spese straordinarie imprevedibili e rilevanti: strumenti processuali per ottenerne il rimborso

13/01/2021 n. 379 - Sezione Prima

1. Il Giudice di Pace di Bassano del Grappa, con la sentenza n. 498 del 2013, in accoglimento della domanda proposta da AAAA nei confronti di BBBB, genitori naturali della minore CCCC, nata l'(OMISSIS), affetta da “Trisomia 21”, pronunciando in un giudizio di opposizione a precetto al primo intimato per l’importo di Euro 1.747,14 a titolo di pagamento delle spese straordinarie, rispetto alle quali era stato riconosciuto l’obbligo di contribuzione del padre nella misura del 50%, annullava il precetto opposto.

Il giudice di primo grado riteneva infatti che perché le spese straordinarie potessero essere oggetto di esecuzione forzata ne occorresse l’accertamento in una autonoma sede giudiziale, non potendo intendersi come immediatamente esecutivo il provvedimento cautelare del Tribunale di Padova che, adito in via d’urgenza dalla madre, aveva altresì determinato l’ammontare dell’assegno mensile di mantenimento dovuto dal padre in Euro 424,00.

2. Su appello di BBBB, il Tribunale di Vicenza con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta, escluse le spese per l’acquisto di quaderni e materiale di cancelleria, per un importo pari ad Euro 43,45, e ridotto in pari misura il precetto, ha qualificato, nel resto, come straordinarie le altre spese, confermando così la residua somma portata nel titolo opposto.

3. Ricorre per a cassazione della sentenza di appello AAAA con sei motivi. Resiste con controricorso C.D.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-ibis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 474 c.p.c. e quindi la carenza di un titolo esecutivo. Le somme portate in precetto a titolo di, rimborso spese straordinarie non costituivano un diritto certo, liquido ed esigibile.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente inteso la giurisprudenza della Corte di Cassazione, confondendo, in materia di ripetibilità di esborsi sostenuti dal genitore per il figlio, gli stilemi “spese ordinarie” e “spese straordinarie”.

2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione di legge in cui era incorso il tribunale nell’interpretazione fornita della nozione di “spese straordinarie”.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente; il giudice di appello aveva qualificato come “straordinarie” e quindi ricomprese nel titolo le spese scrutinate con ragionamento apodittico. Non vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” il giudice di secondo grado non aveva adempiuto all’obbligo della “motivazione rafforzata”.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il tribunale dato risposta alle eccezioni proposte dall’appellato.

5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 700 c.p.c. e degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. In via preliminare dei motivi che vanno dal secondo al sesto va data una valutazione in termini di inammissibilità.

S tratta infatti di critiche con cui il ricorrente introduce, prima facie, per un giudizio che involge, all’esito di una loro lettura, complessivamente e partitamente i motivi proposti, oltre che capillari e defatiganti contestazioni in fatto sulle singole spese precettate, un coacervo di questioni d’indole sostanziale e processuale – che si vogliono sostenute, anche, dal riferimento ad autori di dottrina le cui opere sono riportate nel corpo del ricorso per brani virgolettati delle quali non viene neppure indicata la fonte.

I motivi sono così portatori di una torrenziale quantità di questioni che inserite nelle cinquantadue pagine di sviluppo del ricorso omettono di definire dei primi i contenuti, in tal modo sottraendosi all’osservanza stessa della tipizzazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il richiamo a questioni “multiple” e “a grappolo” all’interno di ogni motivo, quasi nell’intento del ricorrente di contestare quanto più possibile ogni profilo dell’impugnata sentenza, in una sorta di affannosa rincorsa ad aggiunte che si vorrebbero finalizzate ad una sempre più puntuale critica, propone, invece, nei suoi faticosissimi passaggi, segnati anche da una discorsività che dei primi lascia pure sbiadire il contenuto, una disorientante lettura che non consente di saggiare dei motivi neanche a portata.

Al di là della osservata tecnica della numerazione – peraltro neppure essa puntualmente seguita, atteso che alla relativa titolazione dei motivi si accompagna, anche, il richiamo a non meglio precisate note commento -, non è possibile dei motivi apprezzare finanche l’effettiva consistenza, nella mancanza di una loro autonomia ed autosufficienza.

Nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che in negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, prospetti una pluralità di questioni in diritto precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate è inammissibile richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, in violazione del dovere di terzietà del e attraverso una propria selezione dovrebbe individuare, per ciascuna delle doglianze, l’atteggiarsi dello specifico vizio di violazione di legge.

8. Operata l’indicata premessa, resta al sindacato di questo Collegio lo scrutinio del primo motivo di ricorso che, infondato, per le ragioni di seguito indicate, va rigettato.

9. Segnatamente, viene alla valutazione di questa Corte di Cassazione per l’indicata censura, la questione relativa a caratteri e contenuti di cui deve godere, in modo imprescindibile, il titolo esecutivo e l’atteggiarsi dei primi là dove si discorra del rapporto tra assegno forfettizzato, stabilito in sede giudiziale o consensuale, per il mantenimento del figlio e contributo dei genitori alle spese straordinarie (scolastiche e mediche) solo in misura percentuale nel primo richiamate.

Per l’indicato percorso va più puntualmente, saggiata la capacità del titolo di condanna alla corresponsione dell’assegno di contributo al mantenimento (art. 337 ter c.c., comma 4) a sostenere, ed in quali limiti, anche le spese straordinarie fissate solo in misura percentuale a carico dei genitori e quindi la necessità, o meno; per colui che si trovi ad anticipare quelle spese di munirsi, per ottenere delle prime il rimborso, di un nuovo titolo attraverso un autonomo accertamento giudiziale, o ancora, di concludere un diverso accordo con l’altro genitore.

10. Il principio da cui muovere è quello per il quale, il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore esaurisce per ciò stesso il proprio diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo un altro titolo contro il medesimo debitore per la medesima ragione ed oggetto semprechè, però, il comando sia idoneamente delimitato e quantificato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l’oggetto, o comunque lo possa essere in forza di elementi in modo idoneo indicati nel titolo stesso ed all’esito di operazioni meramente materiali o aritmetiche (sul principio, ex multis: Cass. 06/06/2003 n. 9132, Cass. 5/02/2011, n. 2816).

10.1. La regola, d’indole generale, va poi declinata nella fattispecie in esame – in cui e in contestazione la distinzione tra spese ordinarie e straordinarie di cui sono gravati i genitori nel mantenimento del figlio – per la capacità dell’originario titolo, che abbia statuito anche sul contributo mensile forfettizzato al mantenimento dei figli, di sostenere negli effetti esecutivi suoi propri, anche le altre spese.

10.2. Il tema è connesso al significato da riconoscersi alle spese straordinarie, sub specie di quelle mediche e scolastiche, in quanto non ricomprese nell’assegno mensile quantificato in modo forfettizzato per il mantenimento del figlio, e ciò nell’intento di realizzare un equo contemperamento tra le ragioni del genitore, creditore anticipatario e quelle dell’altro, tenuto al rimborso “pro quota”, il tutto all’interno di una più generale cornice nella quale si realizza l’interesse del figlio ad essere educato e mantenuto dai genitori nel rispetto delle sue formazioni.

Deve così richiamarsi la distinzione operata da questa Corte di Cassazione tra spese ordinarie e spese straordinarie nel settore degli esborsi scolastici e medici.

Va, sul punto, precisato che la contribuzione alle spese mediche e scolastiche del figlio non va riferita a fatti meramente eventuali perché straordinari e connotati da imprevedibilità e tanto in ragione di un dovere, generalissimo, alla cui osservanza i genitori sono tenuti, che è poi quello di mantenere, istruire ed educare la prole, ai sensi dell’art. 148 c.c., nei cui contenuti, per un fisiologico suo atteggiarsi secondo nozioni di comune esperienza, le prime rientrano.

La necessità di continui esborsi per l’istruzione, richiesti anche da quella pubblica, in rapporto al grado della scuola o istituzione superiore o universitaria, e, ancora, per prestazioni mediche, generiche o specialistiche – rispetto alle quali la variabilità tocca soltanto la misura e l’entità, in rapporto all’incidenza sullo stato di piena salute, e tanto nella normalità del ricorso alle prime anche per controlli periodico – non rientra nella nozione di straordinarietà.

E l’ordinarietà della spesa non può dirsi soffrire di limitazioni nella sua affermazione nell’ipotesi in cui il figlio sia persona portatrice di handicap, potendosi anche per siffatta ipotesi aversi un novero di spese comunque qualificabili come routinarie nel senso indicato, in rapporto alla particolare condizione della persona.

Le spese mediche e scolastiche integrative della categoria delle spese straordinarie sono quegli esborsi (spese per l’acquisto di occhiali; visite specialistiche di controllo; pagamento di tasse scolastiche) che pur non ricompresi nell’assegno periodico di mantenimento tuttavia, nel loro routinario proporsi, assumono una connotazione di probabilità tale da potersi definire come sostanzialmente certe cosicché esse, indeterminate nel quantum e nel quando, non lo sono invece in ordine all’an (in tal senso: Cass. 23/05/2011 n. 11316, in motivazione, parr. 4.1.-4.4.).

10.3. L’operata qualificazione consente di apprezzare, nella fattispecie in esame, con superamento, o meglio puntualizzazione, di diverso indirizzo pure in precedenza fatto proprio da questa Corte di legittimità (vedi in tal senso Cass. 28/01/2008 n. 1758; Cass. 24/02/2011 4543; Cass. 18/1/2017 n. 1161), nella natura routinaria del credito per spese mediche e scolastiche portato in condanna, di cui è preannuncio di esecuzione nell’opposto precetto, l’azionabilità in forza dell’originario titolo.

10.4. Le spese che pur qualificate come straordinarie finiscono per rispondere ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio tanto da assumere nei loro verificarsi una connotazione di certezza, anche se non ricomprese nell’assegno forfettizzato e periodico di mantenimento possono, tuttavia, essere richieste in rimborso dal genitore anticipatario sulla base della loro elencazione in precetto ed allegazione in sede esecutiva al titolo già ottenuto,

senza che insorga la necessità il fare accertare, nuovamente in sede

giudiziale e per un distinto titolo, la loro esistenza e quantificazione.

10.5. In ordine alla distinta ipotesi delle “spese straordinarie”, categoria intesa come residuale ed onnicomprensiva (così: Cass. n. 11316 cit., ibidem), lontana come tale da ogni carattere di ordinarietà e certezza, questa Corte di Cassazione ha chiarito che, tali devono intendersi quelle spese che per la loro rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli e la cui sussistenza giustifica per ciò stesso un accertamento giudiziale specifico dietro esercizio di apposita azione.

In siffatta ipotesi, la ratio che sostiene la non ricomprensione di dette spese nell’ammontare dell’assegno in via forfettaria posto a carico di uno dei genitori è il contrasto che altrimenti si realizzerebbe con il principio di proporzionalità ed adeguatezza del mantenimento sancito dall’art. 337-ter c.c., comma 4, n. 4, ed il rischio di un grave nocumento per il figlio che potrebbe essere privato di cure necessarie o di altri indispensabili apporti, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo” (nel regime definito dall’art. 155 c.c., in tal senso: Cass. 08/06/2012 n. 9372; Cass. 23/01/2020 n. 1562).

10.6. Sulla indicata premessa, di natura classificatoria, al di là quindi della dizione utilizzata nell’impugnata sentenza – che ricalca quella poi quella adottata dal giudice del titolo, che accomuna, tra le altre, all’interno della categoria delle “spese straordinarie” quelle di istruzione (tasse, libri di testo e gite scolastiche) e quelle mediche (con la precisazione, quanto a queste ultime, che deve trattarsi di “spese non coperte dal SSN”) – negli esborsi portati dal titolo giudiziale non si ravvisano voci straordinarie, o comunque imprevedibili, all’epoca di sua formazione.

Tanto nel rilievo, quanto alle spese mediche che la non ricomprensione di una prestazione remunerata dal Servizio Sanitario Nazionale lascia impregiudicato il tema della loro ordinaria rispondenza ai bisogni dei figli, non valendo la sola modalità, resa secondo il diverso regime libero-professionale, a rendere la prestazione inadeguata e come tale non ricompresa nell’originario titolo giudiziale salvo la contestazione sull’adeguatezza ai bisogni da portarsi al medesimo titolo per iniziative da coltivarsi in sede di opposizione.

10.7. E’ necessario pertanto affermare che le formule adottate dai giudici di merito, nelle quali in modo tralatizio si richiama, in aggiunta all’assegno forfettizzato di contributo al mantenimento, la partecipazione di ciascun genitore, in misura percentuale, ad una serie di spese qualificate come straordinarie, ha carattere meramente ricognitivo e pressochè superfluo, nulla predicando di quella natura che resta, invece e sostanzialmente, individuabile in ragione dell’assoluta importanza, imprevedibilità ed imponderabilità delle prime (quali quelle necessarie a sostenere l’esigenza di un intervento chirurgico o poco meno).

Il richiamo alla causale delle spese computate a parte ed in aggiunta alla somma fissa da erogare mensilmente all’altro coniuge, nulla dice circa natura ordinarie delle spese aggiuntive ovvero straordinarie; risolvendosi, nel primo caso, in una componente ulteriore delle erogazioni ordinarie e, nel secondo, nella vera erogazione straordinaria.

Solo le spese straordinarie così connotate ed estranee come tali al circuito della ordinarietà, salvo la loro urgenza, vanno poi concordate tra i coniugi per evitare i conflitti dovuti alla loro unilaterale decisione e, in difetto, richiedono l’accertamento in un autonomo titolo esecutivo.

10.8 Conclusivamente, per l’indicata categoria di spesa ed ai fini della sua ripetibilità da parte del genitore che l’abbia anticipata resta possibile la formazione di un precetto su un titolo integrato da cui risultino, per loro elencazione ed all’esito di mera operazione aritmetica, gli esborsi sostenuti.

Ciò non toglie che quegli importi saranno eventualmente contestabili dal genitore, chiamato a contribuirvi dal preesistente titolo esecutivo, in sede di incidente di cognizione introducibile nelle forme dell’opposizione precetto o all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., per i profili della proporzionalità ed adeguatezza rispetto alle esigenze del mantenimento e, quindi, ai bisogni del figlio.

11. All’esito delle svolte valutazioni deve quindi formularsi il seguente principio di diritto:

“In materia di rimborso delle spese cdd. straordinarie sostenute dai genitori per il mantenimento del figlio, fermo il carattere composito della dizione utilizzata dal giudice, occorre in via sostanziale distinguere tra: a) gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento forfettizzato dal giudice – o, anche, consensualmente determinato dai genitori – e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna adottato in materia di esercizio della responsabilità in sede di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli al di fuori del matrimonio, previa una allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità; b) le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento, richiedono per la loro azionabilità l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico-patrimoniali del genitore onerato e tanto in comparazione con quanto statuito dal giudice che si sia pronunciato sul tema della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, divorzio, annullamento e nullità del vincolo matrimoniale e comunque in ordine ai figli nati fuori dal matrimonio”.

12. Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione degli indicati principi ed il ricorso per cassazione, infondato nei termini indicati, va pertanto respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicate.

Si dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente AAAA a rifondere a BBBB le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17; va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

stop all'assegno di mantenimento se i figli hanno iniziato a lavorare

06/04/2020 n. 1910 - ROMA

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza n. 308/19 pubblicata in data 1.3.2019, il Tribunale di Civitavecchia, decidendo sul ricorso depositato il 17.02.2014 da XXXX, ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto tra le parti, disponendo la revoca dell’assegnazione della casa familiare alla ricorrente, la cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere alla madre l’assegno di mantenimento in favore dei figli con decorrenza dal mese di febbraio 2019, con la condanna della ricorrente a rifondere a favore del resistente le spese di lite, atteso il rigetto delle sue istanze accessorie alla pronuncia di status.

Avverso tale decisione, con ricorso depositato in data 19.6.2019, ha proposto appello YYYY, chiedendo la parziale riforma della sentenza, limitatamente al capo 2) della decisione, con esclusivo riferimento alla decorrenza della dichiarata cessazione del suo obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento per i figli.

Egli lamenta, infatti, che la sentenza impugnata, pur avendo accertato che ambedue i figli avevano iniziato a lavorare sin dal 2017, abbia fissato la decorrenza della cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli, dalla pubblicazione della sentenza di divorzio nel febbraio 2019. Le censure dell’appellante si articolano su due motivi:

-Violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. e dell’art. 4, comma 13, l. n. 898 del 1970 , poiché la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, nel caso di revisione delle condizioni del divorzio ai sensi dell’art. 9 l.n. 898/90, gli effetti della pronuncia decorrono dalla domanda di revisione, in virtù del principio secondo cui un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio;

-Violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112 e 190 c.p.c., poiché la sentenza, pur dando atto che la ricorrente all’udienza di precisazione delle conclusioni aveva rinunciato alle domande di contenuto patrimoniale, avrebbe dato ingresso a circostanze dedotte dalla ricorrente nella sua comparsa conclusionale, con la quale la stessa aveva allegato la sopravventa condizione di disoccupazione dei figli.

Con l’istanza successivamente depositata in data 26.9.2019, l’appellante, così come preannunciato nelle conclusioni dell’atto di appello riportate in epigrafe , ha chiesto ai sensi dell’art. 351 c.p.c., la sospensione della sentenza impugnata , in relazione allo specifico motivo di appello e, a fondamento della sua istanza di inibitoria, oltre a riproporre gli argomenti esposti nell’atto di appello a fondamento della sua richiesta, ha dedotto, che in data 30.5.2019, XXXX gli avrebbe notificato un atto di precetto, intimandogli il pagamento di € 12.500,00, pari all’importo degli assegni di mantenimento non corrisposti dal luglio 2017 al febbraio 2019.

All’udienza del 28.11.2019, fissata per la trattazione dell’inibitoria, la sospensiva è stata rinviata al 12.3.2020, unitamente al merito, attesa l’omessa notifica del ricorso alla controparte.

Con successivo decreto del 10.3.2020, questa Corte, provvedendo ai sensi del D.L. n. 11/20, art. 2, comma 2 lett. h), ha disposto che l’udienza del 12.3.2020 fosse sostituita dallo scambio di memorie tra le parti, contenenti le rispettive conclusioni, sulle quali la causa sarebbe stata trattenuta in decisione.

L’appellante, che nei termini previamente concessi aveva depositato la prova della regolare notifica alla controparte tanto dell’atto di appello tanto dell’istanza di inibitoria, ha depositato l’ulteriore memoria, con la quale ha ribadito le proprie conclusioni, chiedendo che la Corte trattenesse la causa in decisione.

La parte appellata non si è costituita, sicché ne è stata dichiarata la contumacia all’udienza del 12.3.2020; quindi la Corte ha trattenuto la causa in decisione.

2. L’ appello deve essere accolto, essendo fondate le ragioni poste a fondamento dei motivi di impugnazione proposti.

Risulta dagli atti, che nel corso del giudizio di primo grado, con ricorso del 7.7.2017, YYYY.. ha chiesto la modifica delle condizioni stabilite con la separazione, con la cessazione del suo obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento per i due figli maggiorenni, deducendo che ambedue erano ormai economicamente indipendenti e che, inoltre, la figlia omissis  non convivesse più con la madre.

L’istruttoria svolta nel corso del sub-procedimento, instaurato in seguito a tale istanza, ha accertato, attraverso l’interrogatorio formale della ricorrente e l’audizione dei due figli maggiorenni, che la condizione economica dei figli era mutata e che come, come afferma la sentenza impugnata era  raggiunta la prova della indipendenza economica dei figli delle parti poiché gli stessi hanno confermato di svolgere lavori (JJJJ: “Attualmente lavoro presso una società di gaming che gestisce sale da gioco; sono in part time; ho lavorato presso il supermercato Ipermamily..da luglio 2017 fino a marzo 2018 ho lavorato in amministrazione.. ho iniziato a lavorare al Momoo Republic ma mi hanno licenziata..”; Omissis: “ho lavorato dal dicembre 2015 a luglio 2016 presso la Securitas Metronotte.. da luglio 2016 ho fatto piccoli lavoretti..due mesi ad un museo a Roma, a Natale 2017 ho lavorato in un negozio a Civitavecchia”- v. verbale udienza del 12.09.2018 del giudizio di primo grado) che, seppur saltuari e a tempo determinato, hanno consentito loro di percepire redditi variabili pari circa a € 800,00-/1000,00′.

Sulla base di tali accertamenti, il Tribunale ha dichiarato la cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere alla madre un assegno di mantenimento per i figli, dalla data della pronuncia della sentenza di divorzio, benché le prove espletate avessero dimostrato che l’ingresso dei figli nel mondo del lavoro, seppure con lavori saltuari e a tempo determinato’ fosse avvenuto tempo prima.

Orbene, fermo restando che la retrodatazione della pronuncia di modifica della condizioni della separazione alla data della domanda, è oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice può’ esercitare, con il prudente apprezzamento delle circostanze accertate (precarietà del posto di lavoro, entità del reddito, ecc.), nel caso in esame, non è determinante la valutazione della risultanze istruttorie in relazione alla decisione adottata, quanto piuttosto la circostanza allegata dall’appellante con il secondo motivo di impugnazione.

Ed invero, dal verbale del 31.10.2018, nell’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, la parte XXXX ha rinunciato alle richieste patrimoniali, opponendosi soltanto alla domanda di ripetizione della controparte, in quanto domanda nuova.

Tale circostanza è determinante per l’accoglimento dell’appello, poiché, la domanda proposta in corso di causa per la modifica delle condizioni della separazione in relazione all’obbligo del padre di contribuire al mantenimento dei figli, a fronte di una rinuncia della madre avente diritto a pretendere detto pagamento, segna il discrimine temporale della cessazione dell’obbligo stesso.

Né le circostanze dedotte nella comparsa conclusionale (sopravvenuto stato di disoccupazione di ambedue i figli) possono formare oggetto di valutazione, posto che nella comparsa conclusionale non possono essere dedotti nuovi fatti idonei a modificare le domande precisate nell’udienza di precisazione delle conclusioni (tra le tante, Cass.,2.5.2019 n. 11547).

Pertanto, l’appello deve essere accolto, assorbita l’istanza di sospensiva proposta ai sensi dell’art. 351 c.p.c. e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere riformata, limitatamente alla decorrenza della cessazione dell’obbligo del padre di corrispondere un assegno di mantenimento per i figli, che deve essere retrodatata alla proposizione della domanda di modifica da parte di YYYY, ossia luglio 2017, anziché febbraio 2019.

3. La soccombenza comporta la condanna della parte convenuta al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio, liquidato, come nel dispositivo, in relazione al valore della causa determinato ai sensi dell’art. 13 c.p.c., applicati valori inferiori a quelli medi di cui al D.M. n. 55/2014, come integrato dal D.M. n. 37/2018, in ragione della semplicità delle difese, che non hanno richiesto una specifica attività istruttoria, in conseguenza della mancata costituzione della convenuta.

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da R.G. nei la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 308/2019 del 21.2/1.3.2019, assorbita l’istanza di inibitoria proposta dall’appellante, in accoglimento dell’appello, così dispone :

– Riforma la sentenza appellata limitatamente al capo 2), dichiarando cessato l’obbligo di YYYY di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli con decorrenza dal mese di luglio 2017;.

-Condanna XXXX a pagare in favore dell’appellante, a titolo di rimborso delle spese processuali del presente giudizio di appello, l’importo di € 2.100,00, oltre IVA e Cpa , con

Manda alla cancelleria per la comunicazione della sentenza e per gli adempimenti connessi.

Così deciso in Roma,

Franca Mangano

miglioramento delle condizioni reddituali dell'ex coniuge collocatario del minore giustifica la riduzione del contributo al mantenimento

13/03/2020 n. 7230 - Cassazione Civile - Sezione VI

MASSIMA 

In  riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

FATTO
La Corte di Appello di Catania, con decisione in data 15/11/2017, ha riformato il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale di Siracusa in data 5-7 luglio 2016 in sede di modifica dell’assegno divorzile a favore della moglie ed a carico del marito ed ha ridotto da 350,00 mensili a 280,00 Euro mensili l’importo dell’assegno divorzile per il mantenimento della figlia minore OMISSIS nata dal matrimonio contratto da OMISSIS1 con OMISSIS2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione OMISSIS1 affidato a sei motivi.

A. OMISSIS2 non ha spiegato difese

DIRITTO 
Con il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, tutti contenenti la medesima censura, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 e art. 2727 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche degli ex coniugi nonchè dell’impossibilità per il ricorrente di mantenersi con il solo importo residuo a sua disposizione stabilito dalla Cortei considerato che aveva formato una nuova famiglia e che la compagna dalla quale aveva avuto un figlio aspettava un altro figlio. Il ricorrente evidenziava poi che la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà mentre al contrario il ricorrente aveva avuto altro figlio ed un altro ne aspettava dall’attuale compagna.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 143,155,156 e 2697 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n.7, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5 ed art. 111 Cost., in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche dei coniugi e dei fatti nuovi sopravvenuti. Inoltre, ha ridotto l’assegno con decorrenza solo dalla data di pubblicazione della decisione e non dalla data della domanda. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e art. 92 c.p.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha condannato il Salerai alle spese del primo grado di giudizio e compensato quelle di secondo grado sebbene il ricorso fosse fondato.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112,114 e 115 c.p.c. e art. 2727 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed art. 111 Cost. in quanto il giudice territoriale ha ridotto l’assegno senza motivare in alcun modo e senza indicare gli elementi posti alla base della decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti nel merito la decisione impugnata ha già valutato ed accolto tutte le ragioni del ricorrente: ha preso in considerazione la situazione economica delle parti e tenuto conto dell’incremento reddituale dell’ex-coniuge per cui ha ridotto l’assegno di mantenimento in favore della figlia da 350,00 Euro stabilito dal giudice di primo grado a 280,00 Euro mensili in quanto la ex moglie era divenuta nelle more insegnante di ruolo con uno stipendio di 1.400,00 Euro mensili oltre alla disponibilità dell’appartamento coniugale di comune proprietà, mentre al contrario il ricorrente aveva avuto un altro figlio ed un altro ancora ne aspettava dall’attuale compagna. Nessuna circostanza risulta essere stata trascurata dal giudice territoriale, che ha accolto, con decisione adeguatamente motivata ed immune da vizi logici, la domanda di riduzione del l’assegno.

La decisione impugnata merita quindi di essere confermata.

La decisione deve essere anche confermata in ordine alla decorrenza della riduzione dell’importo dell’assegno.

Infatti Sez. 1-, Sentenza n. 9533 del 04/04/2019 ha stabilito che in riferimento all’adeguamento a seguito delle mutate condizioni patrimoniali dei coniugi: ” La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

Inoltre il motivo di ricorso è infondato anche per le spese di giudizio, date le ragioni delle parti che hanno indotto il giudice a porre a carico del ricorrente le spese del primo grado di giudizio stante l’accoglimento parziale della domanda.

Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d’ufficio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta-prima sezione della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

aumento dell'assegno divorzile solo dopo una valutazione comparativa dei redditi

06/03/2020 n. 6470 - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. XXXX ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui la Corte di appello di Palermo, rigettando il reclamo dalla prima proposto ed in conferma del decreto del locale Tribunale, disponeva a carico dell’ex coniuge, YYYY, l’aumento del contributo per il mantenimento della figlia (già fissato in Euro 850,00 mensili comprensive delle spese di natura straordinarie) sino all’importo di Euro 1.200,00 mensili per il periodo dal (OMISSIS) e quindi dalla data di deposito del ricorso di modifica fino a quella di inizio del rapporto lavorativo della figlia, KKKK, laureata in ingegneria, con una società multinazionale, nell’acquisita autonomia economica della stessa.

La Corte, nel confermare il primo decreto, revocava altresì il contributo del padre a decorrere dall’ottobre 2014 e l’assegnazione della casa coniugale alla ricorrente e, ancora, in parziale accoglimento della riconvenzionale con cui la signora XXXX aveva richiesto l’aumento fino ad Euro 1.950,00, incrementava l’assegno divorzile da 460 Euro a 500 Euro.

Resiste con controricorso YYYY.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e l’omessa comparazione dei redditi delle parti ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.

La Corte di appello di Palermo avrebbe pretermesso una valutazione comparativa dei redditi delle parti, limitandosi ad affermare che l’aumento dell’assegno divorzile avrebbe trovato giustificazione nella revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale senza apprezzare l’esiguità dell’incremento, pari a soli 40 Euro, rispetto all'”enorme sproporzione dei redditi delle parti”, come invece richiesto in reclamo.

Il YYYY era imprenditore commerciale di successo con tenore di vita più che agiato e risorse illimitate ed accresciute rispetto all’epoca del divorzio e la ricorrente un avvocato dalle ben più ridotte disponibilità.

Titolare di sette immobili di pregio, l’ex coniuge dopo il divorzio aveva acquisito la disponibilità di un ulteriore appartamento intestato alla seconda moglie ed il possesso e la disponibilità di una prestigiosa villa in (OMISSIS), utilizzata nella stagione estiva, anch’essa intestata all’attuale seconda moglie.

Si sarebbero incrementate anche le quote di partecipazione del primo alla Sodano s.n.c. e sarebbero intervenute le opere di ristrutturazione di due dei tre punti vendita di calzature ed abbigliamento di proprietà.

2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione dell’art. 337-sexies c.c., in tema di quantificazione dell’assegno divorzile in seguito alla revoca dell’assegnazione dell’ex casa coniugale.

La figlia KKKK si era trasferita da (OMISSIS) a (OMISSIS) per iniziare un rapporto di collaborazione con la KPMG con un contratto di 24 mesi di apprendistato, e, sostenendo ancora gli esami per l’abilitazione all’esercizio della professione, continuava a recarsi mensilmente presso l’abitazione familiare a (OMISSIS) con costi a carico della madre.

La ricorrente sarebbe stata privata di un incremento dell’assegno proporzionato all’onere di reperire una nuova abitazione.

Dalla vendita o dalla locazione della ex casa coniugale nella cui disponibilità era rientrato, il signor YYYY avrebbe tratto un consistente beneficio economico là dove la signora XXXX avrebbe dovuto reperire una diversa soluzione abitativa con conseguente esborso.

3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e art. 337-sexies c.c. e l’assenza di motivazione sul punto.

I giudici di merito avevano ritenuto che la circostanza che i genitori, e quindi anche la ricorrente, non dovessero più mantenere la figlia avrebbe reso congruo l’assegno divorzile senza poi interrogarsi sull’ammontare della quota dei redditi della ricorrente riservata al mantenimento della figlia.

4. I motivi si prestano tutti, ad una valutazione che è in parte di inammissibilità per le ragioni di seguito indicate.

4.1. La ricorrente non deduce quale fosse la quota di reddito riservata al contributo al mantenimento della figlia e tanto nel rapporto di proporzionalità con il padre.

Più puntualmente, la richiedente non allega, nel rispetto del principio di autosufficienza al quale il ricorso per cassazione deve rispondere ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quale somma sia tornata nella sua libera disponibilità all’esito della revoca del contributo per la figlia, ormai autosufficiente, e tanto per consentire a questa Corte di legittimità di apprezzare, nella ridotta consistenza del contributo al mantenimento della figlia revocato, l’incapacità dello stesso, implementato, in modifica, di soli 40 Euro, di consentire quantomeno alla ricorrente di prendere in locazione un bene presso cui risiedere e tanto nella intervenuta, all’esito dell’apprezzata, dai giudici di merito, autosufficienza della figlia maggiorenne, revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale.

4.2. Per i mancati passaggi, non viene indicato il parametro su cui commisurare l’incremento dell’assegno divorzile nella denunciata insufficienza dell’aumento dispostone e per siffatta carenza i motivi proposti, che tutti muovono dalla segnalata inadeguatezza dell’implemento dell’assegno divorzile, soffrendo dell’indicata comune mancanza di autosufficienza, in via diretta o derivata, vanno dichiarati inammissibili.

4.3. La ricorrente va quindi condannata a rifondere al resistente le spese di lite che qui si liquidano, secondo soccombenza, in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020