera della contrattazione collettiva. Si contesta da parte dell’odierna ricorrente l’attribuita esclusiva rilevanza all’inquadramento formale previsto dalla tabella, prescindendo da ogni valutazione della effettiva corrispondenza delle funzioni e delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente ovvero delle modalità di accesso alla qualifica (possesso del diploma di laurea).
Le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 8521 del 2012, hanno già avuto modo di affermare quanto segue: A) la normativa primaria contenuta nel D.P.R. n. 761 del 1979, non recava una disciplina specifica circa i criteri di commisurazione dell’indennità – se non il principio di equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità demandando, piuttosto, ad un decreto che contenesse apposite tabelle tale compito (D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, comma 4) -; “conclusione obbligata è dunque che la equiparazione è concretamente stabilita nell’allegato D del D.I. 9 novembre 1982″, da considerarsi, con la consolidata giurisprudenza amministrativa, esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità; B) corollario di tale regola è che la corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I. 9 novembre 1982, deve essere determinata in base all’inquadramento dei personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981; C) rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale suddetto, e precisamente la L. n. 312 dei 1980, art. 85, in base al quale il personale universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a prescindere dal titolo di studio; D) risulta irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola; E) allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.
Quanto all’efficacia temporale di tale assetto normativo in relazione alla sopravvenuta disciplina contrattuale successiva alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazione, questa Corte, ancora a Sezioni unite, sulla base di un analitico esame di tali fonti collettive (cui si rinvia), ha sancito che il D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, ha continuato a trovare applicazione, nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., e che sono state conservate le indennità di perequazione in godimento e le collocazioni in essere (sul punto v. Cass. SS.UU. nn. 6104 e 6105 del 2012).
I suddetti principi sono stati confermati in numerose successive pronunce – si vedano Cass. SS.UU. n. 17928 del 24 luglio 2013; Cass. n. 12908 del 24 maggio 2013; Cass. n. 5325 del 7 marzo 2014; Cass. n. 1078 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 10629 del 22 maggio 2015; Cass. 4 agosto 2015, n. 16350; Cass., Sez. Un., 14799 del 19 luglio 2016.
In particolare, nella decisione a Sezioni unite n. 14799/2016, con riferimento alla questione del mancato possesso del titolo di studio richiesto per l’esercizio delle funzioni correlate alle posizioni lavorative prese a base per l’invocata equiparazione, è stato ribadito che è rilevante e determinante la qualifica riconosciuta presso l’Università e la ricordata tabella di equiparazione (allegato D al D.I. 9 novembre 1982) indipendentemente dal possesso del titolo di studio in parola necessario per la qualifica rivendicata ai fini della concessione dell’indennità di equiparazione (cfr. nel medesimo senso Cass. 16 dicembre 2015, n. 25298 e Cass. 31 agosto 2015, n. 17347 nonchè le già citate Cass., Sez. Un., 17928/2013; Cass. n. 12908/2013; Cass. n. 5325/2014; Cass. n. 1078/2015). Nella medesima decisione è stato altresì rimarcato che lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante solo in quelle controversie nelle quali si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale si pone il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito.
La sentenza impugnata risulta conforme agli indicati principi nè viene in rilievo, nella presente controversia, la questione oggetto della decisione di questa Corte a sezioni unite n. 9279 del 9 maggio 2016, intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 9388 dell’8 maggio 2015 di questa sezione, riguardante il (diverso) problema se la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità debba essere riconosciuta soltanto se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo o alla possibilità di ricoprirlo oppure se sia sufficiente l’equiparazione al livello dirigenziale operata dalla contrattazione collettiva (si veda assolutamente in termini e con riferimento ai collaboratori tecnici appartenenti alla ex 8^ qualifica funzionale del personale universitario equiparata all’ex 9^ livello del personale delle unità sanitarie locali, successivamente transitato nel ruolo unico dirigenziale, la già citata Cass. n. 17347/2015).
Alla luce delle considerazioni che precedono si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.
2 – L’Università ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale l’Università si è limitata a riproporre le ragioni di cui al ricorso ed a sostenere che, con riferimento alle corrispondenze rispetto al livello dirigenziale, andrebbe escluso ogni automatismo ed andrebbero verificate in concreto le mansioni svolte perchè, diversamente, verrebbe compromessa la funzione meramente perequativa dell’indennità in questione, in violazione del principio del giusto trattamento economico ex art. 36 Cost.. Valga, al riguardo, richiamare quanto affermato da questa Corte a Sezioni unite nella già citata sentenza n. 14799/2016: “Lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante (…) solo in quelle controversie nelle quali (…) si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale è stato posto il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito; queste Sezioni unite hanno recentemente ribadito il principio per cui l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (indennità D.M.), riconosciuta dalla L. n. 200 del 1974, art. 1, per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università, deve essere determinata – in caso di equiparazione tra l’originario 8^ livello (ovvero, come nella specie, tra l’originario 7^ livello) di cui alla L. n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Università) e il 9^ livello, poi divenuto 1^ livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri) – senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (S.U. 9 Maggio 2016, n. 9279)”. Tuttavia tale questione non risulta essere stata mai posta (cfr. sentenza impugnata).
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.
4 – In conclusione il ricorso va rigettato.
5 – La complessità della vicenda ed i plurimi interventi di questa Corte anche a Sezioni unite giustificano la compensazione delle spese tra le parti.
6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).
Peraltro l’esonero dal raddoppio del contributo unificato trova applicazione solo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778), non anche nei confronti degli enti pubblici che non fanno parte dell’amministrazione dello Stato, pur essendo sotto il suo controllo, e così nei confronti degli enti di ricerca scientifica, tra cui sono da annoverarsi le università pubbliche.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

università- scuola- personale non medico- diritto ad indennità di equiparazione

27/01/2017 n. 2159 - ordinanza sez. VI

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 4098/2013, depositata in data 17 dicembre 2013, la Corte di appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dall’Università degli Studi di (OMISSIS) nei confronti di A.N., Pe.Ro., P.L., M.L., Lo.Pa., L.G., G.N., D.B.M., C.A. e confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto dei ricorrenti, appartenenti al personale universitario non medico ed inquadrati nella ex 7^ qualifica funzionale in qualità di collaboratore tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente qualifica funzionale 9^ del c.c.n.l. Comparto sanità, senza che potesse assumere rilevanza la distinzione operata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università tra personale laureato e personale non laureato, in quanto in contrasto con la volutas legis di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 ed al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e senza che potesse essere attribuita importanza all’effettività delle mansioni svolte (che, si sosteneva, non poteva prescindere dal titolo di studio). Richiamava la Corte territoriale i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 12908/2013 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e conclusivamente riteneva, a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, fondato il diritto delle ricorrenti all’indennità di equiparazione commisurata alla retribuzione spettante alla ex 9^ qualifica funzionale del ruolo sanitario, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di (OMISSIS) affidato a due motivi.

A.N., P.L., M.L., Lo.Pa., L.G., G.N., D.B.M., C.A., A.N., Pe.Ro., P.L., M.L., L.P., L.G., G.N., D.B.M., C.A., resistono con controricorso.

Pe.Ro. è rimasto solo intimato.

Con il primo motivo l’Università denuncia violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, della L. n. 200 del 1974, art. 1, del D.I. 9 novembre 1982, D.M. 31 luglio 1997, art. 6, all. D, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata allegazione di parte istante dell’effettiva parità di mansioni e funzioni quale presupposto indefettibile dell’invocata parità retributiva, anche con riguardo al disposto di cui all’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte territoriale abbia fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 12908/2013 e richiama la difforme decisione di questo stesso giudice di legittimità n. 4418/2012, intervenuta in un contenzioso del tutto analogo a quello oggetto del presente giudizio. In particolare sottolinea la rilevanza attribuita in tale ultima decisione alla parità di mansioni, funzioni e anzianità che assume siano presupposti indefettibili per il riconoscimento all’equiparazione alle figure ospedaliere reclamate. Rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provata per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero). Evidenzia che le corrispondenze previste nel decreto interministeriale del 9/11/1982 e nella allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale.

Con il secondo motivo l’Università denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del c.c.n.l. Comparto sanità 1994/1997, dell’art. 51 c.c.n.l. Computo sanità 1998/2001, rilevando che tali disposizione pattizie avallano la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza.

I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.

Nella specie, i dipendenti hanno chiesto la liquidazione dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, commisurata alla retribuzione spettante alla ex 9^ qualifica del ruolo sanitario, poi transitata nell’unico ruolo dirigenziale (che, come è pacifico tra le parti, ha comportato per i livelli ex 9^, ex 10^ ed ex 11^ un unico trattamento economico dirigenziale, differenziato solo dalla retribuzione di posizione variabile). Tale richiesta è fondata sul fatto che, a termini dell’allegato D al D.I. 9 Novembre 1982, la figura del collaboratore tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e socio-sanitaria della 7^ qualifica funzionalè è equiparata a quella di assistente tecnico (farmacista, biologo, chimico, fisico, psicologo), ex 9^ livello sanitario ai sensi del D.P.R. n. 348 del 1983, art. 37. La tesi contraria dell’Università valorizza il carattere transitorio del D.I. 9 novembre 1982 cit., destinato a perdere efficacia con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986, che ha istituito il ruolo speciale dei personale medico-scientifico e la conseguente ridefinizione delle qualifiche ad opera della contrattazione collettiva. Si contesta da parte dell’odierna ricorrente l’attribuita esclusiva rilevanza all’inquadramento formale previsto dalla tabella, prescindendo da ogni valutazione della effettiva corrispondenza delle funzioni e delle mansioni effettivamente svolte dai dipendenti ovvero delle modalità di accesso alla qualifica (possesso del diploma di laurea).

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 8521 del 2012, hanno già avuto modo di affermare quanto segue: A) la normativa primaria contenuta nel D.P.R. n. 761 del 1979, non recava una disciplina specifica circa i criteri di commisurazione dell’indennità – se non il principio di equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità demandando, piuttosto, ad un decreto che contenesse apposite tabelle tale compito (D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, comma 4); “conclusione obbligata è dunque che la equiparazione è concretamente stabilita nell’allegato D del D.I. 9 novembre 1982″, da considerarsi, con la consolidata giurisprudenza amministrativa, esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità; B) corollario di tale regola è che la corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I. 9 novembre 1982, deve essere detetininata in base all’inquadramento dei personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981; C) rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale suddetto, e precisamente la L. n. 312 dei 1980, art. 85, in base al quale il personale universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a prescindere dal titolo di studio; D) risulta irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola; E) allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.

Quanto all’efficacia temporale di tale assetto normativo in relazione alla sopravvenuta disciplina contrattuale successiva alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazione, questa Corte, ancora a Sezioni unite, sulla base di un analitico esame di tali fonti collettive (cui si rinvia), ha sancito che il D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, ha continuato a trovare applicazione, nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., e che sono state conservate le indennità di perequazione in godimento e le collocazioni in essere (sul punto v. Cass. SS.UU. nn. 6104 e 6105 del 2012).

I suddetti principi sono stati confermati in numerose successive pronunce – si vedano Cass. SS.UU. n. 17928 del 24 luglio 2013; Cass. n. 12908 del 24 maggio 2013; Cass. n. 5325 del 7 marzo 2014; Cass. n. 1078 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 10629 del 22 maggio 2015; Cass. 4 agosto 2015, n. 16350; Cass., Sez. Un., 14799 del 19 luglio 2016.

In particolare, nella decisione a Sezioni unite n. 14799/2016, con riferimento alla questione del mancato possesso del titolo di studio richiesto per l’esercizio delle funzioni correlate alle posizioni lavorative prese a base per l’invocata equiparazione, è stato ribadito che è rilevante e determinante la qualifica riconosciuta presso l’Università e la ricordata tabella di equiparazione (allegato D al D.I. 9 novembre 1982) indipendentemente dal possesso del titolo di studio in parola necessario per la qualifica rivendicata ai fini della concessione dell’indennità di equiparazione (cfr. nel medesimo senso Cass. 16 dicembre 2015, n. 25298 e Cass. 31 agosto 2015, n. 17347 nonchè le già citate Cass., Sez. Un., 17928/2013; Cass. n. 12908/2013; Cass. n. 5325/2014; Cass. n. 1078/2015). Nella medesima decisione è stato altresì rimarcato che lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante solo in quelle controversie nelle quali si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale si pone il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito.

La sentenza impugnata risulta conforme agli indicati principi nè viene in rilievo, nella presente controversia, la questione oggetto della decisione di questa Corte a sezioni unite n. 9279 del 9 maggio 2016, intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 9388 dell’8 maggio 2015 di questa sezione, riguardante il (diverso) problema se la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità debba essere riconosciuta soltanto se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo o alla possibilità di ricoprirlo oppure se sia sufficiente l’equiparazione al livello dirigenziale operata dalla contrattazione collettiva (si veda assolutamente in termini e con riferimento proprio ai collaboratori tecnici appartenenti alla ex 7^ qualifica funzionale del personale universitario equiparata all’ex 9^ livello del personale delle unità sanitarie locali, successivamente transitato nel ruolo unico dirigenziale, la già citata Cass. n. 17347/2015).

Alla luce delle considerazioni che precedono si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.

2 – L’Università ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale l’Università si è limitata a riproporre le ragioni di cui al ricorso ed a sostenere che, con riferimento alle corrispondenze rispetto al livello dirigenziale, andrebbe escluso ogni automatismo ed andrebbero verificate in concreto le mansioni svolte perchè, diversamente, verrebbe compromessa la funzione meramente perequativa dell’indennità in questione, in violazione del principio del giusto trattamento economico ex art. 36 Cost.. Valga, al riguardo, richiamare quanto affermato da questa Corte a Sezioni unite nella già citata sentenza n. 14799/2016: “Lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante (…) solo in quelle controversie nelle quali (…) si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale è stato posto il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito; queste Sezioni unite hanno recentemente ribadito il principio per cui l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (indennità D.M.), riconosciuta dalla L. n. 200 del 1974, art. 1, per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università, deve essere determinata – in caso di equiparazione tra l’originario 8^ livello (ovvero, come nella specie, tra l’originario VII livello) di cui alla L. n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Università) e il 9^ livello, poi divenuto 1^ livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri) – senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (S.U. 9 Maggio 2016, n. 9279)”. Tuttavia tale questione non risulta essere stata mai posta (cfr. sentenza impugnata).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – La complessità della vicenda ed i plurimi interventi di questa Corte anche a Sezioni unite giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

università- scuola- personale non medico- diritto ad indennità di equiparazione

27/01/2017 n. 2214 - ordinanza sez. VI

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 1031/2013, depositata in data 12 aprile 2013, la Corte di appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dall’Università degli Studi di (OMISSIS) nei confronti di P.A. e confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto del ricorrente, appartenente al personale universitario non medico ed inquadrato nella ex 8^ qualifica funzionale in qualità di funzionario tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente ex qualifica funzionale 10^ del c.c.n.l. Comparto sanità, senza che potesse assumere rilevanza la distinzione operata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università tra personale laureato e personale non laureato, in quanto in contrasto con la volutas legis di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 ed al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e senza che potesse essere attribuita importanza all’effettività delle mansioni svolte (che, si sosteneva, non poteva prescindere dal titolo di studio). Richiamava la Corte territoriale i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 21608/2012 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e conclusivamente riteneva, a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, fondato il diritto del ricorrente all’indennità di equiparazione commisurata alla retribuzione spettante alla ex 10^ qualifica funzionale del ruolo sanitario, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di (OMISSIS) affidato a due motivi.

P.A. resiste con controricorso.

Con il primo motivo l’Università denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi per la controversia nonchè violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.I. 9 novembre 1982, anche in relazione all’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte territoriale abbia fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza a Sezioni unite n. 8521/2012 e richiama la difforme decisione di questo stesso giudice di legittimità n. 4418/2012, intervenuta in un contenzioso del tutto analogo a quello oggetto del presente giudizio. In particolare sottolinea la rilevanza attribuita in tale ultima decisione alla parità di mansioni, funzioni e anzianità che assume siano presupposti indefettibili per il riconoscimento del diritto all’equiparazione alle figure ospedaliere reclamate. Rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provato per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero). Evidenzia che le corrispondenze previste nel decreto interministeriale del 9 novembre 1982 e nella allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale.

Con il secondo motivo l’Università denuncia violazione dell’art. 51 c.c.n.l. Comparto sanità 1998/2001 rilevando che tale disposizione pattizia avalla la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza.

Il primo motivo presenta profili di inammissibilità per la parte in cui sono denunciati pretesi vizi motivazionali formulati in riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella previgente formulazione, non applicabile, ratione temporis, al presente ricorso. La sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 con la conseguenza che la norma cui occorre fare riferimento è quella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), che consente la censura soltanto per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14).

Per il resto, quanto alle denunciate violazioni di legge e di norme contrattuali, il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.

Nella specie, il dipendente ha chiesto la liquidazione dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, commisurata alla retribuzione spettante alla ex 10^ qualifica del ruolo sanitario, poi transitata nell’unico ruolo dirigenziale (che, come è pacifico tra le parti, ha comportato per i livelli ex 9^, ex 10^ ed ex 11^ un unico trattamento economico dirigenziale, differenziato solo dalla retribuzione di posizione variabile). Tale richiesta è fondata sul fatto che, a termini dell’allegato D al D.I. 9 novembre 1982, la figura del Funzionario tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e sociosanitaria dell’8^ qualifica funzionale è equiparata a quella di Coadiutore tecnico (farmacista, biologo, chimico, fisico, psicologo), ex 10^ livello sanitario ai sensi del D.P.R. n. 348 del 1983, art. 37. La tesi contraria dell’Università valorizza il carattere transitorio del D.I. 9 novembre 1982 cit., destinato a perdere efficacia con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale dei personale medico-scientifico e la conseguente ridefinizione delle qualifiche ad opera della contrattazione collettiva. Si contesta da parte dell’odierna ricorrente l’attribuita esclusiva rilevanza all’inquadramento formale previsto dalla tabella, prescindendo da ogni valutazione della effettiva corrispondenza delle funzioni e delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente ovvero delle modalità di accesso alla qualifica (possesso del diploma di laurea).

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 8521 del 2012, hanno già avuto modo di affermare quanto segue: A) la normativa primaria contenuta nel D.P.R. n. 761 del 1979, non recava una disciplina specifica circa i criteri di commisurazione dell’indennità – se non il principio di equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità demandando, piuttosto, ad un decreto che contenesse apposite tabelle tale compito (D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, comma 4) -; “conclusione obbligata è dunque che la equiparazione è concretamente stabilita nell’allegato D del D.I. 9 novembre 1982″, da considerarsi, con la consolidata giurisprudenza amministrativa, esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità; B) corollario di tale regola è che la corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I. 9 novembre 1982, deve essere determinata in base all’inquadramento dei personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981; C) rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale suddetto, e precisamente la L. n. 312 dei 1980, art. 85, in base al quale il personale universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a prescindere dal titolo di studio; D) risulta irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola; E) allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.

Quanto all’efficacia temporale di tale assetto normativo in relazione alla sopravvenuta disciplina contrattuale successiva alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazione, questa Corte, ancora a Sezioni unite, sulla base di un analitico esame di tali fonti collettive (cui si rinvia), ha sancito che il D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, ha continuato a trovare applicazione, nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., e che sono state conservate le indennità di perequazione in godimento e le collocazioni in essere (sul punto v. Cass. SS.UU. nn. 6104 e 6105 del 2012).

I suddetti principi sono stati confermati in numerose successive pronunce – si vedano Cass. SS.UU. n. 17928 del 24 luglio 2013; Cass. n. 12908 del 24 maggio 2013; Cass. n. 5325 del 7 marzo 2014; Cass. n. 1078 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 10629 del 22 maggio 2015; Cass. 4 agosto 2015, n. 16350; Cass., Sez. Un., 14799 del 19 luglio 2016.

In particolare, nella decisione a Sezioni unite n. 14799/2016, con riferimento alla questione del mancato possesso del titolo di studio richiesto per l’esercizio delle funzioni correlate alle posizioni lavorative prese a base per l’invocata equiparazione, è stato ribadito che è rilevante e determinante la qualifica riconosciuta presso l’Università e la ricordata tabella di equiparazione (allegato D al D.I. 9 novembre 1982) indipendentemente dal possesso del titolo di studio in parola necessario per la qualifica rivendicata ai fini della concessione dell’indennità di equiparazione (cfr. nel medesimo senso Cass. 16 dicembre 2015, n. 25298 e Cass. 31 agosto 2015, n. 17347 nonchè le già citate Cass., Sez. Un., 17928/2013; Cass. n. 12908/2013; Cass. n. 5325/2014; Cass. n. 1078/2015). Nella medesima decisione è stato altresì rimarcato che lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante solo in quelle controversie nelle quali si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale si pone il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito.

La sentenza impugnata risulta conforme agli indicati principi nè viene in rilievo, nella presente controversia, la questione oggetto della decisione di questa Corte a sezioni unite n. 9279 del 9 maggio 2016, intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 9388 dell’8 maggio 2015 di questa sezione, riguardante il (diverso) problema se la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità debba essere riconosciuta soltanto se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo o alla possibilità di ricoprirlo oppure se sia sufficiente l’equiparazione al livello dirigenziale operata dalla contrattazione collettiva (si veda assolutamente in termini e con riferimento ai collaboratori tecnici appartenenti alla ex 8^ qualifica funzionale del personale universitario equiparata all’ex 9^ livello del personale delle unità sanitarie locali, successivamente transitato nel ruolo unico dirigenziale, la già citata Cass. n. 17347/2015).

Alla luce delle considerazioni che precedono si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – La complessità della vicenda ed i plurimi interventi di questa Corte anche a Sezioni unite giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

Peraltro l’esonero dal raddoppio del contributo unificato trova applicazione solo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778), non anche nei confronti degli enti pubblici che non fanno parte dell’amministrazione dello Stato, pur essendo sotto il suo controllo, e così nei confronti degli enti di ricerca scientifica, tra cui sono da annoverarsi le università pubbliche.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

quale medico del servizio sanitario era socio occulto di centro medico privato finalizzato a compiere truffe ed abusi d'ufficio.

27/01/2017 n. 4103 - Penale Sent. Sez. 6

Il medico effettuava presso la struttura convenzionata un numero di visite superiore a quello dichiarato mensilmente alla Asl, omettendo di versare parte del ricavato, di cui pertanto egli integralmente si appropriava.
Rilascio certificazioni su timbro di altro medico.
——————————————————————————–

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 settembre 2013, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale di Firenze il 27 febbraio 2009, ha condannato Stefano O. alla pena di tre anni e due mesi di reclusione per il reato di cui al capo a-bis) della imputazione, oggetto di contestazione suppletiva all’udienza del 5 maggio 2008, riqualificato quale peculato continuato (artt. 81 e 314 cod. pen.), esclusa la contestata aggravante (art. 61 n. 7 cod.pen.), per i fatti successivi al 23 marzo 2001. Con la medesima sentenza si è dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del prevenuto quanto ai reati di cui agli artt. 416, primo, secondo e terzo comma, 640, primo e secondo comma,
n. 1) e 476 cod. pen., contestati ai capi a), b), c) ed f) della rubrica, perché estinti per intervenuta prescrizione. Il prevenuto è stato in tal modo ritenuto partecipe, quale socio occulto, insieme ad altri sanitari del SSN, di un’associazione finalizzata al compimento di una serie di truffe, falsi, abusi di ufficio e peculati, in relazione a somme incassate per visite sportive e correlate certificazioni svolte presso il poliambulatorio M. F. 2000 a r.I., struttura accreditata, anche in regime di intramoenia, ai danni dell’Asl di Firenze, azienda di cui era dipendente il sanitario.
2. Ricorre per cassazione il prevenuto con il patrocinio del difensore dì fiducia ed articola sei motivi in annullamento, in relazione ai vari capi di imputazione. 3. Con il primo motivo, relativo al capo a-bis), oggetto di contestazione suppletiva del P.m. all’udienza del 5 maggio 2008, si denuncia violazione di legge per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (artt.521, comma 2, 522 cod. proc. pen., come richiamati dall’art. 598 cod. proc. pen.).
La Corte di appello condannando l’imputato per peculato, secondo originaria imputazione, così modificata la qualificazione di truffa ritenuta invece primo grado, aveva ritenuto il dottor O. responsabile, per contrasto con la normativa nazionale e regionale di settore, di avere svolto in regime pubblico visite e rilasciato certificati, apponendo firma e timbro falsi, al posto del dottor G. che, quale partecipe della diversa associazione G.- B., pure operante nei locali del poliambulatorio della M. F., era autorizzato ad emettere certificati agonistici ad atleti minori o affetti da handicap in regime esente o soggetto al solo pagamento del ticket. Si deduce in ricorso come la contestazione suppletiva (capo a -bis) avesse invece ad oggetto la diversa condotta di appropriazione del sanitario di somme di denaro dell’Asl di appartenenza, di cui egli aveva la disponibilità e che erano state da lui incassate nello svolgimento dell’attività libero- professionale di rilascio dei certificati di idoneità agonistica ad atleti maggiorenni, rese a pagamento, in regime di intra moenia presso la M. F..
Il medico effettuava presso la struttura convenzionata un numero di visite superiore a quello dichiarato mensilmente alla Asl, omettendo di versare parte del ricavato, di cui pertanto egli integralmente si appropriava. Nel dedotto disallineamento tra fatto contestato e fatto per cui era stata emessa sentenza, in ricorso si denuncia nullità per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza (art. 522 cod. proc. pen.).
4. Con il secondo motivo di ricorso, si fanno valere i vizi di erronea applicazione di norma penale sostanziale (in relazione all’art. 314 cod. pen.) e di contraddittorietà della motivazione anche per travisamento degli esiti di prova, dovendo il fatto contestato al capo a -bis) essere qualificato come truffa ai danni dello Stato ai sensi dell’art. 640, secondo comma, n. 1 cod. pen., in difetto in capo all’agente del possesso o disponibilità delle somme e dell’appartenenza di queste ultime alla pubblica Amministrazione. 5. Con il terzo motivo, relativo ai capi a), b) e c) della rubrica, fa valere mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, contestando la sussistenza dei correlati reati ritenuti. Deduce la difesa che la Corte territoriale nella parte dell’impugnata sentenza in cui aveva confermato, pur dichiarandone la prescrizione, l’esistenza dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e di falso in atto pubblico, aveva commesso evidenti salti logici e travisato alcune risultanze probatorie, testimoniali, intercettative e documentali, sulla presenza dell’O. presso la struttura accreditata e sulle assenze del dottor G.. 4.2.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione della legge penale (in relazione agli artt. 416 e 640, secondo comma, n. 1 cod. pen.) per contestata sussistenza del danno ingiusto in relazione al delitto di truffa nel necessario contenuto patrimoniale e non morale dello stesso. La circostanza che fosse contestato ai prevenuti il rilascio di certificazioni all’esito di visite che essi erano autorizzati a svolgere e che l’Asl aveva rimborsato a soggetti comunque esenti, avrebbe escluso il danno. Il servizio era stato poi reso da soggetto professionalmente qualificato senza alcun danno o pericolo per la salute dei singoli fruitori. 6. Con il quinto motivo, si deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione quanto al reato di falso (art. 476 cod. pen.), ritenuto anche per una serie di certificati — su cui non vi era comunque prova che riguardassero soggetti esenti e come tali possibili pazienti dei dottori G. e B.— emessi dal prevenuto a sua firma là dove in imputazione si contestava di aver formato illecitamente certificati a firma G. e B., sanitari che, accreditati presso l’Asl, avrebbe avuto il diritto al rimborso. 7. Con il sesto motivo, quanto al capo f) della rubrica, si fa valere l’erronea applicazione del C.C.N.L. 98 del 2001 e delle direttive europee 93/104/CE e 200/34/CE, recepite con il d.lgs. n. 66 del 2003.
Per il capo f) il prevenuto era stato condannato per truffa aggravata dalla violazione dei doveri inerenti la sua qualità di medico pubblico dipendente ed ai danni dell’Asl perché egli, assentandosi sistematicamente dall’Ospedale S.M. Annunziata di cui era dipendente, dal settembre 2001 al settembre 2002 in orario di lavoro con periodica frequenza, mediante inserimento di un orario di entrata e di uscita difforme dal reale sul cartellino di presenza, induceva in errore l’Asl di Firenze che gli corrispondeva stipendi mensili a fronte di ore di lavoro non svolte, in tal modo determinando un ingiusto profitto ed un contestuale danno ingiusto per l’Azienda.
Il ‘monte ore’ retribuito sarebbe stato determinato in modo erroneo senza tener conto dell’attività istituzionale prestata dal prevenuto quale Dirigente Medico e senza rilevare l’incidenza che il raggiungimento degli obiettivi ha sull’ammontare dello stipendio mensile (art. 16, Capo II, del C.C.N.L. – Compatto Sanita’ Quadriennio 1998-2001 – Area relativa alla Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale; direttive europee recepite con il d.lgs. n. 66 del 2003, art. 17, comma 5, d.lgs. cit.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per il proposto ricorso vengono in contestazione titoli di reato rispetto ai quali la Corte di appello fiorentina ha emesso declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Tali il reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento, da parte di medici dipendenti del SSN associati in struttura privata, la M. F. 2000 a r.I., di una serie di falsi in certificazioni mediche, truffe ai danni di ente pubblico per il conseguimento di rimborsi non dovuti, abusi di ufficio, peculati, ed i singoli correlati reati-fine (capi a), b) e c) della rubrica).
2. Tanto ritenuto, quanto al capo a -bis) della rubrica, con il primo motivo di ricorso viene dedotta una causa di nullità della sentenza per avere i giudici di appello pronunciato su un fatto nuovo, non contestato ed essere quindi incorsi nella inosservanza dell’art. 522 cod. proc. pen. La deduzione è fondata nei termini ed agli effetti di seguito indicati.
L’O. per siffatto titolo è stato infatti condannato per aver rilasciato, nell’ambito dell’attività libero professionale svolta all’interno del poliambulatorio della M. F., certificati di idoneità sportivo- agonistica con la firma ed il timbro di altro professionista, il dottor G., sanitario autorizzato, lucrando dalla Usl di dipendenza una quota che non gli sarebbe spettata.
Come fondatamente deduce la difesa del prevenuto, il capo in questione afferisce invece alla diversa condotta di appropriazione di somme di denaro derivanti dall’effettuazione di un numero di visite ad atleti maggiorenni per la certificazione di idoneità all’attività agonistica, in regime di intramoenia presso il poliambulatorio della M. F. di via xx.
Si imputa per siffatto comportamento al prevenuto di avere trattenuto tali somme omettendo di trasferirle alla Asl di appartenenza che avrebbe poi provveduto ad una restituzione parziale al sanitario, secondo il regime dell’intramoenia. Il richiamo operato in sentenza alla diversa condotta di falsificazione di timbri e firme del dottor G. — sanitario autorizzato alla prestazione in quanto appartenente all’associazione G.-B.pure operante all’interno del poliambulatorio — con effettuazione, a nome di questi, di visite specialistiche e rilascio di certificazione di idoneità sportivo-agonistica ad atleti minorenni o affetti da handicap, attiene invece ad altra vicenda, pure contestata all’O., ma in relazione ad altre imputazioni.
Tanto valga infatti quanto al diverso capo a) della rubrica, nella parte in cui si contesta al prevenuto il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen. diretto alla commissione di una serie indeterminata di truffe aggravate ai danni di ente pubblico, l’Asl di Firenze, per il conseguimento di rimborsi non dovuti per visite sportive a carico del SSN e di falsi in certificati medici, ed ai correlati ‘reati-fine’, contestati ai successivi capi b) e c) della rubrica.
2.1. L’impropria commistione, operata nell’impugnato titolo, di condotte afferenti a distinti capi sortisce l’effetto di definire un ‘fatto nuovo’, come tale non contestato in rubrica ed al quale si accompagna la nullità della sentenza (artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) nella parte in cui la stessa si pronuncia sul capo a -bis) negli indicati termini.
Nella non inammissibilità del motivo di ricorso, va dichiarata la prescrizione del reato di cui al capo a -bis) della rubrica, riqualificato dalla Corte territoriale quale peculato aggravato continuato, in concorso con altri (artt. 81 cpv, 110, 314, 61 n. 7 cod. pen.). A tale titolo sono state contestate al prevenuto condotte poste in essere fino al primo semestre del 2002, con conseguente maturazione ad oggi della prescrizione, ai sensi del novellato art. 157 cod. pen. (I. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, nell’applicabilità temporale definita da Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv. 244810), e ciò nella pure stimata esistenza di periodi di sospensione. 2.2.
La pronunciata di nullità è compatibile con la immediata declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. nel rilievo, ormai squisitamente civilistico, della adottata pronuncia. Come questa Corte ha già affermato per persuasive valutazioni, nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, se non è rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva, pur tuttavia resta salva la contraria ipotesi della valutabilità della nullità, da valere in termini di eccezione alla regola, ove la sentenza di merito, affetta da nullità, abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o alle restituzioni.
In tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili (Sez. 2, n. 3221 del 07/01/2014, Macchia, Rv. 258817).Ciò posto, per la ritenuta nullità cadono le statuizioni civili correlate che vanno quindi revocate, assorbito poi ogni ulteriore motivo articolato quanto al capo a -bis) in punto di dedotta errata qualificazione del fatto (secondo motivo di ricorso). 3. Nel resto, quanto ai motivi dal terzo al sesto, il mezzo proposto è inammissibile perché ha ad oggetto, violazioni di legge e vizi di motivazione non deducibili a fronte della declaratoria di estinzione dei reati emessa dalla Corte di appello (capi a), b) e c) della rubrica) ed in difetto di alcun riferimento in ricorso ai soli capi relativi agli interessi civili (Sez. 6, n. 23594 del 19/03/2013, Luongo, Rv. 256625).

4. La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio perché i reati sono prescritti, revocate le statuizioni civili che si accompagnano al punto della sentenza colpito dalla rilevata nullità d’ordine processuale, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione e rinvia alla Corte di appello civile competente per valore e territorio per la decisione sulla domanda civile.
Così deciso, il 22/11/2016