spese straordinarie imprevedibili e rilevanti: strumenti processuali per ottenerne il rimborso

13/01/2021 n. 379 - Sezione Prima

1. Il Giudice di Pace di Bassano del Grappa, con la sentenza n. 498 del 2013, in accoglimento della domanda proposta da AAAA nei confronti di BBBB, genitori naturali della minore CCCC, nata l'(OMISSIS), affetta da “Trisomia 21”, pronunciando in un giudizio di opposizione a precetto al primo intimato per l’importo di Euro 1.747,14 a titolo di pagamento delle spese straordinarie, rispetto alle quali era stato riconosciuto l’obbligo di contribuzione del padre nella misura del 50%, annullava il precetto opposto.

Il giudice di primo grado riteneva infatti che perché le spese straordinarie potessero essere oggetto di esecuzione forzata ne occorresse l’accertamento in una autonoma sede giudiziale, non potendo intendersi come immediatamente esecutivo il provvedimento cautelare del Tribunale di Padova che, adito in via d’urgenza dalla madre, aveva altresì determinato l’ammontare dell’assegno mensile di mantenimento dovuto dal padre in Euro 424,00.

2. Su appello di BBBB, il Tribunale di Vicenza con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta, escluse le spese per l’acquisto di quaderni e materiale di cancelleria, per un importo pari ad Euro 43,45, e ridotto in pari misura il precetto, ha qualificato, nel resto, come straordinarie le altre spese, confermando così la residua somma portata nel titolo opposto.

3. Ricorre per a cassazione della sentenza di appello AAAA con sei motivi. Resiste con controricorso C.D.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-ibis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 474 c.p.c. e quindi la carenza di un titolo esecutivo. Le somme portate in precetto a titolo di, rimborso spese straordinarie non costituivano un diritto certo, liquido ed esigibile.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente inteso la giurisprudenza della Corte di Cassazione, confondendo, in materia di ripetibilità di esborsi sostenuti dal genitore per il figlio, gli stilemi “spese ordinarie” e “spese straordinarie”.

2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione di legge in cui era incorso il tribunale nell’interpretazione fornita della nozione di “spese straordinarie”.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente; il giudice di appello aveva qualificato come “straordinarie” e quindi ricomprese nel titolo le spese scrutinate con ragionamento apodittico. Non vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” il giudice di secondo grado non aveva adempiuto all’obbligo della “motivazione rafforzata”.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il tribunale dato risposta alle eccezioni proposte dall’appellato.

5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 700 c.p.c. e degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. In via preliminare dei motivi che vanno dal secondo al sesto va data una valutazione in termini di inammissibilità.

S tratta infatti di critiche con cui il ricorrente introduce, prima facie, per un giudizio che involge, all’esito di una loro lettura, complessivamente e partitamente i motivi proposti, oltre che capillari e defatiganti contestazioni in fatto sulle singole spese precettate, un coacervo di questioni d’indole sostanziale e processuale – che si vogliono sostenute, anche, dal riferimento ad autori di dottrina le cui opere sono riportate nel corpo del ricorso per brani virgolettati delle quali non viene neppure indicata la fonte.

I motivi sono così portatori di una torrenziale quantità di questioni che inserite nelle cinquantadue pagine di sviluppo del ricorso omettono di definire dei primi i contenuti, in tal modo sottraendosi all’osservanza stessa della tipizzazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il richiamo a questioni “multiple” e “a grappolo” all’interno di ogni motivo, quasi nell’intento del ricorrente di contestare quanto più possibile ogni profilo dell’impugnata sentenza, in una sorta di affannosa rincorsa ad aggiunte che si vorrebbero finalizzate ad una sempre più puntuale critica, propone, invece, nei suoi faticosissimi passaggi, segnati anche da una discorsività che dei primi lascia pure sbiadire il contenuto, una disorientante lettura che non consente di saggiare dei motivi neanche a portata.

Al di là della osservata tecnica della numerazione – peraltro neppure essa puntualmente seguita, atteso che alla relativa titolazione dei motivi si accompagna, anche, il richiamo a non meglio precisate note commento -, non è possibile dei motivi apprezzare finanche l’effettiva consistenza, nella mancanza di una loro autonomia ed autosufficienza.

Nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che in negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, prospetti una pluralità di questioni in diritto precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate è inammissibile richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, in violazione del dovere di terzietà del e attraverso una propria selezione dovrebbe individuare, per ciascuna delle doglianze, l’atteggiarsi dello specifico vizio di violazione di legge.

8. Operata l’indicata premessa, resta al sindacato di questo Collegio lo scrutinio del primo motivo di ricorso che, infondato, per le ragioni di seguito indicate, va rigettato.

9. Segnatamente, viene alla valutazione di questa Corte di Cassazione per l’indicata censura, la questione relativa a caratteri e contenuti di cui deve godere, in modo imprescindibile, il titolo esecutivo e l’atteggiarsi dei primi là dove si discorra del rapporto tra assegno forfettizzato, stabilito in sede giudiziale o consensuale, per il mantenimento del figlio e contributo dei genitori alle spese straordinarie (scolastiche e mediche) solo in misura percentuale nel primo richiamate.

Per l’indicato percorso va più puntualmente, saggiata la capacità del titolo di condanna alla corresponsione dell’assegno di contributo al mantenimento (art. 337 ter c.c., comma 4) a sostenere, ed in quali limiti, anche le spese straordinarie fissate solo in misura percentuale a carico dei genitori e quindi la necessità, o meno; per colui che si trovi ad anticipare quelle spese di munirsi, per ottenere delle prime il rimborso, di un nuovo titolo attraverso un autonomo accertamento giudiziale, o ancora, di concludere un diverso accordo con l’altro genitore.

10. Il principio da cui muovere è quello per il quale, il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore esaurisce per ciò stesso il proprio diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo un altro titolo contro il medesimo debitore per la medesima ragione ed oggetto semprechè, però, il comando sia idoneamente delimitato e quantificato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l’oggetto, o comunque lo possa essere in forza di elementi in modo idoneo indicati nel titolo stesso ed all’esito di operazioni meramente materiali o aritmetiche (sul principio, ex multis: Cass. 06/06/2003 n. 9132, Cass. 5/02/2011, n. 2816).

10.1. La regola, d’indole generale, va poi declinata nella fattispecie in esame – in cui e in contestazione la distinzione tra spese ordinarie e straordinarie di cui sono gravati i genitori nel mantenimento del figlio – per la capacità dell’originario titolo, che abbia statuito anche sul contributo mensile forfettizzato al mantenimento dei figli, di sostenere negli effetti esecutivi suoi propri, anche le altre spese.

10.2. Il tema è connesso al significato da riconoscersi alle spese straordinarie, sub specie di quelle mediche e scolastiche, in quanto non ricomprese nell’assegno mensile quantificato in modo forfettizzato per il mantenimento del figlio, e ciò nell’intento di realizzare un equo contemperamento tra le ragioni del genitore, creditore anticipatario e quelle dell’altro, tenuto al rimborso “pro quota”, il tutto all’interno di una più generale cornice nella quale si realizza l’interesse del figlio ad essere educato e mantenuto dai genitori nel rispetto delle sue formazioni.

Deve così richiamarsi la distinzione operata da questa Corte di Cassazione tra spese ordinarie e spese straordinarie nel settore degli esborsi scolastici e medici.

Va, sul punto, precisato che la contribuzione alle spese mediche e scolastiche del figlio non va riferita a fatti meramente eventuali perché straordinari e connotati da imprevedibilità e tanto in ragione di un dovere, generalissimo, alla cui osservanza i genitori sono tenuti, che è poi quello di mantenere, istruire ed educare la prole, ai sensi dell’art. 148 c.c., nei cui contenuti, per un fisiologico suo atteggiarsi secondo nozioni di comune esperienza, le prime rientrano.

La necessità di continui esborsi per l’istruzione, richiesti anche da quella pubblica, in rapporto al grado della scuola o istituzione superiore o universitaria, e, ancora, per prestazioni mediche, generiche o specialistiche – rispetto alle quali la variabilità tocca soltanto la misura e l’entità, in rapporto all’incidenza sullo stato di piena salute, e tanto nella normalità del ricorso alle prime anche per controlli periodico – non rientra nella nozione di straordinarietà.

E l’ordinarietà della spesa non può dirsi soffrire di limitazioni nella sua affermazione nell’ipotesi in cui il figlio sia persona portatrice di handicap, potendosi anche per siffatta ipotesi aversi un novero di spese comunque qualificabili come routinarie nel senso indicato, in rapporto alla particolare condizione della persona.

Le spese mediche e scolastiche integrative della categoria delle spese straordinarie sono quegli esborsi (spese per l’acquisto di occhiali; visite specialistiche di controllo; pagamento di tasse scolastiche) che pur non ricompresi nell’assegno periodico di mantenimento tuttavia, nel loro routinario proporsi, assumono una connotazione di probabilità tale da potersi definire come sostanzialmente certe cosicché esse, indeterminate nel quantum e nel quando, non lo sono invece in ordine all’an (in tal senso: Cass. 23/05/2011 n. 11316, in motivazione, parr. 4.1.-4.4.).

10.3. L’operata qualificazione consente di apprezzare, nella fattispecie in esame, con superamento, o meglio puntualizzazione, di diverso indirizzo pure in precedenza fatto proprio da questa Corte di legittimità (vedi in tal senso Cass. 28/01/2008 n. 1758; Cass. 24/02/2011 4543; Cass. 18/1/2017 n. 1161), nella natura routinaria del credito per spese mediche e scolastiche portato in condanna, di cui è preannuncio di esecuzione nell’opposto precetto, l’azionabilità in forza dell’originario titolo.

10.4. Le spese che pur qualificate come straordinarie finiscono per rispondere ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio tanto da assumere nei loro verificarsi una connotazione di certezza, anche se non ricomprese nell’assegno forfettizzato e periodico di mantenimento possono, tuttavia, essere richieste in rimborso dal genitore anticipatario sulla base della loro elencazione in precetto ed allegazione in sede esecutiva al titolo già ottenuto,

senza che insorga la necessità il fare accertare, nuovamente in sede

giudiziale e per un distinto titolo, la loro esistenza e quantificazione.

10.5. In ordine alla distinta ipotesi delle “spese straordinarie”, categoria intesa come residuale ed onnicomprensiva (così: Cass. n. 11316 cit., ibidem), lontana come tale da ogni carattere di ordinarietà e certezza, questa Corte di Cassazione ha chiarito che, tali devono intendersi quelle spese che per la loro rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli e la cui sussistenza giustifica per ciò stesso un accertamento giudiziale specifico dietro esercizio di apposita azione.

In siffatta ipotesi, la ratio che sostiene la non ricomprensione di dette spese nell’ammontare dell’assegno in via forfettaria posto a carico di uno dei genitori è il contrasto che altrimenti si realizzerebbe con il principio di proporzionalità ed adeguatezza del mantenimento sancito dall’art. 337-ter c.c., comma 4, n. 4, ed il rischio di un grave nocumento per il figlio che potrebbe essere privato di cure necessarie o di altri indispensabili apporti, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo” (nel regime definito dall’art. 155 c.c., in tal senso: Cass. 08/06/2012 n. 9372; Cass. 23/01/2020 n. 1562).

10.6. Sulla indicata premessa, di natura classificatoria, al di là quindi della dizione utilizzata nell’impugnata sentenza – che ricalca quella poi quella adottata dal giudice del titolo, che accomuna, tra le altre, all’interno della categoria delle “spese straordinarie” quelle di istruzione (tasse, libri di testo e gite scolastiche) e quelle mediche (con la precisazione, quanto a queste ultime, che deve trattarsi di “spese non coperte dal SSN”) – negli esborsi portati dal titolo giudiziale non si ravvisano voci straordinarie, o comunque imprevedibili, all’epoca di sua formazione.

Tanto nel rilievo, quanto alle spese mediche che la non ricomprensione di una prestazione remunerata dal Servizio Sanitario Nazionale lascia impregiudicato il tema della loro ordinaria rispondenza ai bisogni dei figli, non valendo la sola modalità, resa secondo il diverso regime libero-professionale, a rendere la prestazione inadeguata e come tale non ricompresa nell’originario titolo giudiziale salvo la contestazione sull’adeguatezza ai bisogni da portarsi al medesimo titolo per iniziative da coltivarsi in sede di opposizione.

10.7. E’ necessario pertanto affermare che le formule adottate dai giudici di merito, nelle quali in modo tralatizio si richiama, in aggiunta all’assegno forfettizzato di contributo al mantenimento, la partecipazione di ciascun genitore, in misura percentuale, ad una serie di spese qualificate come straordinarie, ha carattere meramente ricognitivo e pressochè superfluo, nulla predicando di quella natura che resta, invece e sostanzialmente, individuabile in ragione dell’assoluta importanza, imprevedibilità ed imponderabilità delle prime (quali quelle necessarie a sostenere l’esigenza di un intervento chirurgico o poco meno).

Il richiamo alla causale delle spese computate a parte ed in aggiunta alla somma fissa da erogare mensilmente all’altro coniuge, nulla dice circa natura ordinarie delle spese aggiuntive ovvero straordinarie; risolvendosi, nel primo caso, in una componente ulteriore delle erogazioni ordinarie e, nel secondo, nella vera erogazione straordinaria.

Solo le spese straordinarie così connotate ed estranee come tali al circuito della ordinarietà, salvo la loro urgenza, vanno poi concordate tra i coniugi per evitare i conflitti dovuti alla loro unilaterale decisione e, in difetto, richiedono l’accertamento in un autonomo titolo esecutivo.

10.8 Conclusivamente, per l’indicata categoria di spesa ed ai fini della sua ripetibilità da parte del genitore che l’abbia anticipata resta possibile la formazione di un precetto su un titolo integrato da cui risultino, per loro elencazione ed all’esito di mera operazione aritmetica, gli esborsi sostenuti.

Ciò non toglie che quegli importi saranno eventualmente contestabili dal genitore, chiamato a contribuirvi dal preesistente titolo esecutivo, in sede di incidente di cognizione introducibile nelle forme dell’opposizione precetto o all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., per i profili della proporzionalità ed adeguatezza rispetto alle esigenze del mantenimento e, quindi, ai bisogni del figlio.

11. All’esito delle svolte valutazioni deve quindi formularsi il seguente principio di diritto:

“In materia di rimborso delle spese cdd. straordinarie sostenute dai genitori per il mantenimento del figlio, fermo il carattere composito della dizione utilizzata dal giudice, occorre in via sostanziale distinguere tra: a) gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento forfettizzato dal giudice – o, anche, consensualmente determinato dai genitori – e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna adottato in materia di esercizio della responsabilità in sede di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli al di fuori del matrimonio, previa una allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità; b) le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento, richiedono per la loro azionabilità l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico-patrimoniali del genitore onerato e tanto in comparazione con quanto statuito dal giudice che si sia pronunciato sul tema della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, divorzio, annullamento e nullità del vincolo matrimoniale e comunque in ordine ai figli nati fuori dal matrimonio”.

12. Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione degli indicati principi ed il ricorso per cassazione, infondato nei termini indicati, va pertanto respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicate.

Si dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente AAAA a rifondere a BBBB le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17; va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

Responsabilità genitoriale: competente il giudice del luogo di residenza abituale del minore

21/12/2020 n. 29171 - SEZIONI UNITE

1. Con ricorso in data 13 novembre 2013, AAAA premesso di avere contratto nel Comune di (OMISSIS), in data (OMISSIS), matrimonio civile con BBBB – adiva Tribunale di Milano, chiedendo pronunciarsi la separazione personale dei coniugi, con addebito al marito, con le conseguenti statuizioni in ordine all’affidamento della figlia minore CCCC, ed al suo mantenimento.

1.1. Instauratosi il contraddittorio, il resistente si costituiva eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano, a favore del Tribunale portoghese “Tribunal de Comarca e de Familia e Menores de Almada”, ed avanzando, nel merito, domanda di addebito della separazione e richiesta di affidamento della minore.

1.2. Con sentenza n. 14085, depositata il 12 dicembre 2015, il Tribunale di Milano – per quel che rileva in questa sede disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal resistente, pronunciava la separazione dei coniugi, senza addebito, ed affidava la figlia minore alla madre, con la quale avrebbe convissuto in Opera, stabilendo i tempi e le modalità di frequentazione del padre e ponendo a carico di quest’ultimo un assegno di mantenimento della minore.

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2883/2018, depositata il 12 giugno 2018, rigettava il gravame proposto da AAAAA, ribadendo la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, già affermata dal Tribunale, e disattendendo, nel merito, le pretese dell’istante.

2.1. La Corte rilevava, in relazione alla causa di separazione personale dei coniugi, che l’appellata BBBB., cittadina italiana, era residente nel Comune di (OMISSIS), ove svolgeva altresì la sua attività lavorativa, che aveva interrotto solo momentaneamente per un periodo di aspettativa – per ricongiungersi con il marito residente in (OMISSIS), facendo, poi, ritorno in Italia nell’agosto 2012. La Corte riteneva, pertanto, che il giudizio di separazione fosse stato correttamente incardinato in Italia, nel luogo di residenza della ricorrente, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n. 2201/2003.

2.2. Quanto all’affidamento della minore, il giudice di appello rilevava che la medesima, nata a (OMISSIS), era anagraficamente residente in (OMISSIS), con la madre e la sorella, dove era stata altresì iscritta all’asilo, nel quale sarebbe ritornata a (OMISSIS), al ritorno delle vacanze estive trascorse in (OMISSIS). Il ritardo nel rientro in Italia era stato determinato dal fatto che il padre aveva indebitamente trattenuto la bambina per un mese in più in (OMISSIS), avendo i genitori pattuito che il rientro della minore in Italia sarebbe dovuto, invece, avvenire nell'(OMISSIS). La sottrazione della minore alla genitrice affidataria era stata, peraltro, accertata dal Tribunale di Circoscrizione e di Famiglia e Minori di Almada, con sentenza del 20 marzo 2014, che aveva accolto la richiesta proposta in tal senso del Pubblico Ministero. La causa era stata, pertanto, correttamente incardinata, a giudizio della Corte, nel luogo – tale riconosciuto anche dal giudice portoghese nella succitata pronuncia – di abituale residenza della minore, ai sensi dell’art. 8 del Regolamento CE nn. 2201/2003.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione AAAA nei confronti di BBBB, affidato a tre motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, AAAA denuncia il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c..

1.1. La censura del ricorrente all’impugnata sentenza si incentra essenzialmente sulla questione di giurisdizione relativa all’affidamento della minore, dolendosi l’istante del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che il luogo di residenza abituale della figlia CCCC. fosse da individuarsi – all’epoca dei fatti per cui è causa – nel Comune di (OMISSIS), laddove per otto mesi, dal (OMISSIS), la medesima avrebbe vissuto presso il padre in (OMISSIS). Tale collocazione della bambina all’estero sarebbe stata peraltro effettuata, d’accordo tra le parti, per consentire alla madre di reperire lavoro in Italia, dove la medesima aveva deciso di ritornare nell'(OMISSIS). Dal (OMISSIS), epoca alla quale risalirebbe la rottura di fatto dei rapporti tra i coniugi, pertanto, la minore avrebbe avuto la sua stabile residenza in (OMISSIS), con conseguente iscrizione presso il Sistema sanitario portoghese.

1.2. Trascorsi, pertanto, ben otto mesi dal cambiamento della precedente residenza della minore, non avrebbe potuto la madre ad avviso del ricorrente – instaurare il giudizio di separazione dinanzi al Tribunale di Milano, facendo uso del meccanismo della cosiddetta “ultrattività della preesistente residenza abituale”, quale criterio di attribuzione della giurisdizione nell’ambito dell’Unione Europea, atteso che l’art. 9 del Regolamento CE n. 2201/2003 “sancisce la possibilità di adire ancora il tribunale della residenza anteriore per un periodo limitato di tempo e cioè tre mesi dopo il mutamento di residenza abituale del minore”.

1.3. Il motivo è infondato.

1.3.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, invero, la giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all’interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori – pure ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi – sia ravvisabile nella mancata contestazione della giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione (Cass. Sez. U., 30/12/2011, n. 30646; Cass. Sez. U., 05/06/2017, n. 13912).

1.3.2. Da tale affermazione di principio circa il cosiddetto “rapporto di prossimità del minore”, discende che nei giudizi di separazione e di divorzio, che attengano – come nella specie – anche all’affidamento ed alla collocazione di un figlio minorenne, al fine di determinare quale sia il giudice nazionale dotato di giurisdizione, deve aversi riguardo alla residenza del nucleo familiare, all’interno del quale il medesimo vive, al momento della proposizione della domanda, rimanendo ininfluente il successivo trasferimento del figlio con un genitore all’estero (Cass. 11/06/2019, n. 15728). In tema di giurisdizione sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale su figli minori non residenti abitualmente in Italia, formulate nel giudizio di separazione o di divorzio introdotto dinanzi al giudice italiano, il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dall’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, trova, invero, fondamento nel superiore e preminente interesse di quest’ultimo a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della sua residenza effettiva, nonché nell’esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative (Cass. Sez. U., 02/10/2019, n. 24608).

Di conseguenza, anche nel caso in cui nel giudizio di separazione o di divorzio, introdotto innanzi al giudice italiano, siano avanzate domande inerenti la responsabilità genitoriale ed il mantenimento di figli minori, che non siano residenti abitualmente in Italia, ma in altro stato membro dell’Unione Europea, la giurisdizione su tali domande spetta, rispettivamente ai sensi dell’art. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e art. 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, all’autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale dei minori al momento della loro proposizione, dovendosi salvaguardare l’interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonchè realizzare la tendenziale concentrazione di tutte le azioni che li riguardano, attesa la natura accessoria della domanda relativa al mantenimento rispetto a quella sulla responsabilità genitoriale (Cass. Sez. U., 27/11/2018, n. 30657).

1.3.3. Nel caso di specie, è incontroverso tra le parti – avendolo affermato anche lo stesso ricorrente -, e risulta dalla sentenza di appello, che alla data di proposizione del ricorso per separazione dei coniugi ((OMISSIS)), concernente anche l’affidamento e la collocazione della figlia minore, quest’ultima era ormai stabilmente residente in Italia presso la madre. Tanto da essere stata iscritta come rilevato dalla Corte territoriale – all’asilo nel Comune di (OMISSIS), nel quale aveva fatto ritorno nel (OMISSIS), al suo rientro in Italia. Orbene, al fine di accertare quale sia lo Stato in cui ha la residenza abituale un figlio di tenera età, nato da genitori non uniti in matrimonio che vivono in Paesi diversi, e di individuare in conseguenza il giudice nazionale dotato di giurisdizione, al fine di assumere i provvedimenti riguardanti il minore, ben possono valorizzarsi indicatori di natura proiettiva, quali – appunto – l’iscrizione del bambino presso l’asilo in un determinato Paese ed il godimento dell’assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo Stato (Cass. Sez. U., 30/03/2018, n. 8042).

1.3.4. D’altro canto, come evidenziato dalla sentenza di appello lo stesso Tribunale portoghese di Almada, con pronuncia del 20 marzo 2014, non ha dubitato del fatto che CCCC fosse abitualmente residente in Italia, ove avrebbe dovuto fare rientro, per accordo delle parti, già nell'(OMISSIS), al punto da accogliere la domanda del Pubblico Ministero di riconsegna della medesima alla madre.

1.3.5. Da quanto suesposto discende, pertanto, che deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano a giudicare della presente controversia.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, AAAA denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello non abbia preso adeguatamente in esame le prove documentali prodotte a sostegno della domanda di addebito della separazione alla moglie, nonché a fondamento della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento, corrisposto a favore della figlia minore.

2.2. Le censure sono inammissibili.

2.2.1. Con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce, invero, nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 29/10/2018, n. 27415).

2.2.2 Nel caso concreto, l’impugnata sentenza ha adeguatamente motivato – alla stregua delle risultanze probatorie in atti – in ordine alle ragioni per le quali ha disatteso la richiesta di addebito, ritenendo giustificato l’allontanamento dell’odierna resistente dal (OMISSIS), al fine di riprendere il suo lavoro presso l’Istituto Europeo di Oncologia, “dove era assunta con contratto a tempo indeterminato, essendo scaduto il periodo di aspettativa per maternità”, nonché immotivato l’addebito rivolto dal marito alla moglie, di avere quest’ultima privilegiato esclusivamente i propri interessi lavorativi e la propria realizzazione personale, non avendo l’appellante D.C.V. neppure impugnato le motivate statuizioni rese sul punto dal giudice di primo grado.

2.2.3. Quanto alla richiesta di riduzione dell’assegno, la Corte territoriale è pervenuta alla decisione di lasciarne invariato l’importo stabilito dal Tribunale, sulla base di una motivata valutazione comparativa dei redditi delle parti in causa, e tenuto conto anche dei due diversi contesti geografici nei quali i medesimi si trovano a vivere.

2.2.4. A fronte di tali motivate statuizioni, la censura si risolve in una allegazione di questioni di merito, attraverso la sostanziale richiesta di riesame di atti e documenti – le cui risultanze, peraltro, non sempre sono state riprodotte nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza – e la riproposizione di temi di indagini già sottoposi al giudice a quo. Le doglianze devono, pertanto, essere disattese.

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso va rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione della controricorrente.

P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza/ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

collocamento del minore: il giudice deve effettuare una valutazione prognostica al fine di individuare il genitore più idoneo

19/05/2020 n. 9143 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. XXXX, già convivente more uxorio con YYYY., dalla quale aveva avuto un figlio di nome JJJJ, propose ricorso al Tribunale per i minorenni di Lecce, per sentir provvedere, ai sensi dell’art. 333 c.c., alla riorganizzazione delle competenze genitoriali, con l’esclusione della capacità genitoriale della madre e la disciplina dell’affidamento del figlio, in modo tale che egli potesse esercitare i diritti previsti dalla legge.

Si costituì la YYYY, e resistette alla domanda, assumendo che il figlio rifiutava la figura paterna per aver assistito a numerosi episodi di violenza posti in essere dal ricorrente nei confronti di essa resistente.

1.1. Con decreto dell’11 gennaio 2019, il Tribunale per i minorenni dispose il collocamento del padre e del figlio presso un’idonea comunità educativa.

2. Il reclamo proposto dalla YYYY è stato rigettato dalla Corte d’appello di Lecce con decreto dell’8 aprile 2019.

Premesso che il procedimento in esame era stato preceduto dalla proposizione di un analogo ricorso, rigettato dal Tribunale per i minorenni con decreto emesso il 26 marzo 2015, che aveva disposto l’affidamento del minore al Servizio sociale del Comune di Maglie, ai fini dell’immediato avvio di un percorso di mediazione o di attenuazione della conflittualità tra i genitori, e precisato che l’iter mediativo non aveva trovato attuazione, a causa del permanere di un’elevata conflittualità tra le parti, la Corte ha rilevato che erano rimasti ineseguiti anche i provvedimenti da essa adottati con Decreto del 10 giugno 2016, in sede di reclamo avverso il decreto emesso ai sensi dell’art. 317-bis c.c., con cui il Tribunale di Lecce aveva disciplinato l’esercizio del diritto di visita spettante al XXXX, mentre erano falliti i tentativi compiuti dal Servizio sociale per avviare un progetto di mediazione e sostegno al minore ed alla genitorialità, in esecuzione di un successivo decreto emesso dal Tribunale di Lecce il 20 luglio 2016.

Ciò posto, la Corte ha richiamato la relazione depositata dai c.t.u. nominati in primo grado, dalla quale emergevano la difficoltà per il minore di accettare la separazione tra i genitori e la conseguente necessità di operare uno specifico intervento con il coinvolgimento di un neuropsichiatra infantile, nonché quella di avviare un percorso di psicoterapia individuale per il trattamento dei dati personologici delle parti, al fine di approfondire certi vissuti traumatici della YYYY, incidenti sul processo di dipendenza attivato con il figlio, e di consentire al XXXX di sviluppare le sue capacità di comprensione, gestione e manifestazione dei vissuti emotivi. Rilevato che le relazioni successivamente trasmesse dai Consultori familiari e dal neuropsichiatra confermavano il rifiuto del minore di interagire con il padre e la presenza di un condizionamento da parte di figure parentali, in primo luogo della madre, ha ritenuto meritevoli di conferma le misure adottate in primo grado, affermando che, ai fini dei provvedimenti previsti dall’art. 333 c.c., non potevano assumere alcun rilievo i comportamenti penalmente illeciti ascritti dalla reclamante al XXXX, in assenza di una pronuncia giudiziaria quanto meno di primo grado. Ha aggiunto che un infortunio subito dal minore mentre si trovava a casa dei nonni era stato ridimensionato e ricondotto a cause accidentali, escludendo inoltre che il piccolo JJJJ avesse potuto subire danni a causa dei maltrattamenti posti in essere dal XXXX nei confronti della P. nel corso della convivenza, interrottasi pochi mesi dopo la sua nascita.

La Corte ha altresì escluso la necessità di disporre una nuova c.t.u., rilevando che le relazioni degli operatori delle strutture socio-sanitarie coinvolte, pur avendo rappresentato le problematiche personologiche del XXXX, avevano concordemente evidenziato la necessità di favorire la relazione tra il minore ed il padre, in autonomia rispetto alla madre, nonché la sostanziale chiusura di quest’ultima verso ogni progetto di mediazione e recupero della genitorialità, a causa di sentimenti personali di rifiuto nei confronti dell’uomo. Ha aggiunto che la scelta del regime residenziale del minore con il padre, in luogo di quello con la madre, costituiva l’unico strumento utilizzabile per ristabilire i rapporti tra padre e figlio, trovando giustificazione nella mancata modificazione dell’atteggiamento della donna, che consentiva di escludere la prospettiva di comportamenti resilienti da parte della stessa.

3. Avverso il predetto decreto la YYYY ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il XXXX ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, proposta dalla difesa del controricorrente in relazione al carattere provvisorio del provvedimento impugnato, costituente espressione di giurisdizione non contenziosa, e quindi inidoneo ad acquistare efficacia di giudicato.

La più recente giurisprudenza di legittimità, rimeditando il proprio precedente orientamento, anche alla luce delle modificazioni normative introdotte in materia di filiazione dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219 e dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha infatti riconosciuto la proponibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con cui, in sede di reclamo, la corte d’appello abbia confermato, modificato o revocato provvedimenti de potestate adottati dal tribunale per i minorenni ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., osservando che tali provvedimenti hanno carattere decisorio e definitivo, in quanto incidenti su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, nonchè revocabili o modificabili solo in presenza di fatti nuovi, e pertanto idonei ad acquistare efficacia di giudicato rebus sic stantibus (cfr. Cass., Sez. Un., 13/12/2018, n. 32359; Cass., Sez. I, 25/07/2018, n. 19780; 21/11/2016, n. 13633). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche a provvedimenti, come quelli che dispongano l’affidamento ai servizi sociali, non ablativi ma comunque limitativi della responsabilità genitoriale, in quanto incidenti sulle modalità di esercizio della stessa, essendosi rilevato che tale misura non comporta alcuna modificazione nella qualificazione giuridica del provvedimento (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/2018, n. 28998): allo stesso modo, deve ritenersi quindi operante in riferimento al decreto impugnato, con il quale la Corte d’appello, decidendo sul reclamo proposto dalla ricorrente, ha confermato il collocamento del controricorrente e del figlio minore presso una comunità educativa, disposto dal Tribunale per i minorenni a seguito del ricorso proposto dall’uomo ai sensi dell’art. 333 c.c.; non vi è infatti prova del carattere meramente provvisorio ed urgente del provvedimento, il quale, pur non avendo comportato la conclusione del procedimento dinanzi al Giudice minorile, e non prevedendo comunque una soluzione definitiva, risulta idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sulle posizioni delle parti, essendo destinato ad operare almeno fino a quando non venga meno la conflittualità che caratterizza attualmente i rapporti tra le stesse (cfr. Cass., Sez. VI, 24/ 01/2020, n. 1668).

2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 337-ter c.c., dell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176, e dell’art. 32 Cost., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti i maltrattamenti e le violenze posti in essere dal M. nei confronti di essa ricorrente e del minore, a causa del mancato accertamento degli stessi in sede penale. Premesso infatti che nei confronti dell’uomo risultavano pendenti tre procedimenti penali per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 585 c.p., sostiene che, nel richiamare la presunzione di innocenza, la Corte territoriale non ha considerato che la stessa opera come garanzia per l’imputato in sede penale, ma non costituisce prova d’innocenza in sede civile, ed ha quindi omesso di valutare il prevalente interesse del minore, il quale imponeva di procedere all’accertamento dei fatti indipendentemente dall’esito dei giudizi penali, nonchè di decidere sulla base del criterio civilistico del “più probabile che non”, anzichè secondo quello penalistico della certezza “oltre ogni ragionevole dubbio”.

2.1. Il motivo è infondato.

Pur avendo impropriamente richiamato la presunzione d’innocenza, operante esclusivamente in sede penale, la Corte territoriale non ha affatto escluso la rilevanza dei comportamenti penalmente censurabili ascritti dalla YYYY al XXXX, essendosi limitata a negare il carattere decisivo dei procedimenti penali pendenti per l’accertamento degli stessi, non ancora pervenuti neppure alla pronuncia di una sentenza di primo grado, ed avendo pertanto proceduto ad un’autonoma valutazione dei predetti comportamenti, all’esito della quale ne ha ridimensionato la portata, sia sotto il profilo materiale che sotto quello della potenziale dannosità per l’equilibrato sviluppo psicofisico del minore. Non possono pertanto ritenersi violati nè le disposizioni richiamate dalla ricorrente, che individuano l’interesse superiore del minore quale criterio fondamentale di valutazione cui devono ispirarsi tutte le decisioni riguardanti l’affidamento e la protezione dello stesso, nè il principio di autonomia e separazione, cui è improntata la vigente disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, il quale postula che, al di fuori delle ipotesi di sospensione necessaria e delle altre previste dagli artt. 651 c.p.p. e segg., aventi carattere derogatorio, il processo civile, anche se riguardante un diritto il cui riconoscimento dipenda dall’accertamento degli stessi fatti materiali che costituiscono oggetto di un giudizio penale, prosegua il suo corso senza essere influenzato da quest’ultimo, ed il giudice civile, pur potendo utilizzare gli elementi di prova acquisiti in sede penale, accerti autonomamente i fatti con pienezza di cognizione, sottoponendoli al proprio vaglio critico, senza essere vincolato dalle soluzioni e dalle qualificazioni adottate dal giudice penale (cfr. Cass., Sez. VI, 3/07/2018, n. 17316; Cass., Sez. lav., 12/01/2016, n. 287; 10/03/2015, n. 4758).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che l’interesse superiore del minore imponeva di procedere, ai fini della scelta delle misure da adottare concretamente, ad un bilanciamento tra i rischi ed i benefici collegati alle diverse soluzioni, nonchè di formulare un giudizio prognostico in ordine alla possibilità ed ai tempi di recupero del rapporto genitoriale ed alla capacità dei genitori di riprendere un ruolo educativo ed affettivo. Rileva che, nel disporre l’ingresso del minore in comunità, con la conseguente alterazione delle sue abitudini di vita, la Corte territoriale ha omesso di valutare se tale soluzione risultasse meno traumatica della continuità affettiva nella dimora materna, nonchè di esaminare l’ipotesi di una riemersione delle violenze familiari, avendo fondato il proprio convincimento su elementi valutativi della genitorialità privi di specificità e significatività, senza tener conto del parere contrario espresso dal curatore del minore, delle conclusioni dei c.t.u. e dei provvedimenti adottati dal Tribunale ordinario, che avevano escluso la sussistenza di comportamenti ostruzionistici di essa ricorrente.

3.1. Il motivo è inammissibile.

In tema di provvedimenti riguardanti i figli, questa Corte, nel confermare il ruolo fondamentale dell’interesse del minore, quale criterio esclusivo di orientamento delle scelte affidate al giudice, ha ripetutamente precisato che il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della loro personalità, delle consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore (cfr. Cass., Sez. I, 8/04/2019, n. 9764; 23/09/2015, n. 18817; 22/05/2014, n. 11412). A tale criterio si è puntualmente attenuto il decreto impugnato, il quale, nell’esaminare le diverse soluzioni ipotizzabili per il collocamento del minore, ha conferito particolare rilievo all’esigenza di assicurare il recupero del rapporto con il padre, pregiudicato da una lunga interruzione dovuta allo atteggiamento di rifiuto manifestato dalla madre nei confronti dell’ex convivente; in quest’ottica, la Corte territoriale ha valutato il comportamento tenuto da entrambi i genitori nei rapporti con il figlio e la disponibilità manifestata da ciascuno di essi al superamento della conflittualità in atto tra loro, evidenziando gli effetti potenzialmente pregiudizievoli di tale situazione sullo equilibrato sviluppo del minore, ed attribuendo quindi la preferenza, tra le varie alternative, al collocamento del piccolo JJJJ. con il padre presso una struttura educativa, ritenuto idoneo da un lato ad evitare il grave condizionamento psicologico determinato dal continuo contatto con la madre, dallo altro a consentire il superamento delle problematiche di tipo personologico manifestate dal padre, attraverso adeguati interventi psicoterapeutici. Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado di individuare circostanze di fatto non considerate nel decreto impugnato, ma si limita ad insistere su elementi che hanno costituito oggetto di specifica valutazione, quali il distacco dall’ambiente familiare materno o i comportamenti violenti addebitati al padre, nonché sul parere contrario espresso dal curatore del minore e dal c.t.u., non aventi carattere vincolante per la Corte territoriale, la quale, nel discostarsene, ha ampiamente motivato la scelta effettuata. Nel lamentare l’omissione e l’illogicità della motivazione, la ricorrente omette poi d’indicare lacune argomentative o carenze logiche talmente gravi da impedire di ricostruire il ragionamento seguito per giungere alla decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257).

4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 26 e 31 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77, osservando che, nel disporre il collocamento del minore in comunità con il padre, autore delle violenze e dei maltrattamenti, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’obbligo, emergente dalle predette disposizioni, di prendere in considerazione, ai fini della determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, gli episodi di violenza rientranti nell’ambito applicativo della Convenzione, in modo tale da evitare di compromettere i diritti e la sicurezza delle vittime o dei bambini.

4.1. Il motivo è infondato.

La Corte di merito, pur avendo ridimensionato la portata degli episodi di violenza addebitati dalla ricorrente all’ex convivente, non ha affatto omesso di adottare le misure volte a garantire i diritti ed i bisogni del minore, nello interesse superiore dello stesso, e di prendere in considerazione, ai fini del suo collocamento, l’esigenza di far sì che il recupero dei rapporti con il padre non vada a detrimento della sua sicurezza: la soluzione adottata, pur non corrispondendo a quella suggerita dal c.t.u., è stata infatti individuata sulla base di ampi approfondimenti istruttori, demandati sia al consulente che ai servizi sociali, conformemente a quanto prescritto dell’art. 26 cit., comma 2, per i bambini che siano stati testimoni di ogni forma di violenza, mentre la scelta di trasferire il minore presso una struttura educativa, invece di collocarlo direttamente presso il padre, risponde proprio alle finalità di tutela previste dell’art. 31, comma 2, essendo volta ad assicurare una graduale ripresa dei rapporti con la collaborazione e sotto la vigilanza di persone professionalmente qualificate.

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

La natura della causa e la peculiarità delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

stop all'assegno di mantenimento se i figli hanno iniziato a lavorare

06/04/2020 n. 1910 - ROMA

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza n. 308/19 pubblicata in data 1.3.2019, il Tribunale di Civitavecchia, decidendo sul ricorso depositato il 17.02.2014 da XXXX, ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto tra le parti, disponendo la revoca dell’assegnazione della casa familiare alla ricorrente, la cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere alla madre l’assegno di mantenimento in favore dei figli con decorrenza dal mese di febbraio 2019, con la condanna della ricorrente a rifondere a favore del resistente le spese di lite, atteso il rigetto delle sue istanze accessorie alla pronuncia di status.

Avverso tale decisione, con ricorso depositato in data 19.6.2019, ha proposto appello YYYY, chiedendo la parziale riforma della sentenza, limitatamente al capo 2) della decisione, con esclusivo riferimento alla decorrenza della dichiarata cessazione del suo obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento per i figli.

Egli lamenta, infatti, che la sentenza impugnata, pur avendo accertato che ambedue i figli avevano iniziato a lavorare sin dal 2017, abbia fissato la decorrenza della cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli, dalla pubblicazione della sentenza di divorzio nel febbraio 2019. Le censure dell’appellante si articolano su due motivi:

-Violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. e dell’art. 4, comma 13, l. n. 898 del 1970 , poiché la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, nel caso di revisione delle condizioni del divorzio ai sensi dell’art. 9 l.n. 898/90, gli effetti della pronuncia decorrono dalla domanda di revisione, in virtù del principio secondo cui un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio;

-Violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112 e 190 c.p.c., poiché la sentenza, pur dando atto che la ricorrente all’udienza di precisazione delle conclusioni aveva rinunciato alle domande di contenuto patrimoniale, avrebbe dato ingresso a circostanze dedotte dalla ricorrente nella sua comparsa conclusionale, con la quale la stessa aveva allegato la sopravventa condizione di disoccupazione dei figli.

Con l’istanza successivamente depositata in data 26.9.2019, l’appellante, così come preannunciato nelle conclusioni dell’atto di appello riportate in epigrafe , ha chiesto ai sensi dell’art. 351 c.p.c., la sospensione della sentenza impugnata , in relazione allo specifico motivo di appello e, a fondamento della sua istanza di inibitoria, oltre a riproporre gli argomenti esposti nell’atto di appello a fondamento della sua richiesta, ha dedotto, che in data 30.5.2019, XXXX gli avrebbe notificato un atto di precetto, intimandogli il pagamento di € 12.500,00, pari all’importo degli assegni di mantenimento non corrisposti dal luglio 2017 al febbraio 2019.

All’udienza del 28.11.2019, fissata per la trattazione dell’inibitoria, la sospensiva è stata rinviata al 12.3.2020, unitamente al merito, attesa l’omessa notifica del ricorso alla controparte.

Con successivo decreto del 10.3.2020, questa Corte, provvedendo ai sensi del D.L. n. 11/20, art. 2, comma 2 lett. h), ha disposto che l’udienza del 12.3.2020 fosse sostituita dallo scambio di memorie tra le parti, contenenti le rispettive conclusioni, sulle quali la causa sarebbe stata trattenuta in decisione.

L’appellante, che nei termini previamente concessi aveva depositato la prova della regolare notifica alla controparte tanto dell’atto di appello tanto dell’istanza di inibitoria, ha depositato l’ulteriore memoria, con la quale ha ribadito le proprie conclusioni, chiedendo che la Corte trattenesse la causa in decisione.

La parte appellata non si è costituita, sicché ne è stata dichiarata la contumacia all’udienza del 12.3.2020; quindi la Corte ha trattenuto la causa in decisione.

2. L’ appello deve essere accolto, essendo fondate le ragioni poste a fondamento dei motivi di impugnazione proposti.

Risulta dagli atti, che nel corso del giudizio di primo grado, con ricorso del 7.7.2017, YYYY.. ha chiesto la modifica delle condizioni stabilite con la separazione, con la cessazione del suo obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento per i due figli maggiorenni, deducendo che ambedue erano ormai economicamente indipendenti e che, inoltre, la figlia omissis  non convivesse più con la madre.

L’istruttoria svolta nel corso del sub-procedimento, instaurato in seguito a tale istanza, ha accertato, attraverso l’interrogatorio formale della ricorrente e l’audizione dei due figli maggiorenni, che la condizione economica dei figli era mutata e che come, come afferma la sentenza impugnata era  raggiunta la prova della indipendenza economica dei figli delle parti poiché gli stessi hanno confermato di svolgere lavori (JJJJ: “Attualmente lavoro presso una società di gaming che gestisce sale da gioco; sono in part time; ho lavorato presso il supermercato Ipermamily..da luglio 2017 fino a marzo 2018 ho lavorato in amministrazione.. ho iniziato a lavorare al Momoo Republic ma mi hanno licenziata..”; Omissis: “ho lavorato dal dicembre 2015 a luglio 2016 presso la Securitas Metronotte.. da luglio 2016 ho fatto piccoli lavoretti..due mesi ad un museo a Roma, a Natale 2017 ho lavorato in un negozio a Civitavecchia”- v. verbale udienza del 12.09.2018 del giudizio di primo grado) che, seppur saltuari e a tempo determinato, hanno consentito loro di percepire redditi variabili pari circa a € 800,00-/1000,00′.

Sulla base di tali accertamenti, il Tribunale ha dichiarato la cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere alla madre un assegno di mantenimento per i figli, dalla data della pronuncia della sentenza di divorzio, benché le prove espletate avessero dimostrato che l’ingresso dei figli nel mondo del lavoro, seppure con lavori saltuari e a tempo determinato’ fosse avvenuto tempo prima.

Orbene, fermo restando che la retrodatazione della pronuncia di modifica della condizioni della separazione alla data della domanda, è oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice può’ esercitare, con il prudente apprezzamento delle circostanze accertate (precarietà del posto di lavoro, entità del reddito, ecc.), nel caso in esame, non è determinante la valutazione della risultanze istruttorie in relazione alla decisione adottata, quanto piuttosto la circostanza allegata dall’appellante con il secondo motivo di impugnazione.

Ed invero, dal verbale del 31.10.2018, nell’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, la parte XXXX ha rinunciato alle richieste patrimoniali, opponendosi soltanto alla domanda di ripetizione della controparte, in quanto domanda nuova.

Tale circostanza è determinante per l’accoglimento dell’appello, poiché, la domanda proposta in corso di causa per la modifica delle condizioni della separazione in relazione all’obbligo del padre di contribuire al mantenimento dei figli, a fronte di una rinuncia della madre avente diritto a pretendere detto pagamento, segna il discrimine temporale della cessazione dell’obbligo stesso.

Né le circostanze dedotte nella comparsa conclusionale (sopravvenuto stato di disoccupazione di ambedue i figli) possono formare oggetto di valutazione, posto che nella comparsa conclusionale non possono essere dedotti nuovi fatti idonei a modificare le domande precisate nell’udienza di precisazione delle conclusioni (tra le tante, Cass.,2.5.2019 n. 11547).

Pertanto, l’appello deve essere accolto, assorbita l’istanza di sospensiva proposta ai sensi dell’art. 351 c.p.c. e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere riformata, limitatamente alla decorrenza della cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere un assegno di mantenimento per i figli, che deve essere retrodatata alla proposizione della domanda di modifica da parte di YYYY, ossia luglio 2017, anziché febbraio 2019.

3. La soccombenza comporta la condanna della parte convenuta al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio, liquidato, come nel dispositivo, in relazione al valore della causa determinato ai sensi dell’art. 13 c.p.c., applicati valori inferiori a quelli medi di cui al D.M. n. 55/2014, come integrato dal D.M. n. 37/2018, in ragione della semplicità delle difese, che non hanno richiesto una specifica attività istruttoria, in conseguenza della mancata costituzione della convenuta.

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da R.G. nei la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 308/2019 del 21.2/1.3.2019, assorbita l’istanza di inibitoria proposta dall’appellante, in accoglimento dell’appello, così dispone :

– Riforma la sentenza appellata limitatamente al capo 2), dichiarando cessato l’obbligo di YYYY di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli con decorrenza dal mese di luglio 2017;.

-Condanna XXXX a pagare in favore dell’appellante, a titolo di rimborso delle spese processuali del presente giudizio di appello, l’importo di € 2.100,00, oltre IVA e Cpa , con

Manda alla cancelleria per la comunicazione della sentenza e per gli adempimenti connessi.

Così deciso in Roma,

Franca Mangano

pendenza del giudizio di divorzio ed efficacia dei provvedimenti economici adottati in sede di separazione

27/03/2020 n. 7547 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTO
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi AAAA e BBBB, la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 2 agosto 2017, in parziale accoglimento del gravame della AAAA e in riforma della sentenza impugnata, aumentava a complessivi Euro 750,00 il contributo di mantenimento (di cui Euro 450,00 per la moglie e Euro 300,00 per la figlia minore) imposto al M. da (OMISSIS), in considerazione del fatto che nel giudizio di divorzio le somme dovute dal BBBB erano state determinate in sede presidenziale (in complessivi Euro 800,00) a decorrere dal mese di (OMISSIS), mentre riteneva congruo il contributo di mantenimento determinato in sede di separazione sino al mese di (OMISSIS).

Avverso questa sentenza il BBBB propone ricorso per cassazione, con il quale sostiene che il giudice della separazione avrebbe indebitamente sovrapposto la propria valutazione sulle statuizioni economiche conseguenti alla separazione a quella adottata dal giudice nel parallelo giudizio di divorzio; infatti, egli assume che la Corte territoriale non aveva il potere di rideterminare il contributo di mantenimento in sede di separazione, essendo pendente il giudizio di divorzio nel corso del quale l’ordinanza presidenziale del 14 ottobre 2016 aveva implicitamente valutato l’intero arco temporale dall’inizio dello stesso giudizio, confermando il contributo di mantenimento già fissato dal tribunale in sede di separazione. La AAAA resiste con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, con un unico motivo che imputa alla Corte territoriale di avere disciplinato i rapporti economici tra i coniugi, in relazione ad un periodo già regolato dall’ordinanza del 14 ottobre 2016 resa in sede presidenziale nel parallelo giudizio di divorzio che, pur avendo modificato il contributo economico dovuto dal BBBB a partire da (OMISSIS), aveva implicitamente valutato l’intero arco temporale intercorrente dall’inizio dello stesso giudizio (in data 6 agosto 2012) e confermato l’entità del contributo di mantenimento già inderogabilmente fissato (e non più modificabile) dal tribunale in sede di separazione.

Il ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria (Cass. n. 27205 del 2019), i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza. Di conseguenza, i provvedimenti economici adottati nel giudizio di separazione anteriormente iniziato sono destinati ad una perdurante vigenza fino all’introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto delle statuizioni (definitive o provvisorie) rese in sede divorzile (Cass. n. 1779 del 2012).

Si spiega in tal modo perché la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione) iniziato anteriormente e ancora pendente, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali (tra le tante Cass. n. 5510 e 5062 del 2017).

Nella specie, il giudice della separazione con la sentenza impugnata non è intervenuto impropriamente a modificare le statuizioni economiche rese in sede di divorzio (cfr. Cass. n. 17825 del 2013), ma ha fissato la decorrenza del contributo di mantenimento a carico del BBBB fino al mese di settembre 2015, senza dunque interferire con le statuizioni economiche emesse in sede divorzile a decorrere dal mese di (OMISSIS).

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro4200,00 per spese e accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

miglioramento delle condizioni reddituali dell'ex coniuge collocatario del minore giustifica la riduzione del contributo al mantenimento

13/03/2020 n. 7230 - Cassazione Civile - Sezione VI

MASSIMA 

In  riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

FATTO
La Corte di Appello di Catania, con decisione in data 15/11/2017, ha riformato il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale di Siracusa in data 5-7 luglio 2016 in sede di modifica dell’assegno divorzile a favore della moglie ed a carico del marito ed ha ridotto da 350,00 mensili a 280,00 Euro mensili l’importo dell’assegno divorzile per il mantenimento della figlia minore OMISSIS nata dal matrimonio contratto da OMISSIS1 con OMISSIS2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione OMISSIS1 affidato a sei motivi.

A. OMISSIS2 non ha spiegato difese

DIRITTO 
Con il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, tutti contenenti la medesima censura, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 e art. 2727 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche degli ex coniugi nonchè dell’impossibilità per il ricorrente di mantenersi con il solo importo residuo a sua disposizione stabilito dalla Cortei considerato che aveva formato una nuova famiglia e che la compagna dalla quale aveva avuto un figlio aspettava un altro figlio. Il ricorrente evidenziava poi che la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà mentre al contrario il ricorrente aveva avuto altro figlio ed un altro ne aspettava dall’attuale compagna.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 143,155,156 e 2697 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5 ed art. 111 Cost., in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche dei coniugi e dei fatti nuovi sopravvenuti. Inoltre, ha ridotto l’assegno con decorrenza solo dalla data di pubblicazione della decisione e non dalla data della domanda. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e art. 92 c.p.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha condannato il Salerai alle spese del primo grado di giudizio e compensato quelle di secondo grado sebbene il ricorso fosse fondato.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112,114 e 115 c.p.c. e art. 2727 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale ha ridotto l’assegno senza motivare in alcun modo e senza indicare gli elementi posti alla base della decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti nel merito la decisione impugnata ha già valutato ed accolto tutte le ragioni del ricorrente: ha preso in considerazione la situazione economica delle parti e tenuto conto dell’incremento reddituale dell’ex-coniuge per cui ha ridotto l’assegno di mantenimento in favore della figlia da 350,00 Euro stabilito dal giudice di primo grado a 280,00 Euro mensili in quanto la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà, mentre al contrario il ricorrente aveva avuto un altro figlio ed un altro ancora ne aspettava dall’attuale compagna. Nessuna circostanza risulta essere stata trascurata dal giudice territoriale, che ha accolto, con decisione adeguatamente motivata ed immune da vizi logici, la domanda di riduzione del l’assegno.

La decisione impugnata merita quindi di essere confermata.

La decisione deve essere anche confermata in ordine alla decorrenza della riduzione dell’importo dell’assegno.

Infatti Sez. 1-, Sentenza n. 9533 del 04/04/2019 ha stabilito che in riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

Inoltre il motivo di ricorso è infondato anche per le spese di giudizio, date le ragioni delle parti che hanno indotto il giudice a porre a carico del ricorrente le spese del primo grado di giudizio stante l’accoglimento parziale della domanda.

Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d’ufficio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta-prima sezione della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020