permesso di soggiorno per motivi umanitari: l'inattendibilità del racconto del richiedente non giustifica il rigetto

21/04/2020 n. 8020 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da XXXX, nato a (Pakinstan), volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. La Corte territoriale riteneva inattendibile il racconto del richiedente – che aveva riferito di temere nel suo paese di essere perseguitato dai talebani, che avrebbero voluto addestrarlo alla guerra santa e a seguito del suo rifiuto ne avevano ucciso il padre rilevandone le contraddittorietà ed incongruenze. Negava quindi il riconoscimento dello status di rifugiato nonché la protezione sussidiaria; riferiva che nel rapporto EASO del 2016 la situazione del Pakistan con riferimento alla regione di provenienza del richiedente appariva critica, registrandosi operazioni a terra da parte delle forze militari pakistane contro gruppi militanti, che avevano continuato attacchi terroristici ed uccisioni mirate, ma che nel report aggiornato all’ottobre 2018 il livello di violenza indiscriminata appariva significativamente ridotto, tanto che il distretto di Nowshera non era preso in considerazione tra i più colpiti da fatti di violenza con esito mortale.

3. Aggiungeva che seppure si profilava un recente radicamento dell’appellante nel territorio nazionale, la complessiva inattendibilità del racconto non dava adeguata contezza di uno sradicamento qualificato nel territorio di origine tale da configurare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro.

4. Per la cassazione della sentenza XXXX, ha proposto ricorso, affidato a due motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.; il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il ricorrente deduce come primo motivo la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, dell’art. 10 Cost., D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,7,14 e 17; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5) comma 6, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte d’Appello valutato compiutamente la situazione personale dell’odierno ricorrente e la documentazione prodotta in ordine alla situazione del Pakistan, per avere motivato in maniera generica ed insufficiente e, infine, per avere omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria. Lamenta che la Corte territoriale, nel negare il riconoscimento della misura di protezione sussidiaria nonché per contraddire il racconto offerto dal richiedente, avrebbe omesso il doveroso vaglio circa la sua credibilità soggettiva e avrebbe omesso di attivare i poteri ufficiosi necessari ad una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale in Pakistan. Sostiene altresì che la Corte d’Appello avrebbe limitato la propria indagine a fonti informative parzialmente non attuali interpretando non correttamente quanto dichiarato alla Commissione territoriale e senza tenere conto di alcune circostanze decisive per la decisione, quale la denuncia sporta nel settembre del 2015 dal padre del ricorrente (che produce).

6. Come secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione è apparente ordine alla valutazione di non credibilità da parte della Corte d’Appello sulla vicenda personale da lui narrata. Sostiene che sarebbe illegittimo il rigetto della richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria basato esclusivamente sulla non credibilità del racconto del richiedente. Sostiene che la reiezione di tale domanda non può essere frutto di un automatismo conseguente al rigetto delle due richieste principali, senza alcuna indagine sulle condizioni poste a base del peculiare soggiorno temporaneo, da rilasciarsi quando ricorrano gravi violazioni dei diritti umani, ancorché non sufficienti ad interare le condizioni per le altre forme di protezione.

7. Il primo motivo di ricorso non è fondato. Questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

8. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositiva, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

9. Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).

10. Nel caso, la Corte d’Appello ha compiuto il dovuto esame delle dichiarazioni del richiedente, vagliandole alla luce delle informazioni attendibili ed aggiornate relative al paese di provenienza, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicché la doglianza relativa alla necessità di procedere ad ulteriore cooperazione istruttoria officiosa costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

11. A tale proposito, occorre ribadire, come precisato da Cass. S.U. 07/04/2014, n. 8053 e 8054, che l’art. 360 c.p.c., n. 51, nella formulazione vigente, configura un vizio specifico denunciabile per cassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

12. Nel caso, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un documento, ovvero della denuncia sporta dal padre del 2015, e non di un fatto storico. Peraltro, neppure riferisce in quale momento e sede processuale tale denuncia sia stata prodotta, sicché la produzione effettuata in questo giudizio di legittimità risulta inammissibile ex art. 374 c.p.c..

13. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato. Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

14. La Corte d’Appello ha motivato il rigetto della domanda di protezione umanitaria sulla base della complessiva inattendibilità del racconto del richiedente, inidoneo a dare adeguata contezza di uno sradicamento qualificato nel territorio di origine, tale da profilare una specifica situazione di vulnerabilità in caso di rientro.

15. Tale soluzione si pone in contrasto con il principio affermato da questa Corte secondo il quale il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva e, se necessario, previa integrazione anche officiosa delle allegazioni del ricorrente, in applicazione del principio di cooperazione istruttoria, in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti (Cass. n. 10922 del 18/04/2019, Cass. n. 21123 del 07/08/2019).

16. Il giudice di merito, a fronte della documentata integrazione in Italia risultante dall’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avrebbe dovuto quindi valutare comparativamente la situazione cui incorrerebbe il richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, in relazione alla situazione ivi presente in tema di compromissione dei diritti umani fondamentali.

17. Segue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, e la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione che dovrà procedere a nuovo esame in coerenza con i principi esposti e dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

18. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

richiesta di protezione internazionale: il giudizio sulla credibilità del racconto non può fondarsi su considerazioni generali o astratte

20/02/2020 n. 4357 - Sezione I

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano Omissis.

A sostegno della decisione ha ritenuto non verosimile il racconto narrato. Il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso da un gruppo terroristico sunnita che, in un assalto presso la sua abitazione durante una cerimonia religiosa, aveva ucciso molti partecipanti alla stessa. Secondo il Tribunale, il racconto è generico perchè “elenca più che descrivere i gravi fatti posti a sostegno del suo espatrio”. Nessuno degli eventi è stata narrato in modo circostanziato. La documentazione prodotta non è di provenienza certa. E’ inverosimile, infine, che il richiedente chè abbia lasciato in patria la moglie ed I figli minori.

Tale valutazione negativa ha portato ad escludere la sussistenza dei requisiti per il rifugio politico e la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla lettera c), dalle fonti consultate, è emersa una situazione critica in Punjab sia in relazione ai conflitti etnici e politici che, in particolare, a quelli religiosi anche in relazione agli attacchi terroristici. Tuttavia questi ultimi sono in calo anche se perdura una situazione d’instabilità creata dalla presenza sul territorio di gruppi affiliati all’IS e dalla presenza di gruppi radicali. Complessivamente però, si può escludere che la regione stia vivendo una situazione di violenza indiscriminata.

In relazione alla protezione umanitaria incide sulla valutazione d’infondatezza il difetto di credibilità e la persistente condizione di clandestinità del richiedente.

Viene proposto ricorso per cassazione dal cittadino straniero. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Sono, preliminarmente, sollevate eccezioni d’incostituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, lett. g) in relazione all’introduzione del rito camerale; della previsione di un termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato e della prescrizione secondo la quale la procura speciale per proporre ricorso per cassazione deve essere conferita successivamente alla comunicazione del decreto impugnato.

Le eccezioni sono manifestamente infondate secondo il costante orientamento di questa Corte così massimato:

in relazione al rito camerale:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.(Cass. 17717 del 2018).

In relazione al termine perentorio di 30 giorni.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento. (Cass. 17717 del 2018; 28119 del 2018).

In relazione alla peculiarità del regime della procura speciale nel giudizio di legittimità:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Cass. 17717 del 2018).

Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere il Tribunale escluso l’esame dei riscontri documentali offerti dalla parte perchè non di provenienza certa così da ritenere che i fatti narrati non fossero circostanziati.

Nel secondo motivo il vizio di violazione di legge è rappresentato in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25 e dell’art. 25 della Convenzione di Ginevra del 1951 dai quali si trae il principio della non compulsabilità delle autorità straniere a fini probatori quando si ritenga che tale attività possa danneggiare il richiedente perchè direttamente od indirettamente responsabili dei fatti narrati.

Nel terzo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 perchè il Tribunale nell’affermare la non veridicità dei fatti narrati non ha applicato i criteri di credibilità indicati dalla norma, in particolare in relazione al giudizio di non valutabilità delle prove offerte.

Nel quarto motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato non essendo stata esaminata dal Tribunale la condizione di perseguitato per motivi religiosi rappresentata dal richiedente.

I primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente ed accolti per quanto di ragione.

Il tribunale ha ritenuto che i fatti narrati dal ricorrente ancorchè “estremamente gravi” non sono stati riferiti in modo circostanziato. I documenti prodotti non costituiscono un supporto a tale deficit perchè non di provenienza certa e le dichiarazioni rese in udienza sono state confermative delle dichiarazioni rese.

La credibilità delle dichiarazioni del richiedente protezione internazionale deve essere valutata alla luce del paradigma stabilito nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e con una giustificazione argomentativa fondata sull’esame concreto delle dichiarazioni rese e non invece su valutazioni astratte. Il giudizio si deve fondare, perchè così richiesto dalla norma, sull’esame effettivo dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni anche in relazione agli sforzi allegativi e probatori del richiedente. E’ da escludere il rilievo ai fini della credibilità intrinseca della conformità delle produzioni documentali ai criteri processuali interni di ammissibilità. La documentazione deve essere “pertinente” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) ma non corredata da particolari attestazioni di conformità all’originale, salva l’evidente e motivata falsità riscontrata o la mancanza dei requisiti minimi perchè quanto prodotto possa essere valutato come documento. Non può pertanto escludersi la ricorrenza del requisito stabilito nel comma 5, lettera a), dell’art. 3 sopracitato ovvero lo sforzo di circostanziare i fatti quando sia stato fornito un supporto documentale preciso (cfr. elenco documenti indicati in ricorso, riprodotti ritualmente) e pertinente omettendo di verificarne la rilevanza sulla base di una valutazione del tutto generica di non utilizzabilità.

Si deve aggiungere che la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 si riscontra anche in relazione agli indici di cui alle lettere b) e c). Non è stato valutato se il richiedente abbia fornito tutti gli elementi pertinenti in suo possesso prima di formulare, nonostante i documenti prodotti, una valutazione d’insufficiente specificazione dei fatti e non è stata neanche adombrata l’incoerenza e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese (lettera c), salvo il richiamo all’aver lasciato la moglie ed i figli minori in Pakistan. Tale indicazione nella tessitura argomentativa della pronuncia impugnata non ha autonomo rilievo ed è stata valutata unitamente al profilo di rilevanza, ritenuta nettamente prevalente, costituito dalla mancanza di riscontri probatori così da escludere che i fatti esposti potessero essere circostanziati.

Sull’obbligo giuridico, scaturente dall’art. 3, di valutare le produzioni documentali, secondo un criterio di pertinenza e non con criteri formalisticamente ispirati ai principi interni in tema di tipicità della prova ed ammissibilità delle produzioni documentali si richiama Cass. 255534 del 2016, così massimata:

“In tema di riconoscimento dello “status” di rifugiato politico o della protezione internazionale, in presenza di eccezioni di contestazione della conformità dei documenti prodotti dal richiedente agli originali e di sostanziale credibilità delle sue dichiarazioni, non opera il tradizionale principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, ma il giudice – prescindendo da preclusioni o impedimenti processuali – ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, se del caso utilizzando canali diplomatici, rogatoriali ed amministrativi, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato la protezione sussidiaria ad un cittadino nigeriano limitandosi ad evidenziare l’inverosimiglianza delle allegazioni, la mancanza di riscontri probatori ed il difetto di autenticità dei documenti prodotti, nonchè abbandonandosi a facili espressioni dubitative in relazione ai fatti narrati, senza assumere alcuna posizione di esame attivo).

Sul rispetto della procedimentalizzazione della credibilità si richiama Cass.26921 del 2017, così massimata:

“In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’ autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale.

Sull’illegittimità di una valutazione di credibilità che si fondi sulla mancanza di riscontri probatori si richiama Cass. 19716 del 2018, così massimata:

“In tema di protezione sussidiaria, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto. (Nella specie, la S.C., ha cassato la sentenza con la quale era stato rigettato il ricorso avverso il diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria, avendo il tribunale ritenuto, senza alcun approfondimento istruttorio, che il timore di danno grave dedotto dal richiedente fosse esclusivamente soggettivo in quanto privo di riscontri obiettivi, e il pericolo non fosse più attuale.)

Il tribunale di Venezia non ha fatto buon governo dei principi interpretativi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sopra richiamati, incentrando il giudizio di non credibilità” su valutazioni astratte e generali, non rivolte al contenuto delle dichiarazioni rese ed alla qualità intrinseca delle stesse rispetto alla situazione oggettiva narrata, non valorizzando lo sforzo di allegazione e prova profuso dal richiedente in ossequio alla prescrizione contenuta nella norma, così da svalorizzare la produzione documentale sulla base di una valutazione negativa fondata sulla mera mancanza di requisiti formali sulla pertinenza della stessa.

All’accoglimento dei primi quattro motivi consegue assorbimento dei rimanenti. Il provvedimento deve essere, in conclusione, cassato con rinvio al giudice del merito in diversa composizione perchè provveda anche sulle spese del presente procedimento.

PQM

Accoglie i primi quattro motivi, assorbiti gli altri, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese processuali del presente procedimento, al Tribunale di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020