In linea generale, giova premettere che nel caso di responsabilità amministrativa per danno sanitario, va dimostrata la colpa grave del convenuto nel caso specifico e pertanto vanno indicati quegli elementi di prova in base ai quali, nel caso concreto, l’accusa ritiene che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche. Non appare corretto ritenere che l’esistenza di particolari linee guida che si pongono, in astratto, in contrasto con la condotta del medico nel fatto che ha determinato una lesione al paziente sia di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario sia sicuramente connotata da colpa grave. In secondo luogo va evidenziato che il concetto di colpa grave si differenzia tra l’ambito civilistico (dove viene in rilievo la colpa semplice) e l’ambito giuscontabile (dove la colpa grave del medico sussiste anche per errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica o e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità: Corte conti sez. III n.601/2004)
interruzione della gravidanza in assenza di un valido consenso informato - nessun risarcimento- la paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l'intervento nel caso di adeguata informazione.
16/11/2020 n. 25875 - Cassazione civile sez. III
La Cass. 11 novembre 2019 n. 28985 ha operato una sistemazione complessiva della giurisprudenza recente di questa Corte in materia di consenso informato. Il Collegio intende dare continuità a tale rilevante precedente. Sulla base della classificazione operata da Cass. n. 28985 del 2019, la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento. Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva, come afferma sempre Cass. n. 28985 del 2019, sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.
Danno da perdita genitorialità
15/09/2020 n. 19190 - Sezione III
La sentenza impugnata, a differenza di quanto reputato dalla ASL ricorrente, ha fornito una spiegazione piuttosto puntuale delle ragioni a fondamento della liquidazione del danno da perdita della genitorialità, illustrando, dapprima, la differenza intercorrente tra il danno consistente nella perdita del frutto del concepimento e il danno conseguente alla perdita del figlio, quindi, fornendo ampia giustificazione del parametro liquidativo utilizzato; segnatamente, la Corte territoriale ha ritenuto che, “trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita”, le tabelle milanesi non fossero “direttamente” utilizzabili, perchè elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valessero come criterio orientativo per la liquidazione equitativa del danno da perdita al frutto del concepimento subito tanto dalla madre quanto dal padre. In linea con quanto statuito da questa Corte nella pronuncia n. 12717/2015, che ha equiparato la perdita del feto nato morto alla perdita del figlio, ma con dei correttivi, dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta, il giudice a quo ha ritenuto di parametrare la liquidazione nel caso concreto sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perché il figlio era nato morto.
nascita indesiderata - e' la donna a dover dimostrare che se correttamente informata avrebbe abortito
10/06/2020 n. 11123 - SEZIONE TERZA
In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale”. Diversa questione, concernente la valutazione della prova: in tal caso infatti la portata della sentenza risolutiva del contrasto giurisprudenziale, evidenzia la necessità del ricorso alla prova logica -dovendo indagarsi ora per allora un “fatto psichico” qual è la intenzione volitiva-, escludendo chiaramente che la fattispecie normativa introduca una sorta di “relevatio ab onere probandi” introducendo schemi di accertamento legale dei fatti, atteso che “il legislatore non esime in alcun modo la madre dall’onere della prova della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonchè della sua conforme volontà di ricorrervi ” (ibidem, in motivazione, pag. 10), rendendosi comunque necessaria la raccolta di plurimi e distinti elementi fattuali (senza carattere di esaustività: richiesta da parte della donna di esami specifici intesi ad escludere malformazioni; preesistenza di precarie od alterate condizioni di salute psicofisica della donna; condotte da questa tenute in occasione di precedenti gravidanze; pregresse manifestazioni di propositi abortivi in caso di malformazioni fetali; ecc.) indispensabili per poter risalire induttivamente alla prova presuntiva semplice.
responsabilità del primario ospedaliero
29/11/2010 n. 24144 - Cassazione Civile sez III
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso possono cosi’ ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
M.P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Perugia la ULSS Valle Umbra Sud di Foligno, C.G.P. e N.U. al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni a lei derivate dalle modalita’ con le quali il (OMISSIS) i medici dell’ospedale l’avevano fatta partorire.
Resistettero i convenuti, in vario modo contestando l’avversa pretesa.
Con sentenza depositata il 28 luglio 2001 il Tribunale di Perugia condanno’ C.G.P. e la ULSS Valle Umbra Sud al pagamento in favore dell’attrice della somma di l. 451.277.300, da devalutarsi e poi rivalutarsi, oltre interessi.
Su gravame principale del C.G. e incidentale della Gestione Liquidatoria della ULSS Valle Umbra Sud e di M.P., la Corte d’appello di Perugia, in data 31 maggio 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, ha determinato in Euro 98.454,75 la somma spettante alla M. a titolo di danni, condannando al relativo pagamento oltre a C.G.P. e alla Gestione Liquidatoria della ULSS Valle Umbra Sud, anche il primario N. U..
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione M. P. formulando tre motivi.
Resistono con autonomi controricorsi B.M.R., C.G.A. e C.G.B., eredi di C.G. P., N.U. e la ULSS Valle Umbra Sud, gli eredi di C.G. e il N. proponendo altresi’ ricorsi incidentali affidati, entrambi, a due motivi.
In risposta al ricorso incidentale del N. hanno poi notificato controricorso sia B.M.R., C.G. A. e C.G.B., sia M.P., sia la ULSS Valle Umbra Sud. La M. ha anche notificato controricorso a quello della ULSS Valle Umbra Sud.
Tutte le parti, infine, hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da M.P., dagli eredi di C.G.P., e da N.U. avverso la stessa sentenza.
1.1 Col primo motivo M.P. denuncia mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo della controversia nonche’ violazione degli artt. 1223, 1224, 1225, 1226 e 2059 cod. civ.. La critica si appunta contro la quantificazione dei danni operata dal giudice d’appello, evidenziandosi al riguardo come contraddittoriamente la Corte territoriale abbia ritenuto eccessivo l’importo liquidato a titolo di danno biologico e di danno morale pur dopo avere riconosciuto l’inadeguatezza del criterio tabellare a ristorare i pregiudizi patiti dalla paziente. In tale contesto, in base a un astratto criterio di ragionevolezza e quindi, in sostanza, senza alcuna motivazione, il danno morale era stato quantificato in L. 100.000.000, da sommarsi con il danno biologico tabellare.
1.2 Col secondo mezzo la ricorrente lamenta mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo della controversia nonche’ violazione degli artt. 1223, 1.224, 1225, 1226 cod. civ.. Oggetto della censura e’ il capo della sentenza impugnata che ha rigettato l’appello incidentale della M. in relazione al mancato riconoscimento del danno patrimoniale. Secondo la ricorrente le ragioni addotte al riguardo dal giudice d’appello – e cioe’, da un lato, il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva escluso una perdita della capacita’ lavorativa specifica, senza che nessuna seria contestazione fosse stata formulata sul punto dall’appellante, e, dall’altro, la mancata dimostrazione di un lucro cessante rapportabile al fatto – farebbero malgoverno della difese articolate dalla parte. Nei propri scritti difensivi la M. aveva invero evidenziato che la incapacita’ lavorativa specifica – consistente nel concreto venir meno della capacita’ di guadagno in relazione alla attivita’ lavorativa in atto – si differenzia dalla incapacita’ lavorativa generica, la cui lesione e’ compresa nel danno biologico (Cass. 12 settembre 2000, n. 12022), segnatamente precisando che la prova relativa al danno patrimoniale ben poteva essere data anche in via presuntiva, purche’ fosse certa la perdita della capacita’ lavorativa specifica. La contraddittorieta’ della decisione del giudice di merito sarebbe visibile a sol considerare che era stata positivamente valutata l’incidenza dei danni subiti dalla M. sulla sua capacita’ patrimoniale, il che non poteva non condurre a una decisione positiva anche con riguardo al risarcimento per perdita della capacita’ lavorativa specifica.
1.3 Col terzo motivo l’impugnante deduce mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo della controversia nonche’ violazione degli artt. 1223, 1224, 1225, 1226 e 2059 cod. civ. Lamenta, in sostanza, che la Corte d’appello non abbia dato alcuna risposta al motivo di gravame col quale era stato impugnato il mancato riconoscimento del danno alla sfera sessuale e, segnatamente, del danno derivante dalla impossibilita’ ai avere altri figli.
2 Nel loro controricorso B.M.R., C.G. A. e C.G.B., eredi del dott. C.G. P. eccepiscono preliminarmente l’inammissibilita’ del ricorso principale per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, e, segnatamente, per mancata indicazione delle parti, le quali non sarebbero identificabili con certezza neppure in base al contesto complessivo del ricorso e degli atti dei precedenti gradi di giudizio.
2.1 Col primo motivo del ricorso incidentale lamentano poi violazione degli artt. 1218 e 2236 cod. civ., insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilita’ del loro dante causa. Sostengono che ogni colpevolezza dello stesso doveva essere esclusa perche’, contrariamente a quanto affermato dal c.t.u. e, apoditticamente, dal decidente, non vi era alcun serio elemento che imponesse il ricorso al taglio cesareo. Richiamano le indicazioni della letteratura scientifica in materia nonche’ la ricostruzione dei fatti e le argomentazioni svolte dal consulente di parte, lamentando l’assoluto silenzio serbato sul punto dalla Corte d’appello e il conseguente vizio motivazionale.
2.2 Col secondo mezzo gli impugnanti denunciano violazione degli artt. 1223, 1227 e 2697 cod. civ. nonche’ insufficienza della motivazione per avere il giudice di merito escluso ogni corresponsabilita’ della M. nella verificazione dell’evento lesivo, benche’, secondo gli esponenti, tale profilo risultasse in modo oggettivo dai fatti di causa. Evidenziano che la paziente aveva interrotto, contro il parere dei sanitari, la degenza;
sospeso la terapia antibiotica; rifiutato di farsi visitare, arrivando a togliersi da sola un punto di sutura; omesso di ricorrere, quanto prima, alla chirurgia plastica ricostruttiva della parte lacerata, la quale avrebbe ridotto gran parte degli inconvenienti lamentati. Tale condotta, a giudizio dei ricorrenti, costituirebbe concausa efficiente nella produzione del danno (art. 1227 c.c., comma 1) o concorso del danneggiato nella determinazione di pregiudizi che lo stesso avrebbe invece potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c., comma 2).
3 N.U. solleva in limine, con riferimento alla impugnazione della M., due eccezioni.
Da un lato, ne sostiene l’inammissibilita’ ex art. 366 cod. proc. civ., per mancata indicazione delle parti in causa, del loro domicilio e della loro rappresentanza, in sostanza aderendo alla eccezione sollevata dagli eredi del dott. C.G.. Dall’altro, oppone il giudicato interno, deducendo che la sentenza di primo grado, la quale lo aveva mandato assolto, non era stata ritualmente impugnata nei suoi confronti, perche’ la M., nel costituirsi nel giudizio di gravame, aveva si’ proposto appello incidentale sul quantum del danno che le era stato liquidato nonche’ sulla mancata condanna del N., ma aveva omesso di notificargli la comparsa, come pur sarebbe stato necessario, in base al disposto dell’art. 292 cod. proc. civ., essendo egli contumace, ne’ aveva ottemperato all’ordine di notifica impartito dal consigliere istruttore. Il N. articola poi i seguenti due motivi di ricorso.
3.1 Col primo deduce violazione degli artt. 345 e 292 cod. proc. civ., reiterando l’eccezione di inammissibilita’ per omessa notifica dell’appello principale della M. e degli appelli incidentali contro di lui proposti, nonche’ contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo della controversia. Ricorda che l’appello principale, ritualmente notificatogli, era stato proposto dal dott. C.G.P., il quale, nei motivi, aveva altresi’ lamentato il mancato riconoscimento della responsabilita’ concorrente del primario, e cioe’ del medesimo N.. Ma il gravame era, in parte qua, inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ., perche’ mai il dott. C.G.P. aveva chiesto in prime cure il riconoscimento della corresponsabilita’ del N. e neppure lo aveva fatto la ULSS. Ne derivava che l’appello incidentale della M. non poteva atteggiarsi come semplice adesione al gravame del C.G. e andava, pertanto, notificato al contumace.
3.2 Col secondo mezzo il N. denuncia mancato esame e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.
Oggetto della censura e’ l’affermata sussistenza della sua responsabilita’ in quanto primario del reparto di ostetrica e ginecologia, tenuto, in forza del disposto del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 63 e D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 7 in via preventiva e generale, a emanare direttive appropriate in ordine alle situazioni in cui andava praticato il taglio cesareo; a vigilare sull’attivita’ dei dipendenti, prima, durante e dopo il parto; ad assumere specifiche informazioni su ogni degente del reparto, controllando l’esattezza e la congruita’ delle terapie praticate.
Secondo la Curia territoriale tutto cio’ nella fattispecie non era avvenuto, avendo piuttosto il N. approvato e convalidato l’operato del suo assistente nella due relazioni versate in atti, rispettivamente, del 16 dicembre 1992 e del 16 settembre 1994, cosi’ condividendone pienamente la responsabilita’.
Riportati ampi stralci della sentenza del Tribunale, che aveva respinto la domanda proposta nei suoi confronti, evidenzia l’impugnante che la Corte aveva omesso di prendere in considerazione tutte le circostanze emerse nel giudizio – e cioe’ che il primario non era presente neppure al momento del ricovero e che la cartella clinica che ebbe ad esaminare era falsata, in quanto priva di dati rilevanti – e di considerare, nella medesima prospettiva, che la M. lascio’ volontariamente il nosocomio. Erroneamente erano poi state valorizzate le relazioni tecniche da lui redatte perche’ esse, compilate nella totale ignoranza di quanto realmente accaduto, avevano comunque natura di meri atti difensivi.
4 La ULSS Valle Umbra Sud, cessata ai sensi della L.R. Umbra 4 gennaio 1995, n. 1, art. 10 costituita in giudizio in persona del Commissario Liquidatore, nel resistere al ricorso per cassazione di M.P., e al ricorso incidentale tardivo del N., eccepisce, in via preliminare, la nullita’ del primo, per omessa notifica alla Gestione Liquidatoria della soppressa ULSS, unico soggetto passivamente legittimato a resistere; e l’inammissibilita’ del secondo, ex art. 334 c.p.c., comma 2.
5 Infine M.P., nel controricorso al ricorso incidentale di N.U., oppone la nullita’ della procura, in quanto apposta su un foglio separato dal controricorso e privo di qualsivoglia riferimento al giudizio per il quale era stata conferita.
6 Vanno preliminarmente affrontate e risolte le questioni pregiudiziali hinc et inde sollevate, con esclusione soltanto di quella volta a far valere il giudicato interno, opposta dalla difesa del N., questione che si presta a essere esaminata insieme al primo motivo del ricorso incidentale proposto dallo stesso.
6.1 L’eccezione di inammissibilita’ dell’impugnazione della M. per mancata indicazione delle parti, sollevata in limine dalla difesa degli eredi del dott. C.G. e fatta propria anche dalla difesa del dott. N., e’ destituita di fondamento per le ragioni che seguono.
Questa Corte ha ripetutamente statuito che, ai fini dell’osservanza del disposto dell’art. 366 cod. proc. civ. – a tenor del quale il ricorso per cassazione e’ inammissibile qualora manchi o sia assolutamente incerta l’identificazione delle parti contro cui l’impugnazione e’ diretta – non e’ necessario che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi o che siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 cod. proc. civ., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco, ancorche’ implicito, dal contesto del ricorso, nonche’ dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza gli intimati (Cass. civ., 7 settembre 2009, n. 19286; Cass. civ., 3 settembre 2007, n. 18512).
Nella fattispecie l’individuazione dei destinatari dell’impugnazione principale emerge in maniera inequivocabile dal dispositivo della sentenza della Corte d’appello riprodotta nella prima pagina dell’atto, e cio’ tanto piu’ che, essendo le censure limitate al solo quantum, le parti intimate non possono che essere tutte e solo quelle condannate nel giudizio di merito.
6.2 Neppure ha pregio la dedotta nullita’ del ricorso della M. per omessa notifica alla Gestione Liquidatoria della soppressa ULSS Valle Umbra Sud n. (OMISSIS), unico soggetto passivamente legittimato a resistere.
Il ricorso risulta per vero notificato alla ULSS Valle Umbra Sud in persona del Commissario Liquidatore dott. Ma.Lu. e cioe’ esattamente all’Ente costituito nel giudizio di appello e ora in quello di cassazione, mentre del tutto irrilevante e’ che esso sia stato evocato con l’indicazione del legale rappresentante piuttosto che dell’organo rappresentato.
Ne deriva che anche la connessa eccezione di inammissibilita’ (id est inefficacia), ex art. 334 c.p.c., comma 2, del ricorso incidentale tardivo del N., deve essere respinta.
6.3 Priva di fondamento e’ poi l’eccezione, proposta dalla difesa della M., di nullita’ della procura conferita dal N..
Questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che la procura per il ricorso per cassazione e’ validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialita’ di cui all’art. 365 cod. proc. civ., anche se apposta su di un foglio separato, purche’ materialmente unito al ricorso, e tanto quand’anche essa non contenga alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, atteso che, ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), l’apposizione topografica della procura e’ idonea – salvo diverso tenore del testo di cui si compone – a fornire certezza della sua provenienza dalla parte e a farne presumere la riferibilita’ al giudizio cui l’atto accede (Cass. civ. 19 dicembre 2008, n. 29785).
Nella fattispecie, esaurita la ventesima pagina del controricorso, la procura risulta apposta in testa al ventunesimo foglio dello stesso, foglio peraltro saldamente spillato agli altri. In tale contesto, nessuna incertezza puo’ esservi sulla sua riferibilita’ all’atto al quale accede.
7 Passando ad esaminare nel merito le proposte impugnazioni, si ritiene opportuno partire dalle censure svolte nei ricorsi incidentali degli eredi del dott. C.G. e del dott. N. U., in quanto involgenti questioni relative all’an dell’azionata pretesa risarcitoria, logicamente preliminari, dunque, alle problematiche inerenti al quantum.
8 I due motivi del ricorse incidentale di B.M.R., di C.G.A. e di C.G.B., che si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati.
L’affermazione della responsabilita’ del dott. C.G.P. e’ scaturita dal rilievo, suffragato dal parere del consulente tecnico, che la grave scoliosi dorso – lombare con asimmetria del bacino, dalla quale era affetta la M., imponeva l’adozione del parto cesareo, per le prevedibili difficolta’ di fuoriuscita del feto e per le eventuali lacerazioni di parti molli in relazione a manualita’ compressive, rischio certamente presente anche in parti del tutto normali, ma di gran lunga maggiore nella fattispecie. In tale contesto, l’opzione per il parto naturale era stata, secondo il giudicante, una imperdonabile leggerezza, anzi una vera imprudenza, tanto piu’ grave in quanto il C.G., che era lo specialista di fiducia della M., non poteva ignorare la particolare conformazione fisica della sua paziente. A tale negligenza andava poi aggiunta quella di non avere tempestivamente effettuato una adeguata terapia antibiotica, consentendo, in un territorio ad alta infettivita’, l’attecchimento di germi patogeni.
Quanto al riconoscimento del concorso del fatto colposo del creditore nella produzione del danno, ex art. 1227 cod. civ., la Corte territoriale ne ha negato i presupposti, evidenziando, in punto di fatto, che la paziente aveva lasciato l’ospedale dopo ben cinque giorni di degenza, durante i quali le era stata somministrata una terapia antibiotica inadeguata; che era uscita dal nosocomio proprio per sottoporsi a cure piu’ rispondenti alle proprie esigenze; infine, che l’intervento di chirurgia plastica aveva solo potuto ridurre i danni, ma non eliminarli e tanto per l’imponenza delle lesioni, non gia’ per il tempo trascorso dal momento in cui le stesse si erano prodotte.
8.1 Ritiene il collegio che l’apparato argomentativo col quale il giudice di merito ha motivato il suo convincimento sia completo, logicamente corretto ed esente da aporie o da contrasti disarticolanti con le emergenze fattuali di riferimento. Le critiche dei ricorrenti non colgono quindi nel segno, risolvendosi esse, a ben vedere, nella prospettazione di una ricostruzione della serie causale produttiva dei danni dei quali l’attrice ha chiesto il ristoro, alternativa rispetto all’apprezzamento espresso al riguardo dal decidente sulla base del parere del consulente. Ed e’ massima consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non c’e’ ragione di discostarsi, che, quando il giudice del merito aderisce alle conclusioni dell’esperto che nella sua relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, di modo che le critiche che tendano al riesame di elementi di giudizio gia’ valutati dall’ausiliario, si risolvono in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione, ne’, a maggior ragione, quello di violazione di legge (Cass. civ., 3 aprile 2007, n. 8355). Con particolare riguardo, poi, alla sussistenza dei presupposti per la limitazione dell’entita’ dei danni che i convenuti sono stati chiamati a risarcire, in ragione del concorso del fatto colposo della M. nella loro eziologia, i rilievi formulati dai ricorrenti implicano, ancora una volta, una diversa ricostruzione della fattispecie, e quindi una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimita’. Si ricorda, in proposito, che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittorieta’ della motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioe’ l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono pero’ mai consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo, salvo i casi, tassativamente previsti, in cui e’ la legge stessa ad assegnare alla prova un certo valore (confr. Cass. civ. 6 marzo 2008 n. 6064).
9 Passando all’esame dell’impugnazione del N., prive di pregio sono anzitutto le deduzioni. volte a sostenere l’inammissibilita’ del gravame sotto il profilo della mancata, corretta instaurazione del contraddittorio e del conseguente passaggio in giudicato del rigetto della domanda formulata nei suoi confronti: deduzioni che, per quanto esposto innanzi, oltre a essere state svolte in via preliminare, sono oggetto del primo motivo del ricorso incidentale.
A confutazione delle stesse e’ sufficiente rilevare che, mentre la corresponsabilita’ del N. nella produzione dell’evento lesivo rientrava nella causa petendi delle richieste avanzate dall’attrice in prime cure, l’impugnante neppure ha chiarito quali pregiudizi sarebbero, in concreto, derivati all’esplicazione del suo diritto di difesa, dalla mancata notifica della comparsa della M., pacifico essendo, peraltro, che egli si. e’ regolarmente costituito in appello, senza incorrere in preclusioni o decadenze.
Ne deriva che l’allegata violazione delle regole del contraddittorio e’ speciosa e priva di consistenza.
9.1 Neppure hanno fondamento le censure al positivo apprezzamento della incidenza causale della condotta del primario nella determinazione dei danni lamentati dalla M.. Con esse il ricorrente torna a ribadire la propria estraneita’ ai fatti, erroneamente negata dal giudice a quo, atteso che egli, che non aveva presenziato ne’ al ricovero, ne’ al parto, si era per altro verso trovato nell’impossibilita’ di avere contezza delle complicazioni dilacerative verificatesi durante l’espulsione de feto, in ragione della loro mancata menzione nella cartella clinica e del volontario abbandono del nosocomio da parte della paziente.
Trattasi di censure eccentriche rispetto al nucleo motivazionale della sentenza impugnata, basato, in parte qua, proprio sulla consustanziale incompatibilita’ degli oneri e delle responsabilita’ connesse alla posizione apicale del primario con la deduzione di una sua ignoranza di quante avvenuto in reparto e delle situazioni cliniche dei degenti.
Il giudice di merito ha invero affermato che le esimenti invocate dal N. non escludevano, ma semmai confermavano la sua colpevolezza, posto che lo stesso avrebbe dovuto, in via preventiva e generale, emanare direttive appropriate in ordine alle situazioni in cui era necessario ricorrere al taglio cesareo li e, comunque, vigilare sull’attivita’ dei propri subordinati prima, durante e dopo il parto, assumendo specifiche informazioni su ogni caso presente in reparto e controllando la congruita’ delle terapie praticate.
Ora, cosi’ argomentando, il giudice di merito ha fatto coerente e corretta applicazione de, principio, ripetutamente affermato da questa Corte, e pienamente condiviso dal collegio, in base al quale il primario ospedaliero, che, ai sensi del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, art. 7 ha la responsabilita’ dei malati della divisione e il connesso obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici, che gli aiuti e gli assistenti devono seguire – deve avere puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano i degenti nonche’ delle iniziative intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, a prescindere dalle modalita’ di acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o a mezzo di interpello degli operatori sanitari) e indipendentemente dalla responsabilita’ di questi ultimi, e tanto allo scopo di vigilare sulla esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze (confr. Cass, civ. 30 giugno 2005, n. 13979; Cass. civ. 18 maggio 2001, n. 6822). 10 Resta da esaminare il ricorso principale di M.P..
Le critiche svolte nei motivi, che si prestano a essere esaminate congiuntamente in quanto connesse, sono infondate.
Esse hanno ad oggetto l’entita’ della somma liquidata dal giudice di merito a titolo di risarcimento darmi, somma determinata in L. 60.885.000, per il danno biologico, in base al criterio tabellare; in L. 100.000.000, per il danno morale; in L. 9.750.000, per invalidita’ temporanea assoluta e parziale; e in L. 20.000.000, per esborsi in relazione a cure successive, tenuto anche conto che, in. conseguenza delle lesioni riportate, la M. rimase completamente lontana dalla sua professione per almeno tre mesi.
Con particolare riferimento al danno morale, ha osservato il giudice di merito che, a fronte di un massimo tabellare fissato in L. 30.000.000, palesemente incongruo, in ragione della peculiarita’ della fattispecie, la decuplicazione operata dal giudice di merito – che lo aveva liquidato in L. 300.000.000 – era tuttavia eccessiva di talche’ piu’ ragionevole appariva l’attribuzione dell’importo di L. 100.000.000.
A fronte di tale apparato motivazionale, ritiene il collegio che il giudice di merito non solo ha adeguatamente esplicitato le ragioni della scelta operata in dispositivo, ma della stessa ha offerto una giustificazione niente affatto arbitraria e implausibile.
Valga al riguardo considerare che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimativita’, e’ suscettibile di rilievi in sede di legittimita’, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se la giustificazione della decisione difetti totalmente, o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza, o, ancora, sia radicalmente contraddittoria (Cass. civ. 26 gennaio 2010, n. 1529;
Cass. 8 novembre 2007, n. 23304).
Quanto poi alle doglianze in punto di mancato riconoscimento del danno patrimoniale, e’ sufficiente rilevare che la Corte territoriale ha motivato la sua decisione richiamando il parere dell’ausiliario, che aveva escluso qualsivoglia perdita di capacita’ lavorativa specifica. E in proposito neppure e’ troppo chiaro il senso delle critiche formulate dalla ricorrente la quale, pur dando atto della differenza tra perdita di capacita’ lavorativa generica – risarcita attraverso il riconoscimento del danno biologico – e perdita della capacita’ lavorativa specifica, sembra voler apoditticamente e automaticamente inferire l’esistenza di quest’ultima dalla prima.
10.1 Infine, a confutazione delle critiche formulate dalla M. in ordine al preteso, mancato riconoscimento del danno alla sfera sessuale e di quello derivante dalla impossibilita’ di avere altri figli, e’ sufficiente ribadire, in piena adesione alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che la persona umana e i suoi diritti fondamentali costituiscono un unicum inscindibile, di talche’, quando tali diritti siano lesi ed abbiano provocato un pregiudizio non patrimoniale (altrimenti detto danno morale), uno ed unitario e’ il danno ed uno e unitario deve essere il risarcimento, ferma restando la necessita’ che il giudice di merito, nella quantificazione, tenga conto di tutte le concrete conseguenze dannose del fatto illecito (confr. Cass. civ. 14 ottobre 2008, n. 25157). Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce invero una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, di talche’ costituisce una duplicazione risarcitoria la liquidazione del danno biologico separatamente da quello ed. estetico, da quello alla vita di relazione o da quello cosiddetto esistenziale (confr. Cass. civ. sez. un. 11 novembre 2008, n. 26972).
Venendo al caso di specie, e’ di immediata evidenza che, attribuendo a titolo di danno morale la somma di L. 100.000.000, piu’ che tripla rispetto a quella risultante dall’applicazione dei criteri tabellari, la Corte territoriale ha tenuto conto di tutti i pregiudizi prodotti dall’evento lesivo nella sfera areddituale della M., ivi compresi quelli inerenti alla attivita’ sessuale della stessa.
Non ha dunque pregio la deduzione della mancata risposta della Curia territoriale ai rilievi formulati in proposito nei motivi di gravame, pacifico essendo che il giudice non e’ tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. civ., 12 gennaio 2006, n. 407).
Per le ragioni esposte tutti i ricorsi devono essere rigettati.
L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensarne integralmente tra le parti le spese.
P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta tutti. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2010
responsabilità professionale- responsabilità per colpa grave- danno erariale- ginecologo- ostetriico
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