• mani

    Mani

  • gabbia

    Gabbia

  • famiglia

    Famiglia

  • stetoscopio

    Stetoscopio

miglioramento delle condizioni reddituali dell'ex coniuge collocatario del minore giustifica la riduzione del contributo al mantenimento

13/03/2020 n. 7230 - Cassazione Civile - Sezione VI

MASSIMA 

In  riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

FATTO
La Corte di Appello di Catania, con decisione in data 15/11/2017, ha riformato il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale di Siracusa in data 5-7 luglio 2016 in sede di modifica dell’assegno divorzile a favore della moglie ed a carico del marito ed ha ridotto da 350,00 mensili a 280,00 Euro mensili l’importo dell’assegno divorzile per il mantenimento della figlia minore OMISSIS nata dal matrimonio contratto da OMISSIS1 con OMISSIS2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione OMISSIS1 affidato a sei motivi.

A. OMISSIS2 non ha spiegato difese

DIRITTO 
Con il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, tutti contenenti la medesima censura, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 e art. 2727 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche degli ex coniugi nonchè dell’impossibilità per il ricorrente di mantenersi con il solo importo residuo a sua disposizione stabilito dalla Cortei considerato che aveva formato una nuova famiglia e che la compagna dalla quale aveva avuto un figlio aspettava un altro figlio. Il ricorrente evidenziava poi che la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà mentre al contrario il ricorrente aveva avuto altro figlio ed un altro ne aspettava dall’attuale compagna.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 143,155,156 e 2697 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5 ed art. 111 Cost., in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche dei coniugi e dei fatti nuovi sopravvenuti. Inoltre, ha ridotto l’assegno con decorrenza solo dalla data di pubblicazione della decisione e non dalla data della domanda. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e art. 92 c.p.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha condannato il Salerai alle spese del primo grado di giudizio e compensato quelle di secondo grado sebbene il ricorso fosse fondato.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112,114 e 115 c.p.c. e art. 2727 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale ha ridotto l’assegno senza motivare in alcun modo e senza indicare gli elementi posti alla base della decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti nel merito la decisione impugnata ha già valutato ed accolto tutte le ragioni del ricorrente: ha preso in considerazione la situazione economica delle parti e tenuto conto dell’incremento reddituale dell’ex-coniuge per cui ha ridotto l’assegno di mantenimento in favore della figlia da 350,00 Euro stabilito dal giudice di primo grado a 280,00 Euro mensili in quanto la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà, mentre al contrario il ricorrente aveva avuto un altro figlio ed un altro ancora ne aspettava dall’attuale compagna. Nessuna circostanza risulta essere stata trascurata dal giudice territoriale, che ha accolto, con decisione adeguatamente motivata ed immune da vizi logici, la domanda di riduzione del l’assegno.

La decisione impugnata merita quindi di essere confermata.

La decisione deve essere anche confermata in ordine alla decorrenza della riduzione dell’importo dell’assegno.

Infatti Sez. 1-, Sentenza n. 9533 del 04/04/2019 ha stabilito che in riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

Inoltre il motivo di ricorso è infondato anche per le spese di giudizio, date le ragioni delle parti che hanno indotto il giudice a porre a carico del ricorrente le spese del primo grado di giudizio stante l’accoglimento parziale della domanda.

Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d’ufficio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta-prima sezione della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

rettificazione sesso - autorizzazione al mutamento del sesso

12/03/2020 n. 365 - Tribunale modena

Co. Ri. citava in giudizio avanti all’intestato Tribunale la Procura della Repubblica di Mo., premettendo che il Tribunale, con sentenza n. 1678/2018 pubblicata in data 11.10.2018 e passata in giudicato, aveva accolto la domanda di rettificazione di sesso dalla stessa formulata, attribuendole il sesso femminile ed i prenome “Co.” in luogo di An., e chiedendo l’autorizzazione a sottoporsi all’intervento chirurgico di rettificazione dei caratteri/tratti sessuali.

Esponeva all’uopo l’attrice di aver maturato la decisione di sottoporsi all’intervento successivamente la conclusione del precedente giudizio, e che il proprio percorso di transizione, iniziato nel 2013, non era mai stato oggetto di ripensamenti. Le relazioni mediche e psicologiche cui la stessa si era sottoposta, d’altro canto, avevano tutte concluso per una decisione pienamente consapevole riguardante il cambiamento di sesso e le relative conseguenze.

All’udienza del 7 novembre 2019 parte attrice era sentita liberamente dall’Istruttore, il difensore precisava le conclusioni e il Giudice tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata.

La relazione psicologica rilasciata il 7.2.2018 dalla dott.ssa Da. An. Na., consulente presso il MI., rileva che la sig.ra Ri. (all’epoca Ri. An. ) presenta disforia di genere, ovvero transessualismo irreversibile e, escludendo la presenza di patologia mentale, “…esprime parere favorevole a che la persona Ri. A. possa rettificare gli atti anagrafici e di stato civile e possa accedere all’intervento chirurgico di rettificazione e attribuzione di sesso ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164” (doc 2 fasc. att.).

Anche la relazione in data 21.12.2017 della dott.ssa Ma. Cr. Me., endocrinologa presso l’AOU S. Or. – Ma. di Bo., ha attestato che gli interventi medici eseguiti negli anni da Ri. An. testimoniano la sua ferma volontà di vivere in conformità al sesso femminile assumendone i tipici ruoli; conclude poi affermando che: “…dal punto di vista medico non sussistono controindicazioni all’intervento” (doc. 3).

La documentazione prodotta deve ritenersi sufficiente per l’accoglimento della domanda, trattandosi di relazioni provenienti da professionisti affiliati a strutture sanitarie pubbliche, in particolare da consulenti del MI. (Movimento Identità Transessuale), che svolge attività convenzionata con l’Azienda USL di Bologna e che si caratterizza come centro specialistico di riferimento a livello nazionale per persone che presentano disforia di genere. D’altro canto, essi sono già stati ritenuti esaustivi dal Tribunale nel procedimento conclusosi con la sentenza che ha autorizzato la rettificazione dei dati dell’attrice con cambiamento del nome e annotazione negli atti anagrafici.

Dall’ interrogatorio libero dell’attrice, inoltre, è emersa la sua meditata volontà di sottoporsi all’intervento di rettificazione del sesso al fine di completare il percorso intrapreso con la domanda di rettifica dei dati anagrafici.

Ricorrono pertanto i presupposti per autorizzare l’intervento richiesto.

PQM

Il Tribunale di Modena, autorizza Ri. Co. a sottoporsi all’intervento chirurgico di rettificazione dei caratteri/tratti sessuali.

Co.ì deciso in Modena, il 29/01/2020 Il Giudice Relatore Il Presidente dott. Susanna Zavaglia dott. Riccardo Di Pasquale

protezione internazionale: il richiedente deve compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda

11/03/2020 n. 6922 - Cassazione Civile - sezione I

FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, ha rigettato l’appello proposto da XXXX avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva disatteso l’opposizione avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

XXXX ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente, originario della Nigeria, cristiano pentecostale, nel racconto reso dinanzi alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese perché il padre, medico secondo la medicina tradizionale, si era rifiutato di partecipare a un rito sacrificale su esseri umani ricevendo per questo un maleficio in esito al quale si ammalò e morì in poco tempo.

Dopo aver subito minacce dai componenti della setta, autrice del sortilegio ai danni padre nel perseguito intento che il richiedente ne prendesse il posto nella pratica dei riti sacrificali, ed in esito alla sofferta sottrazione dei beni di famiglia, il ricorrente si era trasferito presso uno zio a Benin City dove, un anno e mezzo dopo, decedeva la madre che lo accusava di averne determinato la morte per non aver aderito alle richieste della setta.

Dopo la morte dello zio, il ricorrente convinto che la setta sarebbe tornata a cercarlo e intimorito per una serie di attentati del gruppo di (OMISSIS), in cui nel frattempo egli si era trasferito trovando ivi un lavoro, e del peggioramento delle condizioni dei cattolici e pentacostali nella zona, decideva di fuggire.

1.1. Tanto esposto, con il primo motivo il ricorrente fa valere la nullità processuale dell’impugnata sentenza per motivazione apparente (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 111 Cost.).

La Corte di appello aveva ritenuto il racconto non credibile, richiamando, in assenza di qualsivoglia elaborazione logica originale, la motivazione del giudice di primo grado di cui evidenziava la correttezza del ragionamento su incongruenze del racconto, in realtà non presenti.

Il motivo è infondato.

Fermo il principio per il quale, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), – e che tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340; Cass. 20/12/2018 n. 33096), nel resto si osserva.

Quanto alla dedotta apparenza della motivazione, come questa Corte di legittimità ha affermato con costante indirizzo da cui non si ha motivo di discostarsi nella sua apprezzata ragionevolezza, in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass. n. 27112 del 25/10/2018).

Ciò posto, la deduzione è infondata.

Nella fattispecie in esame la sentenza enuncia il fatto come definito dal racconto del richiedente protezione per poi evidenziarne, con condivisione delle conclusioni raggiunte dal primo giudice, la non linearità, la non credibilità e la mancanza di riscontri in un apprezzato carattere stereotipato e frequente nelle narrazione degli episodi descritti.

Per i descritti contenuti, in cui chiaro è lo scrutinio delle evidenze fattuali contenute nel racconto, la motivazione ha carattere di autonomia evidenziando il processo decisionale della Corte di merito. Vero è poi che il ricorrente nulla deduce, in applicazione del principio sopra richiamato – che la parte pure pone a fondamento del motivo -, su quelle deduzioni difensive che, portate all’esame del giudice di appello, non avrebbe trovato nell’impugnata decisione alcuna valutazione critica, mancando in tal modo la censura di completezza e quindi di perspicuità e concludenza rispetto al voluto effetto di annullamento.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14 e del n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, per avere la Corte di appello ritenuto erroneamente che quanto narrato dal ricorrente non fosse meritevole di protezione internazionale trattandosi di vicenda privata e per non aver proceduto all’attivazione dei poteri di integrazione istruttori d’ufficio onde verificare la portata della minaccia descritta.

La Corte di merito avrebbe errato nel qualificare la vicenda del dichiarante come privata, non provvedendo a valorizzare nella stessa il ruolo avuto dalla setta, cui era affiliato il padre del richiedente, che in ragione delle infiltrazioni nell’apparato pubblico e della polizia avrebbe reso inutile ogni richiesta di protezione allo Stato.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, stabilisce al comma 1, lett. c), che i responsabili di persecuzioni o del danno grave possono ben essere soggetti non statuali e quindi privati se lo Stato o le organizzazioni che controllano lo Stato non possono o non vogliono fornire protezione.

All’esito di siffatta corretta valutazione della fattispecie la Corte di merito avrebbe dovuto attivare i poteri ufficiosi di indagine sulla capacità delle autorità nigeriane di offrire protezione rispetto alle minacce subite dall’istante.

Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza nella parte in cui i giudici territoriali hanno ritenuto la presenza nelle dichiarazioni rese di incongruenze che non ne hanno consentito la valutazione in relazione alle condizioni del paese di origine.

I giudici di appello hanno infatti rilevato che nonostante “l’attenuato onere probatorio”, l’esistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale non può desumersi “da riferimenti generici a situazioni presenti nel paese di provenienza non accompagnati da elementi di maggior dettaglio e da riscontri individualizzanti” (p. 6 sentenza).

L’osservata regola è di piena applicazione del principio fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità per il quale là dove si abbia una intrinseca inattendibilità del richiedente, che venga apprezzata alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, i giudici di merito non sono tenuti a porre in essere alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. 27/06/2018, n. 16925; Cass. 10/4/2015 n. 7333; Cass. 1/3/2013 n. 5224).

In materia di protezione internazionale, il richiedente è infatti tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. 12/06/2019 n. 15794; Cass. 29/10/2018 n. 27336).

La rispondenza dell’adottata motivazione ai richiamati principi e l’incapacità del rilievo difensivo di scalfirli rende la critica inammissibile.

3. Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di merito non avrebbe considerato che nel racconto reso il dichiarante aveva riferito che l’ultima sua residenza era in (OMISSIS), zona ritenuta pericolosa per la presenza del gruppo terroristico di (OMISSIS).

L’appellante aveva censurato la decisione di primo grado là dove essa erroneamente aveva ritenuto che il richiedente provenisse dall’Edo State, zona stimata come non pericolosa, e non dal Borno State che veniva ritenuta, invece, nella stessa motivazione di primo grado, come pericolosa o soggetta ad istruzioni di “non rimpatrio”, carattere che sarebbe stato confermato dalla documentazione allegata al ricorso di primo grado e che avrebbe legittimato la parte alla protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile perchè generico e non autosufficiente.

Il trasferimento a Maiduguri, e per esso della stessa residenza del richiedente con conseguente individuazione del Paese di rimpatrio, non viene dedotto come fatto controverso in giudizio e quindi come fatto che, mancato nella valutazione del giudice di appello ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo carattere decisivo avrebbe, ove apprezzato, orientato la decisione impugnata nel senso dell’accoglimento della richiesta di protezione sussidiaria.

In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell’art. 366-bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c., (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale) (Cass. 13/12/2017 n. 29883).

Il motivo sul punto ha, invero e piuttosto, carattere illustrativo, mancando per i segnalati principi di specificità neppure indicando a quale forme di protezione sussidiaria il richiedente avrebbe avuto accesso.

La motivazione del giudice di primo grado, che si vorrebbe capace di dare contenuto al motivo di appello, là dove esclude la pericolosità dell’Edo State e ritiene invece quella del Borno State, vale invero quale mero passaggio argomentativo che in nulla sostiene la tempestività della deduzione e la sua appartenenza al dibattito processuale quale fatto controverso.

Per costante indirizzo di questa Corte di legittimità, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 21/11/2017 n. 27568; Cass. 21/06/2018 n. 16347).

5. Il ricorso è, in via conclusiva, inammissibile.

Nulla sulle spese nella natura impropria dell’intervenuta costituzione della parte intimata per i sopra riportati contenuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

costa d'avorio: minori non accompagnati e protezione internazionale

11/03/2020 n. 6913 - Sezione I

Fatto

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, Omissis, cittadino della Costa d’Avorio, ha adito il Tribunale di Catanzaro impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva narrato di aver lasciato il proprio Paese perchè perseguitato dagli spiriti che lo avevano morso a un piede cagionandogli una emorragia inarrestabile, guarita solo allorchè si era recato in Burkina Faso e di non poter tornare al proprio Paese perchè altrimenti si sarebbe di nuovo scatenata l’emorragia.

Con ordinanza del 15/5/2017 il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo al richiedente asilo il diritto a un permesso di soggiorno motivi umanitari.

2. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno è stato accolto dalla Corte di appello di Catanzaro, a spese compensate, con sentenza del 3/7/2018, a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso Omissis, con atto notificato il 4/2/2019, svolgendo un motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto
1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo della minore età del richiedente al momento dell’arrivo in Italia.

Secondo il ricorrente, la Corte era incorsa in contraddizione perchè aveva considerato la tenera età quale fattore di vulnerabilità (pag. 3, terzo capoverso, rigo 20) salvo poi contraddirsi nella valutazione in concreto di tale elemento.

La Corte di appello si era anche contraddetta laddove, dopo aver ricordato i presupposti della concessione della protezione umanitaria quale misura atipica e residuale di tutela di soggetti vulnerabili, non aventi titolo alla protezione internazionale, aveva ravvisato la genericità della motivazione della sentenza di primo grado e aveva dato rilievo ai fini del diniego ad elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il ricorrente era minorenne non accompagnato quando era pervenuto in Italia il 16/7/2015 e al momento della sua audizione personale (2/4/2016), anche volendo considerare attendibile la data di nascita del 2/2/1998 in luogo di quella (1/1/2000) riportata nel provvedimento di diniego della Commissione.

Il caso non era stato trattato in via prioritaria, come imposto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28, per i minori non accompagnati; d’altra parte, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, il ricorrente non era espellibile in quanto minore di anni 18.

Le varie circostanze rappresentate (aver lasciato il Paese di origine ed essere entrato in Italia da minorenne, aver ricevuto accoglienza quale minore non accompagnato; aver compiuto la maggiore età nelle more della domanda di asilo, aver allegato una situazione di forte indigenza e instabilità psicologica, aver svolto qualche lavoro con regolare assunzione) erano elementi che il Collegio non avrebbe dovuto trascurare e che sul presupposto di una particolare vulnerabilità del richiedente avrebbero dovuto giustificare il rigetto del gravame.

2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

3. Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato il principio che la protezione umanitaria si configura come misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Sez. 6 – 1, n. 23604 del 09/10/2017, Rv. 646043 02); il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018,Rv. 651579 – 03); la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Sez. 6 – 1, n. 9304 del 03/04/2019, Rv. 653700 – 01).

4. La Corte di appello ha escluso la situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente, riconosciuta invece dal Giudice di primo grado, negando rilievo alla minore età del B. al momento dell’arrivo in Italia, anche secondo la meno favorevole opzione (per vero motivata solo da uno sbrigativo “come è noto”) fra le due date di nascita alternativamente considerate (1/1/2000 e 2/2/1998).

Il ricorrente è arrivato, solo, in Italia il 16/7/2015; in data 22/12/2015 è stato accolto presso il Centro di Accoglienza di Petilia Policastro, come risulta dal decreto del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro del 5/1/2016; solo in data 12/4/2016 è stato sentito dalla Commissione territoriale, nonostante il disposto del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 18, che imponeva la trattazione prioritaria della domanda di asilo del minore.

Il giovane è quindi arrivato in Italia, ha proposto domanda, è stato accolto e sentito dalla Commissione Territoriale quando ancora era minorenne, pur secondo il calcolo più sfavorevole adottato dalla Corte di Appello.

Il minore rappresenta una categoria di soggetto vulnerabile come risulta da numerosi indici normativi: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1-bis, prevede che in nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati; il comma 2 della stessa lett. a), inoltre non consente l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1, nei confronti degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi; l’art. 19, comma 2-bis, include il minore fra le categorie dei soggetti vulnerabili, per i quali il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate, al pari delle persone affette da disabilità, degli anziani, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali.

D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, con espressa previsione di salvaguardia dei diritti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra, impone di tener conto, sulla base di una valutazione individuale, della specifica situazione delle persone vulnerabili, quali i minori, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, i minori non accompagnati, le vittime della tratta di esseri umani, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

Il successivo comma 2-bis richiama l’attenzione sulla necessità di considerare con carattere di priorità il superiore interesse del minore.

D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 19, prevede che al minore non accompagnato che ha espresso la volontà di chiedere la protezione internazionale sia fornita la necessaria assistenza per la presentazione della domanda e sia garantita l’assistenza del tutore in ogni fase della procedura per l’esame della domanda, secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 5.

Se sussistono dubbi in ordine all’età, il minore non accompagnato può, in ogni fase della procedura, essere sottoposto, previo consenso del minore stesso o del suo rappresentante legale, ad accertamenti medico-sanitari non invasivi al fine di accertarne l’età. Se gli accertamenti effettuati non consentono l’esatta determinazione dell’età si applicano le disposizioni del presente articolo.

Il minore partecipa al colloquio personale secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 3, e gli deve essere garantita adeguata informazione sul significato e le eventuali conseguenze del colloquio personale.

5. La Corte catanzarese, in riforma della decisione di primo grado, ha attribuito valore decisivo alla sopraggiunta maggiore età del ricorrente, senza tener in alcun conto che anche secondo il conteggio più sfavorevole ciò era avvenuto ben dopo l’arrivo in Italia e la richiesta di protezione, in virtù di un automatismo matematico, del tutto indifferente ai tempi del procedimento che non possono essere imputati al richiedente asilo e al parametro di prioritaria trattazione sancito dalla legge.

In siffatto contesto la Corte ha anche ignorato la circostanza dell’assunzione del giovane a tempo determinato, rilevante ai fini del giudizio comparativo, documentata in secondo grado, per rimarcare la mancanza di qualsiasi allegazione di elementi di integrazione lavorativa.

5. In ragione dell’accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con il rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

dpcm 8 marzo 2020: si agli spostamenti per il rientro dei figli presso la residenza o il domicilio

11/03/2020 n. - Tribunale di Milano - sezione IX

DECRETO
Il Presidente FF Dott. Piera Gasparini
Letta l’istanza urgente depositata il giorno 11.3.2020 dal difensore di (…), avente ad oggetto la richiesta di rientro dei minori presso il domicilio di Milano;
ritenuto che sulla stessa non sia necessario sentire le parti, in quanto i coniugi nel corso della recente udienza del 3.3.2020 hanno concordato il mantenimento delle attuali condizioni di affido e collocamento dei minori, con indicazione di un preciso e dettagliato calendario di frequentazioni degli stessi con il genitore non collocatario in via prevalente, ossia il padre, alla stregua degli accordi separativi così come integrati dalle dichiarazioni rese alla predetta udienza, tanto da richiedere la decisione del giudice, nella fase presidenziale del divorzio, esclusivamente sulle questioni economiche;
rilevato, pertanto, che il predetto accordo è da ritenersi vincolante ai fini del regime di collocamento e frequentazione dei minori con il padre;
ritenuto che le previsioni di cui all’art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM 8 marzo 2020 n.11 non siano preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la “residenza o il domicilio”, sicchè alcuna “chiusura” di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti;
rilevato che anche le FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.3.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio;
ritenuto che in relazione alle contingenze determinate della diffusione epidemica COVID 19 non sussistano ragioni per considerare gravi ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. i comportamenti tenuti da OMISSIS
PQM
a tutela dei minori e rigettata ogni altra domanda,
inaudita altera parte
DISPONE
che le parti si attengano alle previsioni di cui al verbale di separazione consensuale del 24.10.2018 omologato in data 12.11.2018 così come integrate dall’accordo delle parti del 3.3.2020.
Si comunichi con urgenza alle parti.
Milano, 11/03/2020
Il Presidente FF dott. Piera Gasparini

responsabilità infermiere struttura privata per manomissione cartella infermieristica

10/03/2020 n. 9393 - Cassazione penale - sez. V (ud. 16/12/2019, dep. 10/03/2020)

L’infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, art. 1 si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.

Due in infermieri hanno falsificato la scheda infermieristica indicando di avere effettuato il controllo dei valori della diuresi e delle verifiche posturali.

Il primo quale materiale esecutore ed il secondo quale istigatore, attestato falsamente nelle schede infermieristiche i valori della diuresi e delle verifiche posturali eseguite su alcuni pazienti, nonchè il primo, sempre su istigazione del secondo, apponendo su tali schede anche la firma del secondo.

L ‘infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, art. 1 si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.

Questo anche se operano in struttura privata – Più volte questa Corte ha evidenziato come debba essere riconosciuta la qualifica di incaricati di un pubblico servizio ad infermieri ed operatori tecnici addetti all’assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato .Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attività sanitaria avvenga in strutture private accreditate (come quella nella quale si sono svolti i fatti, secondo l’elenco pubblicato dalla ASL , ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poichè la rilevanza pubblica dell’attività svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalità di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato (arg. ex. Sez. 2, n. 769 dell’11/11/2005, Rv. 232989).

Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica esercita anche un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del Pubblico Ufficiale.

Le false attestazioni circa i valori della diuresi e delle verifiche posturali dei pazienti apposte nelle schede infermieristiche oggetto di contestazione devono dunque ritenersi ideologicamente false, ai sensi degli artt. 476-479 c.p.

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farmaco biosimilare - libertà terapeutica - diritto di scelta del farmaco da parte del medico - illegittimo il bando di gara

10/03/2020 n. 148 - T.A.R. Cagliari, (Sardegna) sez. I,

La norma di legge dedicata alla disciplina delle procedure di acquisto dei farmaci biosimilari prodotti dopo l’intervenuta scadenza del brevetto, dopo aver stabilito il sistema di acquisizione dei medicinali (acquisizione che, quando i farmaci basati sul medesimo principio attivo sono più di tre, deve effettuarsi attraverso accordi-quadro con tutti gli operatori economici), delinea anche il rapporto tra le esigenze di natura finanziaria, che perseguono l’obiettivo di razionalizzare la spesa farmaceutica per giungere al suo tendenziale contenimento, e la tutela del diritto alla salute sotto lo specifico profilo della libera scelta terapeutica del medico, il quale “è comunque libero di prescrivere il farmaco, tra quelli inclusi nella procedura di cui alla lettera a), ritenuto idoneo a garantire la continuità terapeutica ai pazienti”. Nella comparazione, la scelta del legislatore appare chiaramente privilegiare lo spazio della libertà terapeutica del medico (da intendere sia come libertà di prestazione della cura, che trova davanti a sé la libertà del paziente di ricevere la cura medesima, posizioni giuridiche entrambe costituzionalmente fondate sull’art. 32 Cost.; sia come libertà delle scelte terapeutiche, articolazione dell’autonomia professionale del medico, fondata sull’art. 33 Cost. quale forma di manifestazione della libertà della scienza).

Ciò chiarito, la norma di cui all’art. 15, comma 11 quater, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, cit., non subordina alla sussistenza di specifiche condizioni la manifestazione della libertà del medico nella scelta del farmaco biosimilare ritenuto più idoneo agli obiettivi terapeutici perseguiti.

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la presenza di un figlio minore in italia non costituisce motivo per ottenere un permesso per motivi umanitari

09/03/2020 n. 6587 - SEZIONE I

Va anzitutto evidenziata l’insufficienza della qualità di padre convivente di un minore presente sul territorio italiano al fine di giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che la tutela del minore profugo è affidata ad altri istituti, quali l’autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale del genitore affidatario nell’interesse del minore ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31.

Com’è noto, tale norma prevede che l’espulsione di un minore straniero possa essere adottata solo a condizione che il provvedimento stesso non comporti un rischio di danni gravi per il minore, su richiesta del Questore, dal tribunale per i minorenni; quanto al genitore, l’art, 31 prevede che il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, possa autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle disposizioni del testo unico.

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responsabilita' della struttura sanitaria per l'inadempimento di prestazioni medico libero professionale

09/03/2020 n. 4939 - Tribunale Roma

La struttura sanitaria risponde dell’operato del medico anche laddove quest’ultimo non sia qualificabile quale lavoratore subordinato, purché ci sia un collegamento tra la prestazione effettuata dal sanitario e l’organizzazione della struttura medesima, non assumendo alcuna rilevanza la circostanza che il medico sia “di fiducia” del paziente ovvero che sia stato scelto dallo stesso (ex multis, Cass., Sez. III, n. 13953/2007: “Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal S.s.n. o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto”).

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riconoscimento del matrimonio celebrato da un ministro di culto non cattolico

09/03/2020 n. 6511 - sezione I

FATTO
1. La Corte di appello di Messina con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato il reclamo proposto ex art. 739 c.p.c. da OMISSIS1. e OMISSIS2 avverso il decreto con cui il Tribunale di Patti, pronunciando sul ricorso promosso ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96 aveva disatteso la domanda dai primi proposta e diretta ad ottenere: la dichiarazione di legittimità del matrimonio da loro contratto in data (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS), secondo il rito dei “Testimoni di Geova”, con ordine all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di effettuare la trascrizione dell’atto nei Registri, o, in subordine, l’emissione di un decreto sostitutivo del certificato di matrimonio.

I giudici di appello, in adesione alle ragioni della decisione reclamata, hanno ritenuto la non trascrivibilità del matrimonio celebrato con il rito cristiano dei Testimoni di Geova perchè privo di effetti per lo Stato italiano.

La L. n. 1159 del 1929 ed il successivo regolamento di cui al R.D. n. 289 del 1930 rinviano, come disposto dall’art. 7 Cost., ad una “Intesa” tra la Repubblica italiana e la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova che, raggiunta in data (OMISSIS), non era ancora efficace in territorio nazionale non essendo stata approvata con legge statale.

2. OMISSIS1e OMISSIS 2 ricorrono per la cassazione dell’indicato decreto con due motivi, illustrati da memoria.

3. Il rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione ha fatto pervenire memoria scritta in cui ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione falsa applicazione della L. n. 1159 del 1929, artt. 3, 8, 9 e 10 e del R.D. n. 289 del 1930, artt. 25-28, del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96, della L. n. 385 del 1949, art. 2 (contenente il “Trattato di Amicizia Italia-Usa”), dell’art. 83 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sulla trascrivibilità dei matrimoni celebrati dai ministri dei culti ammessi nello Stato italiano ancorchè privi di Intesa.

La Corte di appello aveva ritenuto la non trascrivibilità del matrimonio celebrato da un ministro di culto della Confessione religiosa dei Testimoni di Geova, la cui nomina era stata approvata dal Ministro dell’Interno, perchè la Congregazione cristiana era priva di “Intesa” con lo Stato Italiano.

Il matrimonio era stato invece legittimamente celebrato secondo le prescrizioni relative ai culti ammessi dallo Stato contenute nella L. n. 1159 del 1929, e relativo decreto di attuazione, il R.D. n. 289 del 1930, e pertanto sussistevano tutte le condizioni per procedere alla trascrizione nei registri dello Stato civile del Comune di Brolo in cui risiedevano i richiedenti.

2. Con il secondo mezzo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 8, 9, 12, 13, in combinato con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, degli artt. 9 e 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e degli artt. 2, 3, 8, 19 e 29 Cost..

La Corte di appello di Messina, confermando il decreto impugnato, aveva dato atto della insussistenza di un rimedio effettivo ed integrato, per l’assunta decisione, una non consentita ingerenza da parte delle autorità statali, nella vita privata e familiare invece tutelati da Convenzioni Europee e dalla Costituzione, in patente violazione del diritto fondamentale a contrarre un matrimonio valido agli effetti civili.

L’operato diniego, fondato sulla inesistenza di una “Intesa” tra la Congregazione religiosa, cui apparteneva il Ministro di culto celebrante, con lo Stato italiano, costituisce manifesta discriminazione basata sulla religione. Ritenere che una confessione religiosa riconosciuta dallo Stato, seppure priva di “Intesa”, non possa procedere alla celebrazione di matrimoni validi anche agli effetti civili è discriminatorio nei confronti degli appartenenti a detta confessione.

3. Il primo motivo è fondato ed in accoglimento dello stesso il decreto impugnato va annullato con rinvio dinanzi alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, in applicazione dei principi di seguito indicati e precisati.

4. In materia di trascrizione di matrimoni religiosi celebrati secondo il rito proprio di culti diversi da quello cattolico, occorre distinguere, nel vigente quadro normativo, due ipotesi.

L’una avente ad oggetto l’atto di matrimonio celebrato secondo il rito di culti religiosi per i quali esistano “Intese” con lo Stato italiano, nell’osservanza di un percorso di squisita natura politica che trova previsione nella Costituzione italiana (art. 7; Corte Cost. n. 52 del 2016) e l’altra, disciplinata dalla L. 24 giugno 1929, n. 1159, artt. 3, 7 e segg. e dalle norme attuative di cui al R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, secondo la quale il matrimonio celebrato in Italia davanti a un ministro di un culto diverso dalla religione cattolica e con il quale l’Italia non ha stipulato intese produce effetti civili a condizione che: a) la nomina di tale ministro di culto sia stata approvata con decreto dal Ministro dell’Interno; b) l’ufficiale dello stato civile, previo adempimento delle formalità previste, abbia rilasciato l’autorizzazione scritta alla celebrazione del matrimonio.

4.1. All’epoca della celebrazione del matrimonio dei ricorrenti, e quindi nel 1980, il Ministro di culto celebrante apparteneva alla “(OMISSIS)” – culto ammesso nello Stato italiano in ragione del “Trattato di Amicizia, Commercio, Navigazione tra la Repubblica Italiana e gli Stati Uniti di America” del 2 febbraio 1948, ratificato in Italia e reso esecutivo con L. 18 giugno 1949, n. 385 – persona giuridica che godeva in Italia dei diritti attribuiti ad altri Enti morali riconosciuti e che, come tale, era soggetto all’applicazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159, contenente “Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”.

L’indicato ente morale non aveva richiesto la stipula di Intese con lo Stato italiano, iniziativa assunta invece, successivamente, dalla diversa “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova”, con un procedimento ancora aperto in cui non era stata approvata la bozza di intesa del (OMISSIS).

Come infatti ricordano dalla giudice amministrativo la “L. n. 1159 del 1929 e il R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, (…) hanno cessato di avere efficacia e applicabilità (…) esclusivamente nei confronti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che avevano stipulato con lo Stato italiano “intese” trasfuse in leggi ai sensi dell’art. 8 Cost., ma non nei confronti delle altre associazioni religiose che (…) non avevano stipulato alcuna intesa con lo Stato italiano” (Cons. Stato, 17 aprile 2009, n. 2331).

4.2. La diversa soggettività giuridica dell’ente di appartenenza all’epoca di celebrazione del matrimonio depone, ratione temporis, per l’applicazione del regime dell'”approvazione” del Ministro di culto celebrante, nei termini di cui alla L. n. 1159 del 1929, e non per quello contrassegnato dalla stipula di “Intese”, non ancora concluse tra la “Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova” e lo Stato italiano.

La fattispecie resta pertanto disciplinata dalla L. 24 giugno 1929, n. 1159, artt. 3, 7 e ss. e relative norme di attuazione, per un percorso di accertamento delle condizioni ivi fissate – e, quindi, del riconoscimento del ministro di culto che ha celebrato il matrimonio e dell’autorizzazione scritta alla celebrazione rilasciata dall’ufficiale dello Stato civile – che è rimasto estraneo all’impugnato decreto.

4.3. La Corte di appello, dopo avere erroneamente sussunto, per malgoverno delle norme in applicazione, la fattispecie in esame nella distinta ipotesi delle “Intese” tra Stato italiano e confessioni religiose acattoliche, ha escluso la trascrivibilità dell’atto e quindi l’idoneità a produrre effetto nell’ordinamento italiano.

5. Gli accertamenti in fatto sottesi alla corretta qualificazione della fattispecie ostano a che questa Corte di legittimità possa giungere ad una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed impongono l’annullamento con rinvio nei termini di seguito indicati.

6. In accoglimento del primo motivo di ricorso, correttamente ascritta la fattispecie in esame all’ipotesi di matrimonio celebrato da un Ministro del culto appartenente ad una associazione, la (OMISSIS), nei cui confronti, per il Trattato di amicizia del 02/02/1948, reso esecutivo in Italia con L. 18 giugno 1949, n. 385, trovano perdurante applicazione le disposizioni della L. n. 1159 del 1929 (art. 2) e del R.D. n. 289 del 1930 (art. 12) – e, quindi, il conseguimento del riconoscimento per presa d’atto del Ministro dell’Interno -, la Corte territoriale di Messina provvederà, al fine di accertare la trascrivibilità del matrimonio celebrato da Ministro di culto acattolico nel Comune di (OMISSIS) il (OMISSIS) tra OMISSIS1 e OMISSIS2, a verificare:

– se l’Ufficiale dello Stato civile, dopo aver certificato che nulla ostava alla celebrazione del matrimonio, avesse rilasciato autorizzazione scritta con indicazione:

a) del Ministro di culto dinanzi al quale la celebrazione doveva aver luogo;

b) della data del provvedimento con cui la nomina del Ministro di culto venne approvata nei termini di cui all’art. 3, come previsto dalla L. n. 1159 del 1929, art. 8, u.p..

Il secondo motivo resta assorbito.

7. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020