la colpa grave del medico va dimostrata nel caso concreto

04/01/2022 n. 1 - Corte Conti Lazio

In linea generale, giova premettere che nel caso di responsabilità amministrativa per danno sanitario, va dimostrata la colpa grave del convenuto nel caso specifico e pertanto vanno indicati quegli elementi di prova in base ai quali, nel caso concreto, l’accusa ritiene che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche. Non appare corretto ritenere che l’esistenza di particolari linee guida che si pongono, in astratto, in contrasto con la condotta del medico nel fatto che ha determinato una lesione al paziente sia di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario sia sicuramente connotata da colpa grave. In secondo luogo va evidenziato che il concetto di colpa grave si differenzia tra l’ambito civilistico (dove viene in rilievo la colpa semplice) e l’ambito giuscontabile (dove la colpa grave del medico sussiste anche per errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica o e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità: Corte conti sez. III n.601/2004)

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interruzione della gravidanza in assenza di un valido consenso informato - nessun risarcimento- la paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l'intervento nel caso di adeguata informazione.

16/11/2020 n. 25875 - Cassazione civile sez. III

La Cass. 11 novembre 2019 n. 28985 ha operato una sistemazione complessiva della giurisprudenza recente di questa Corte in materia di consenso informato. Il Collegio intende dare continuità a tale rilevante precedente. Sulla base della classificazione operata da Cass. n. 28985 del 2019, la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento. Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva, come afferma sempre Cass. n. 28985 del 2019, sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.

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Danno da perdita genitorialità

15/09/2020 n. 19190 - Sezione III

La sentenza impugnata, a differenza di quanto reputato dalla ASL ricorrente, ha fornito una spiegazione piuttosto puntuale delle ragioni a fondamento della liquidazione del danno da perdita della genitorialità, illustrando, dapprima, la differenza intercorrente tra il danno consistente nella perdita del frutto del concepimento e il danno conseguente alla perdita del figlio, quindi, fornendo ampia giustificazione del parametro liquidativo utilizzato; segnatamente, la Corte territoriale ha ritenuto che, “trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita”, le tabelle milanesi non fossero “direttamente” utilizzabili, perchè elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valessero come criterio orientativo per la liquidazione equitativa del danno da perdita al frutto del concepimento subito tanto dalla madre quanto dal padre. In linea con quanto statuito da questa Corte nella pronuncia n. 12717/2015, che ha equiparato la perdita del feto nato morto alla perdita del figlio, ma con dei correttivi, dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta, il giudice a quo ha ritenuto di parametrare la liquidazione nel caso concreto sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perché il figlio era nato morto.

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nascita indesiderata - e' la donna a dover dimostrare che se correttamente informata avrebbe abortito

10/06/2020 n. 11123 - SEZIONE TERZA

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale”. Diversa questione, concernente la valutazione della prova: in tal caso infatti la portata della sentenza risolutiva del contrasto giurisprudenziale, evidenzia la necessità del ricorso alla prova logica -dovendo indagarsi ora per allora un “fatto psichico” qual è la intenzione volitiva-, escludendo chiaramente che la fattispecie normativa introduca una sorta di “relevatio ab onere probandi” introducendo schemi di accertamento legale dei fatti, atteso che “il legislatore non esime in alcun modo la madre dall’onere della prova della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonchè della sua conforme volontà di ricorrervi ” (ibidem, in motivazione, pag. 10), rendendosi comunque necessaria la raccolta di plurimi e distinti elementi fattuali (senza carattere di esaustività: richiesta da parte della donna di esami specifici intesi ad escludere malformazioni; preesistenza di precarie od alterate condizioni di salute psicofisica della donna; condotte da questa tenute in occasione di precedenti gravidanze; pregresse manifestazioni di propositi abortivi in caso di malformazioni fetali; ecc.) indispensabili per poter risalire induttivamente alla prova presuntiva semplice.

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