pendenza del giudizio di divorzio ed efficacia dei provvedimenti economici adottati in sede di separazione

27/03/2020 n. 7547 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTO
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi AAAA e BBBB, la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 2 agosto 2017, in parziale accoglimento del gravame della AAAA e in riforma della sentenza impugnata, aumentava a complessivi Euro 750,00 il contributo di mantenimento (di cui Euro 450,00 per la moglie e Euro 300,00 per la figlia minore) imposto al M. da (OMISSIS), in considerazione del fatto che nel giudizio di divorzio le somme dovute dal BBBB erano state determinate in sede presidenziale (in complessivi Euro 800,00) a decorrere dal mese di (OMISSIS), mentre riteneva congruo il contributo di mantenimento determinato in sede di separazione sino al mese di (OMISSIS).

Avverso questa sentenza il BBBB propone ricorso per cassazione, con il quale sostiene che il giudice della separazione avrebbe indebitamente sovrapposto la propria valutazione sulle statuizioni economiche conseguenti alla separazione a quella adottata dal giudice nel parallelo giudizio di divorzio; infatti, egli assume che la Corte territoriale non aveva il potere di rideterminare il contributo di mantenimento in sede di separazione, essendo pendente il giudizio di divorzio nel corso del quale l’ordinanza presidenziale del 14 ottobre 2016 aveva implicitamente valutato l’intero arco temporale dall’inizio dello stesso giudizio, confermando il contributo di mantenimento già fissato dal tribunale in sede di separazione. La AAAA resiste con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, con un unico motivo che imputa alla Corte territoriale di avere disciplinato i rapporti economici tra i coniugi, in relazione ad un periodo già regolato dall’ordinanza del 14 ottobre 2016 resa in sede presidenziale nel parallelo giudizio di divorzio che, pur avendo modificato il contributo economico dovuto dal BBBB a partire da (OMISSIS), aveva implicitamente valutato l’intero arco temporale intercorrente dall’inizio dello stesso giudizio (in data 6 agosto 2012) e confermato l’entità del contributo di mantenimento già inderogabilmente fissato (e non più modificabile) dal tribunale in sede di separazione.

Il ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria (Cass. n. 27205 del 2019), i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza. Di conseguenza, i provvedimenti economici adottati nel giudizio di separazione anteriormente iniziato sono destinati ad una perdurante vigenza fino all’introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto delle statuizioni (definitive o provvisorie) rese in sede divorzile (Cass. n. 1779 del 2012).

Si spiega in tal modo perché la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione) iniziato anteriormente e ancora pendente, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali (tra le tante Cass. n. 5510 e 5062 del 2017).

Nella specie, il giudice della separazione con la sentenza impugnata non è intervenuto impropriamente a modificare le statuizioni economiche rese in sede di divorzio (cfr. Cass. n. 17825 del 2013), ma ha fissato la decorrenza del contributo di mantenimento a carico del BBBB fino al mese di settembre 2015, senza dunque interferire con le statuizioni economiche emesse in sede divorzile a decorrere dal mese di (OMISSIS).

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro4200,00 per spese e accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

miglioramento delle condizioni reddituali dell'ex coniuge collocatario del minore giustifica la riduzione del contributo al mantenimento

13/03/2020 n. 7230 - Cassazione Civile - Sezione VI

MASSIMA 

In  riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

FATTO
La Corte di Appello di Catania, con decisione in data 15/11/2017, ha riformato il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale di Siracusa in data 5-7 luglio 2016 in sede di modifica dell’assegno divorzile a favore della moglie ed a carico del marito ed ha ridotto da 350,00 mensili a 280,00 Euro mensili l’importo dell’assegno divorzile per il mantenimento della figlia minore OMISSIS nata dal matrimonio contratto da OMISSIS1 con OMISSIS2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione OMISSIS1 affidato a sei motivi.

A. OMISSIS2 non ha spiegato difese

DIRITTO 
Con il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, tutti contenenti la medesima censura, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 e art. 2727 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche degli ex coniugi nonchè dell’impossibilità per il ricorrente di mantenersi con il solo importo residuo a sua disposizione stabilito dalla Cortei considerato che aveva formato una nuova famiglia e che la compagna dalla quale aveva avuto un figlio aspettava un altro figlio. Il ricorrente evidenziava poi che la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà mentre al contrario il ricorrente aveva avuto altro figlio ed un altro ne aspettava dall’attuale compagna.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 143,155,156 e 2697 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5 ed art. 111 Cost., in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche dei coniugi e dei fatti nuovi sopravvenuti. Inoltre, ha ridotto l’assegno con decorrenza solo dalla data di pubblicazione della decisione e non dalla data della domanda. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e art. 92 c.p.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha condannato il Salerai alle spese del primo grado di giudizio e compensato quelle di secondo grado sebbene il ricorso fosse fondato.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112,114 e 115 c.p.c. e art. 2727 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale ha ridotto l’assegno senza motivare in alcun modo e senza indicare gli elementi posti alla base della decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti nel merito la decisione impugnata ha già valutato ed accolto tutte le ragioni del ricorrente: ha preso in considerazione la situazione economica delle parti e tenuto conto dell’incremento reddituale dell’ex-coniuge per cui ha ridotto l’assegno di mantenimento in favore della figlia da 350,00 Euro stabilito dal giudice di primo grado a 280,00 Euro mensili in quanto la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà, mentre al contrario il ricorrente aveva avuto un altro figlio ed un altro ancora ne aspettava dall’attuale compagna. Nessuna circostanza risulta essere stata trascurata dal giudice territoriale, che ha accolto, con decisione adeguatamente motivata ed immune da vizi logici, la domanda di riduzione del l’assegno.

La decisione impugnata merita quindi di essere confermata.

La decisione deve essere anche confermata in ordine alla decorrenza della riduzione dell’importo dell’assegno.

Infatti Sez. 1-, Sentenza n. 9533 del 04/04/2019 ha stabilito che in riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

Inoltre il motivo di ricorso è infondato anche per le spese di giudizio, date le ragioni delle parti che hanno indotto il giudice a porre a carico del ricorrente le spese del primo grado di giudizio stante l’accoglimento parziale della domanda.

Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d’ufficio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta-prima sezione della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

dpcm 8 marzo 2020: si agli spostamenti per il rientro dei figli presso la residenza o il domicilio

11/03/2020 n. - Tribunale di Milano - sezione IX

DECRETO
Il Presidente FF Dott. Piera Gasparini
Letta l’istanza urgente depositata il giorno 11.3.2020 dal difensore di (…), avente ad oggetto la richiesta di rientro dei minori presso il domicilio di Milano;
ritenuto che sulla stessa non sia necessario sentire le parti, in quanto i coniugi nel corso della recente udienza del 3.3.2020 hanno concordato il mantenimento delle attuali condizioni di affido e collocamento dei minori, con indicazione di un preciso e dettagliato calendario di frequentazioni degli stessi con il genitore non collocatario in via prevalente, ossia il padre, alla stregua degli accordi separativi così come integrati dalle dichiarazioni rese alla predetta udienza, tanto da richiedere la decisione del giudice, nella fase presidenziale del divorzio, esclusivamente sulle questioni economiche;
rilevato, pertanto, che il predetto accordo è da ritenersi vincolante ai fini del regime di collocamento e frequentazione dei minori con il padre;
ritenuto che le previsioni di cui all’art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM 8 marzo 2020 n.11 non siano preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la “residenza o il domicilio”, sicchè alcuna “chiusura” di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti;
rilevato che anche le FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.3.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio;
ritenuto che in relazione alle contingenze determinate della diffusione epidemica COVID 19 non sussistano ragioni per considerare gravi ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. i comportamenti tenuti da OMISSIS
PQM
a tutela dei minori e rigettata ogni altra domanda,
inaudita altera parte
DISPONE
che le parti si attengano alle previsioni di cui al verbale di separazione consensuale del 24.10.2018 omologato in data 12.11.2018 così come integrate dall’accordo delle parti del 3.3.2020.
Si comunichi con urgenza alle parti.
Milano, 11/03/2020
Il Presidente FF dott. Piera Gasparini

riconoscimento del matrimonio celebrato da un ministro di culto non cattolico

09/03/2020 n. 6511 - sezione I

FATTO
1. La Corte di appello di Messina con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato il reclamo proposto ex art. 739 c.p.c. da OMISSIS1. e OMISSIS2 avverso il decreto con cui il Tribunale di Patti, pronunciando sul ricorso promosso ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96 aveva disatteso la domanda dai primi proposta e diretta ad ottenere: la dichiarazione di legittimità del matrimonio da loro contratto in data (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS), secondo il rito dei “Testimoni di Geova”, con ordine all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di effettuare la trascrizione dell’atto nei Registri, o, in subordine, l’emissione di un decreto sostitutivo del certificato di matrimonio.

I giudici di appello, in adesione alle ragioni della decisione reclamata, hanno ritenuto la non trascrivibilità del matrimonio celebrato con il rito cristiano dei Testimoni di Geova perchè privo di effetti per lo Stato italiano.

La L. n. 1159 del 1929 ed il successivo regolamento di cui al R.D. n. 289 del 1930 rinviano, come disposto dall’art. 7 Cost., ad una “Intesa” tra la Repubblica italiana e la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova che, raggiunta in data (OMISSIS), non era ancora efficace in territorio nazionale non essendo stata approvata con legge statale.

2. OMISSIS1e OMISSIS 2 ricorrono per la cassazione dell’indicato decreto con due motivi, illustrati da memoria.

3. Il rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione ha fatto pervenire memoria scritta in cui ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione falsa applicazione della L. n. 1159 del 1929, artt. 3, 8, 9 e 10 e del R.D. n. 289 del 1930, artt. 25-28, del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96, della L. n. 385 del 1949, art. 2 (contenente il “Trattato di Amicizia Italia-Usa”), dell’art. 83 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sulla trascrivibilità dei matrimoni celebrati dai ministri dei culti ammessi nello Stato italiano ancorchè privi di Intesa.

La Corte di appello aveva ritenuto la non trascrivibilità del matrimonio celebrato da un ministro di culto della Confessione religiosa dei Testimoni di Geova, la cui nomina era stata approvata dal Ministro dell’Interno, perchè la Congregazione cristiana era priva di “Intesa” con lo Stato Italiano.

Il matrimonio era stato invece legittimamente celebrato secondo le prescrizioni relative ai culti ammessi dallo Stato contenute nella L. n. 1159 del 1929, e relativo decreto di attuazione, il R.D. n. 289 del 1930, e pertanto sussistevano tutte le condizioni per procedere alla trascrizione nei registri dello Stato civile del Comune di Brolo in cui risiedevano i richiedenti.

2. Con il secondo mezzo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 8, 9, 12, 13, in combinato con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, degli artt. 9 e 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e degli artt. 2, 3, 8, 19 e 29 Cost..

La Corte di appello di Messina, confermando il decreto impugnato, aveva dato atto della insussistenza di un rimedio effettivo ed integrato, per l’assunta decisione, una non consentita ingerenza da parte delle autorità statali, nella vita privata e familiare invece tutelati da Convenzioni Europee e dalla Costituzione, in patente violazione del diritto fondamentale a contrarre un matrimonio valido agli effetti civili.

L’operato diniego, fondato sulla inesistenza di una “Intesa” tra la Congregazione religiosa, cui apparteneva il Ministro di culto celebrante, con lo Stato italiano, costituisce manifesta discriminazione basata sulla religione. Ritenere che una confessione religiosa riconosciuta dallo Stato, seppure priva di “Intesa”, non possa procedere alla celebrazione di matrimoni validi anche agli effetti civili è discriminatorio nei confronti degli appartenenti a detta confessione.

3. Il primo motivo è fondato ed in accoglimento dello stesso il decreto impugnato va annullato con rinvio dinanzi alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, in applicazione dei principi di seguito indicati e precisati.

4. In materia di trascrizione di matrimoni religiosi celebrati secondo il rito proprio di culti diversi da quello cattolico, occorre distinguere, nel vigente quadro normativo, due ipotesi.

L’una avente ad oggetto l’atto di matrimonio celebrato secondo il rito di culti religiosi per i quali esistano “Intese” con lo Stato italiano, nell’osservanza di un percorso di squisita natura politica che trova previsione nella Costituzione italiana (art. 7; Corte Cost. n. 52 del 2016) e l’altra, disciplinata dalla L. 24 giugno 1929, n. 1159, artt. 3, 7 e segg. e dalle norme attuative di cui al R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, secondo la quale il matrimonio celebrato in Italia davanti a un ministro di un culto diverso dalla religione cattolica e con il quale l’Italia non ha stipulato intese produce effetti civili a condizione che: a) la nomina di tale ministro di culto sia stata approvata con decreto dal Ministro dell’Interno; b) l’ufficiale dello stato civile, previo adempimento delle formalità previste, abbia rilasciato l’autorizzazione scritta alla celebrazione del matrimonio.

4.1. All’epoca della celebrazione del matrimonio dei ricorrenti, e quindi nel 1980, il Ministro di culto celebrante apparteneva alla “(OMISSIS)” – culto ammesso nello Stato italiano in ragione del “Trattato di Amicizia, Commercio, Navigazione tra la Repubblica Italiana e gli Stati Uniti di America” del 2 febbraio 1948, ratificato in Italia e reso esecutivo con L. 18 giugno 1949, n. 385 – persona giuridica che godeva in Italia dei diritti attribuiti ad altri Enti morali riconosciuti e che, come tale, era soggetto all’applicazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159, contenente “Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”.

L’indicato ente morale non aveva richiesto la stipula di Intese con lo Stato italiano, iniziativa assunta invece, successivamente, dalla diversa “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova”, con un procedimento ancora aperto in cui non era stata approvata la bozza di intesa del (OMISSIS).

Come infatti ricordano dalla giudice amministrativo la “L. n. 1159 del 1929 e il R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, (…) hanno cessato di avere efficacia e applicabilità (…) esclusivamente nei confronti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che avevano stipulato con lo Stato italiano “intese” trasfuse in leggi ai sensi dell’art. 8 Cost., ma non nei confronti delle altre associazioni religiose che (…) non avevano stipulato alcuna intesa con lo Stato italiano” (Cons. Stato, 17 aprile 2009, n. 2331).

4.2. La diversa soggettività giuridica dell’ente di appartenenza all’epoca di celebrazione del matrimonio depone, ratione temporis, per l’applicazione del regime dell'”approvazione” del Ministro di culto celebrante, nei termini di cui alla L. n. 1159 del 1929, e non per quello contrassegnato dalla stipula di “Intese”, non ancora concluse tra la “Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova” e lo Stato italiano.

La fattispecie resta pertanto disciplinata dalla L. 24 giugno 1929, n. 1159, artt. 3, 7 e ss. e relative norme di attuazione, per un percorso di accertamento delle condizioni ivi fissate – e, quindi, del riconoscimento del ministro di culto che ha celebrato il matrimonio e dell’autorizzazione scritta alla celebrazione rilasciata dall’ufficiale dello Stato civile – che è rimasto estraneo all’impugnato decreto.

4.3. La Corte di appello, dopo avere erroneamente sussunto, per malgoverno delle norme in applicazione, la fattispecie in esame nella distinta ipotesi delle “Intese” tra Stato italiano e confessioni religiose acattoliche, ha escluso la trascrivibilità dell’atto e quindi l’idoneità a produrre effetto nell’ordinamento italiano.

5. Gli accertamenti in fatto sottesi alla corretta qualificazione della fattispecie ostano a che questa Corte di legittimità possa giungere ad una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed impongono l’annullamento con rinvio nei termini di seguito indicati.

6. In accoglimento del primo motivo di ricorso, correttamente ascritta la fattispecie in esame all’ipotesi di matrimonio celebrato da un Ministro del culto appartenente ad una associazione, la (OMISSIS), nei cui confronti, per il Trattato di amicizia del 02/02/1948, reso esecutivo in Italia con L. 18 giugno 1949, n. 385, trovano perdurante applicazione le disposizioni della L. n. 1159 del 1929 (art. 2) e del R.D. n. 289 del 1930 (art. 12) – e, quindi, il conseguimento del riconoscimento per presa d’atto del Ministro dell’Interno -, la Corte territoriale di Messina provvederà, al fine di accertare la trascrivibilità del matrimonio celebrato da Ministro di culto acattolico nel Comune di (OMISSIS) il (OMISSIS) tra OMISSIS1 e OMISSIS2, a verificare:

– se l’Ufficiale dello Stato civile, dopo aver certificato che nulla ostava alla celebrazione del matrimonio, avesse rilasciato autorizzazione scritta con indicazione:

a) del Ministro di culto dinanzi al quale la celebrazione doveva aver luogo;

b) della data del provvedimento con cui la nomina del Ministro di culto venne approvata nei termini di cui all’art. 3, come previsto dalla L. n. 1159 del 1929, art. 8, u.p..

Il secondo motivo resta assorbito.

7. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

aumento dell'assegno divorzile solo dopo una valutazione comparativa dei redditi

06/03/2020 n. 6470 - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. XXXX ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui la Corte di appello di Palermo, rigettando il reclamo dalla prima proposto ed in conferma del decreto del locale Tribunale, disponeva a carico dell’ex coniuge, YYYY, l’aumento del contributo per il mantenimento della figlia (già fissato in Euro 850,00 mensili comprensive delle spese di natura straordinarie) sino all’importo di Euro 1.200,00 mensili per il periodo dal (OMISSIS) e quindi dalla data di deposito del ricorso di modifica fino a quella di inizio del rapporto lavorativo della figlia, KKKK, laureata in ingegneria, con una società multinazionale, nell’acquisita autonomia economica della stessa.

La Corte, nel confermare il primo decreto, revocava altresì il contributo del padre a decorrere dall’ottobre 2014 e l’assegnazione della casa coniugale alla ricorrente e, ancora, in parziale accoglimento della riconvenzionale con cui la signora XXXX aveva richiesto l’aumento fino ad Euro 1.950,00, incrementava l’assegno divorzile da 460 Euro a 500 Euro.

Resiste con controricorso YYYY.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e l’omessa comparazione dei redditi delle parti ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.

La Corte di appello di Palermo avrebbe pretermesso una valutazione comparativa dei redditi delle parti, limitandosi ad affermare che l’aumento dell’assegno divorzile avrebbe trovato giustificazione nella revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale senza apprezzare l’esiguità dell’incremento, pari a soli 40 Euro, rispetto all'”enorme sproporzione dei redditi delle parti”, come invece richiesto in reclamo.

Il YYYY era imprenditore commerciale di successo con tenore di vita più che agiato e risorse illimitate ed accresciute rispetto all’epoca del divorzio e la ricorrente un avvocato dalle ben più ridotte disponibilità.

Titolare di sette immobili di pregio, l’ex coniuge dopo il divorzio aveva acquisito la disponibilità di un ulteriore appartamento intestato alla seconda moglie ed il possesso e la disponibilità di una prestigiosa villa in (OMISSIS), utilizzata nella stagione estiva, anch’essa intestata all’attuale seconda moglie.

Si sarebbero incrementate anche le quote di partecipazione del primo alla Sodano s.n.c. e sarebbero intervenute le opere di ristrutturazione di due dei tre punti vendita di calzature ed abbigliamento di proprietà.

2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione dell’art. 337-sexies c.c., in tema di quantificazione dell’assegno divorzile in seguito alla revoca dell’assegnazione dell’ex casa coniugale.

La figlia KKKK si era trasferita da (OMISSIS) a (OMISSIS) per iniziare un rapporto di collaborazione con la KPMG con un contratto di 24 mesi di apprendistato, e, sostenendo ancora gli esami per l’abilitazione all’esercizio della professione, continuava a recarsi mensilmente presso l’abitazione familiare a (OMISSIS) con costi a carico della madre.

La ricorrente sarebbe stata privata di un incremento dell’assegno proporzionato all’onere di reperire una nuova abitazione.

Dalla vendita o dalla locazione della ex casa coniugale nella cui disponibilità era rientrato, il signor YYYY avrebbe tratto un consistente beneficio economico là dove la signora XXXX avrebbe dovuto reperire una diversa soluzione abitativa con conseguente esborso.

3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e art. 337-sexies c.c. e l’assenza di motivazione sul punto.

I giudici di merito avevano ritenuto che la circostanza che i genitori, e quindi anche la ricorrente, non dovessero più mantenere la figlia avrebbe reso congruo l’assegno divorzile senza poi interrogarsi sull’ammontare della quota dei redditi della ricorrente riservata al mantenimento della figlia.

4. I motivi si prestano tutti, ad una valutazione che è in parte di inammissibilità per le ragioni di seguito indicate.

4.1. La ricorrente non deduce quale fosse la quota di reddito riservata al contributo al mantenimento della figlia e tanto nel rapporto di proporzionalità con il padre.

Più puntualmente, la richiedente non allega, nel rispetto del principio di autosufficienza al quale il ricorso per cassazione deve rispondere ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quale somma sia tornata nella sua libera disponibilità all’esito della revoca del contributo per la figlia, ormai autosufficiente, e tanto per consentire a questa Corte di legittimità di apprezzare, nella ridotta consistenza del contributo al mantenimento della figlia revocato, l’incapacità dello stesso, implementato, in modifica, di soli 40 Euro, di consentire quantomeno alla ricorrente di prendere in locazione un bene presso cui risiedere e tanto nella intervenuta, all’esito dell’apprezzata, dai giudici di merito, autosufficienza della figlia maggiorenne, revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale.

4.2. Per i mancati passaggi, non viene indicato il parametro su cui commisurare l’incremento dell’assegno divorzile nella denunciata insufficienza dell’aumento dispostone e per siffatta carenza i motivi proposti, che tutti muovono dalla segnalata inadeguatezza dell’implemento dell’assegno divorzile, soffrendo dell’indicata comune mancanza di autosufficienza, in via diretta o derivata, vanno dichiarati inammissibili.

4.3. La ricorrente va quindi condannata a rifondere al resistente le spese di lite che qui si liquidano, secondo soccombenza, in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020