In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale”. Diversa questione, concernente la valutazione della prova: in tal caso infatti la portata della sentenza risolutiva del contrasto giurisprudenziale, evidenzia la necessità del ricorso alla prova logica -dovendo indagarsi ora per allora un “fatto psichico” qual è la intenzione volitiva-, escludendo chiaramente che la fattispecie normativa introduca una sorta di “relevatio ab onere probandi” introducendo schemi di accertamento legale dei fatti, atteso che “il legislatore non esime in alcun modo la madre dall’onere della prova della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonchè della sua conforme volontà di ricorrervi ” (ibidem, in motivazione, pag. 10), rendendosi comunque necessaria la raccolta di plurimi e distinti elementi fattuali (senza carattere di esaustività: richiesta da parte della donna di esami specifici intesi ad escludere malformazioni; preesistenza di precarie od alterate condizioni di salute psicofisica della donna; condotte da questa tenute in occasione di precedenti gravidanze; pregresse manifestazioni di propositi abortivi in caso di malformazioni fetali; ecc.) indispensabili per poter risalire induttivamente alla prova presuntiva semplice.
nascita indesiderata - e' la donna a dover dimostrare che se correttamente informata avrebbe abortito
10/06/2020 n. 11123 - SEZIONE TERZA
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