La sospensione della circolare, lungi da far “riappropriare” i MMG della loro funzione e delle loro inattaccabili e inattaccate prerogative di scelta terapeutica (che l’atto non intacca) determinerebbe semmai il venir meno di un documento riassuntivo delle “migliori pratiche” che scienza ed esperienza, in costante evoluzione, hanno sinora individuato, e che i MMG ben potranno, nello spirito costruttivo della circolazione e diffusione delle informazioni scientifico-mediche, considerare come raccomandabili, salvo scelte che motivatamente, appunto in scienza e coscienza, vogliano effettuare, sotto la propria responsabilità (come è la regola), in casi in cui la raccomandazione non sia ritenuta la via ottimale per la cura del paziente
La raccomandazione ministeriale per la cura dei pazienti covid contrasta con la libertà prescittiva del medico.
15/01/2022 - Tar Lazio (Sezione Terza Quater)
La Circolare del Ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” aggiornata al 26 aprile 2021 contrasta con la deontologia del medico e “ con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professione, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid19 come avviene per ogni attività terapeutica”.
Quindi, il contenuto della nota ministeriale, affermano i giudici, imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale
Questa è la massima contenuta della sentenza della sezione terza del Tar Lazio n. 419 pubblicata il 15/01/2022 annullando il provvedimento che, com’è facilmente immaginabile, sarà impugnata dal Ministero.
Alcuni medici e specialisti contestarono le linee guida promulgate da AIFA e pedissequamente mutuate con la circolare del Ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” aggiornata al 26 aprile 2021, nella parte in cui, anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio, prevedono un lungo elenco delle terapie da non adottare, divieto che non corrisponde all’esperienza diretta maturata dai ricorrenti.
In disparte la validità giuridica di tali prescrizioni, è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito.
Il termine vietato non è utilizzato neppure una volta nella circolare che si limitava a raccomandare e sconsigliare terapie ritenute inutili e/o inefficaci.
A pagina 10, infatti, si legge chiaramente “le presenti raccomandazioni si riferiscono alla gestione farmacologica in ambito domiciliare dei casi lievi di COVID-19” intendendosi per tali: presenza di sintomi come febbre (>37.5°C), malessere, tosse, faringodinia, congestione nasale, cefalea, mialgie, diarrea, anosmia, disgeusia, in assenza di dispnea, disidratazione, alterazione dello stato di coscienza.
In linea generale, si afferma, per soggetti con queste caratteristiche cliniche non è indicata alcuna terapia al di fuori di una eventuale terapia sintomatica di supporto.
Per vigile attesa, la circolare intendeva un costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente con misurazione periodica della saturazione ed ossigeno attraverso pulsossimetria nonché norme igieniche di vita.
Mentre dal punto di vista farmacologico, consigliava trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso). Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico.
Raccomandava e sconsigliava, inoltre, di non utilizzare routinariamente corticosteroidi per le forme lievi da considerare solo in pazienti con fattori di rischio di progressione di malattia verso forme severe, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia ove non sia possibile nell’immediato il ricovero per sovraccarico delle strutture ospedaliere.
Raccomandava e sconsigliava, inoltre, di non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco, si afferma nella raccomandazione, è indicato, solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto ed evitare l’uso empirico di antibiotici. La mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia nel trattamento di pazienti con la sola infezione virale da SARS-CoV2 non consentono di raccomandare l’utilizzo degli antibiotici, da soli o associati ad altri farmaci.
Un ingiustificato utilizzo degli antibiotici può, inoltre, determinare l’insorgenza e il propagarsi di resistenze batteriche che potrebbero compromettere la risposta a terapie antibiotiche future. Il loro eventuale utilizzo è da riservare esclusivamente ai casi nei quali l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame microbiologico e a quelli in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica;
Sconsigliava di utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia era ritenuta dal Ministero non confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti.
Ad avviso di chi scrive, il Tar dimentica che la libertà prescrittiva a carico del servizio sanitario nazionale è limitata ai farmaci ritenuti idonei a curare specifiche situazioni cliniche. Il medico ha sempre la possibilità di adattare la terapia scegliendo tra i farmaci che sono indicati come efficaci e prescrivibili su “ricetta rossa”.
La libertà prescrittiva del medico non è limitata in quanto gli è sempre permesso di prescrivere, anche off label, su “ricetta bianca” a carico del cittadino.
È appena opportuno ricordare che un uso inappropriato di farmaci come l’eparina e gli antibiotici puo’ determinare, soprattutto in una situazione pandemica, rischi di mancati approvvigionamenti del ciclo farmaceutico con rischio di farli mancare ai pazienti più fragili.
Avv. Paola M. Ferrari
Infermiere impugna sospensione dall'Ordine per mancata vaccinazione per assenza valutazione clinica Azienda Sanitaria. Nessuna sospensione dell'atto perchè la salute pubblica vale più dello stipendio
13/01/2022 n. 7 - Tar Calabria sezione Catanzaro
Richiamata, in proposito, la giurisprudenza secondo cui “il diritto soggettivo individuale al lavoro ed alla conseguente retribuzione è sì meritevole di protezione, ma solo fino all’estremo limite in cui la sua tutela non sia suscettibile di arrecare un pregiudizio all’interesse generale (nella specie, la salute pubblica), di fronte al quale è destinato inesorabilmente a soccombere, sicché, ove il singolo intenda consapevolmente tenere comportamenti potenzialmente dannosi per la collettività, violando una disposizione di legge che quell’interesse miri specificamente a proteggere, deve sopportarne le inevitabili conseguenze” (Tribunale di Catanzaro, ord. 19 dicembre 2021 in procedimento n. 1637-1/2021 R.G,)
Non deve essere sospesa la delibera del Consiglio Direttivo dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche che ha sospeso dall’Albo degli infermieri un infermiere che si è sottratto dall’obbligo vaccinale senza accampare un elemento ostativo alla vaccinazione ma la mancanza di un atto formale di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte della competente Azienda Sanitaria e l’impossibilità, da parte dell’Ordine professionale, di surrogarsi a detta azienda nel compito di accertare un fatto (la mancata sottoposizione a vaccinazione) le cui conseguenze sono vincolativamente determinate dal legislatore
Infermiere non può essere sospeso per mancata vaccinazione se già in aspettativa per altro titolo
26/11/2021 - Tribunale di Milano- sezione lavoro
Con la sentenza del 26.11.2021 a firma della Dott.ssa Porcelli, il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta di reintegra di un’infermiera sospesa per mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale nonostante la stessa si trovasse in aspettativa retribuita biennale ex lege 104/1992.
Per il Giudice, in particolare, la sospensione presuppone, al momento della sua adozione, lo svolgimento in concreto delle prestazioni professionali da parte del soggetto che astrattamente rientra tra i lavoratori destinatari dell’obbligo di vaccinazione.
Secondo la sentenza il rapporto di lavoro della ricorrente già sospeso per la fruizione dell’aspettativa prevista dalla L. 104/1992 non può essere sospeso per altra motivazione.
bracciante agricolo - violazione ordine di quarantena/isolamento domiciliare - respinto - le misure di salute pubblica sono superiori al diritto al lavoro
30/03/2020 n. 1553 - Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
L’appellante svolge attività di bracciante agricolo; all’appellante è stato notificato il -OMISSIS-ordine del Sindaco di Corigliano di quarantena/isolamento domiciliare fino al 3 aprile 2020, per “violazione della ordinanza n.12 /2020 del Presidente della Regione Calabria”; l’appello, nel censurare il decreto cautelare del Presidente T.A.R. Calabria, sostiene che l’appellante non è positivo al virus, non ha avuto recenti contatti con persone contagiate, lavora in un settore non bloccato dai provvedimenti oggi in vigore, e lamenta il pregiudizio consistente nel non poter lavorare, rischiando, il licenziamento, e nella preclusione ad attendere ad attività di stretta necessità quotidiana. Lamenta di non conoscere, ed in effetti manca in atti il documento citato, per “quale specifica” violazione della ordinanza regionale gli sia stata imposta la quarantena/ isolamento domiciliare”
Considerato che con l’atto di appello, viene sottoposta una questione che può articolarsi almeno in tre profili:
1) l’ammissibilità della impugnazione di un decreto monocratico presidenziale del T.A.R.;
2) l’esistenza di un danno grave ed irreparabile per l’appellante, prevalente su quello, posto a base del decreto sindacale impugnato, di rendere effettiva la rigorosa applicazione delle disposizioni anti-contagio;
3) il “fumus boni juris”, su cui il decreto presidenziale spende una succinta ma precisa motivazione;
Considerato, in ordine alla ammissibilità dell’appello:
– che questo Consiglio di Stato ha ritenuto l’ammissibilità nei soli, limitatissimi, casi in cui l’effetto del decreto presidenziale del T.A.R. produrrebbe la definitiva e irreversibile perdita del preteso bene della vita, e che tale “bene della vita” corrisponda ad un diritto costituzionalmente tutelato dell’interessato;
– che nel caso in esame, seppure per il limitato periodo residuo (4 giorni) di efficacia temporale del decreto sindacale impugnato in primo grado, la pretesa dell’appellante è di potersi recare al lavoro, di evitare il rischio di licenziamento, e di recarsi, con le limitazioni in vigore, ad effettuare acquisti di beni di prima necessità;
– che, dunque, la pretesa tocca diritti tutelati dall’ordinamento anche a livello costituzionale, da cui discende l’ammissibilità dell’appello contro il decreto del Presidente del T.A.R. Calabria;
Considerato, in ordine alle condizioni necessarie ai fini dell’accoglimento dell’istanza cautelare:
– che occorre verificare la consistenza del “fumus boni juris” cioè la probabilità che la pretesa sia riconosciuta fondata nelle successive fasi del giudizio, ma anche, e contestualmente, che vi sia gravità e irreparabilità del danno lamentato, prevalenti sull’interesse pubblico posto a base degli atti censurati;
– che, quando alla gravità e irreparabilità del danno, non appaiono sussistere le condizioni per un accoglimento dell’appello cautelare, in quanto:
A) I provvedimenti, del Sindaco e del Presidente della Regione Calabria, qui impugnati, sono stati adottati in ottemperanza di criteri e disposizioni, anche legislative, nazionali, e negli ambiti di possibile margine per integrazioni territoriali su scala regionale in rapporto alle assai diverse situazioni del contagio e delle sue prospettive, da Regione a Regione;
B) Il provvedimento regionale e il decreto esecutivo del Sindaco di Corigliano sono stati adottati in giorni caratterizzati dal pericolo concreto e imminente di un trasferimento massivo di persone e di contagi, dalle regioni già gravemente interessate dalla pandemia, a quelle del Mezzogiorno, con la conseguenza che gli atti dei Governatori hanno, ragionevolmente, imposto misure anche ulteriormente restrittive quale prevenzione, tanto che, si auspica, la non massiccia diffusione di Covid-19 al Sud possa scontare positivamente l’effetto di tali misure;
C) In tale quadro, per la prima volta dal dopoguerra, si sono definite ed applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona – dal libero movimento, al lavoro, alla privacy – in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall’Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo;
D) Per queste ragioni, la gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare, comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività, corrispondente ad un interesse nazionale dell’Italia oggi non superabile in alcun modo;
E) Le conseguenze dannose per l’appellante non hanno poi il carattere della irreversibilità, giacché nelle disposizioni, statali e regionali, adottate e che verranno adottate a ulteriore completamento e integrazione per fronteggiare il “dopo-pandemia”, ci sono misure di tutela del posto di lavoro (oltre alla cassa integrazione), misure di soccorso emergenziale per esigenze alimentari e di prima necessità (non a caso demandate ai Comuni, e dunque anche a quello di Corigliano), tali da mitigare o comunque non rendere irreversibili, anche nel breve periodo, le conseguenze della doverosa stretta applicazione delle norme di restrizione anti-contagio;
F) Il periodo di “quarantena” terminerà, per l’appellante, tra quattro giorni, e sarà possibile, nelle successive sedi di giudizio, volte all’esame dei profili di merito del ricorso, in caso di fondatezza del medesimo, richiedere e documentare, come di regola, un eventuale risarcimento del danno per la mancata retribuzione da lavoro per i giorni coperti dall’ordine di quarantena contestato, salvo che, come è ipotizzabile, detto pregiudizio economico venga riparato dalla normativa di tutela dei lavoratori colpiti dalle generali, e individuali in questo caso, misure di preclusione assoluta;
G) Le considerazioni sopra svolte esimono questo giudice dall’esaminare, nella presente sede di delibazione sommaria, profili di merito delle censure proposte, su cui certamente si soffermeranno in primo e secondo grado i Collegi che decideranno la controversia;
P.Q.M.
Dichiara ammissibile, e respinge l’istanza cautelare.
Il presente decreto sarà eseguito dall’Amministrazione ed è depositato presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma il giorno 30 marzo 2020.
Il Presidente
Franco Frattini
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.