permesso di soggiorno per motivi umanitari: l'inattendibilità del racconto del richiedente non giustifica il rigetto

21/04/2020 n. 8020 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da XXXX, nato a (Pakinstan), volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. La Corte territoriale riteneva inattendibile il racconto del richiedente – che aveva riferito di temere nel suo paese di essere perseguitato dai talebani, che avrebbero voluto addestrarlo alla guerra santa e a seguito del suo rifiuto ne avevano ucciso il padre rilevandone le contraddittorietà ed incongruenze. Negava quindi il riconoscimento dello status di rifugiato nonché la protezione sussidiaria; riferiva che nel rapporto EASO del 2016 la situazione del Pakistan con riferimento alla regione di provenienza del richiedente appariva critica, registrandosi operazioni a terra da parte delle forze militari pakistane contro gruppi militanti, che avevano continuato attacchi terroristici ed uccisioni mirate, ma che nel report aggiornato all’ottobre 2018 il livello di violenza indiscriminata appariva significativamente ridotto, tanto che il distretto di Nowshera non era preso in considerazione tra i più colpiti da fatti di violenza con esito mortale.

3. Aggiungeva che seppure si profilava un recente radicamento dell’appellante nel territorio nazionale, la complessiva inattendibilità del racconto non dava adeguata contezza di uno sradicamento qualificato nel territorio di origine tale da configurare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro.

4. Per la cassazione della sentenza XXXX, ha proposto ricorso, affidato a due motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.; il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il ricorrente deduce come primo motivo la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, dell’art. 10 Cost., D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,7,14 e 17; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5) comma 6, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte d’Appello valutato compiutamente la situazione personale dell’odierno ricorrente e la documentazione prodotta in ordine alla situazione del Pakistan, per avere motivato in maniera generica ed insufficiente e, infine, per avere omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria. Lamenta che la Corte territoriale, nel negare il riconoscimento della misura di protezione sussidiaria nonché per contraddire il racconto offerto dal richiedente, avrebbe omesso il doveroso vaglio circa la sua credibilità soggettiva e avrebbe omesso di attivare i poteri ufficiosi necessari ad una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale in Pakistan. Sostiene altresì che la Corte d’Appello avrebbe limitato la propria indagine a fonti informative parzialmente non attuali interpretando non correttamente quanto dichiarato alla Commissione territoriale e senza tenere conto di alcune circostanze decisive per la decisione, quale la denuncia sporta nel settembre del 2015 dal padre del ricorrente (che produce).

6. Come secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione è apparente ordine alla valutazione di non credibilità da parte della Corte d’Appello sulla vicenda personale da lui narrata. Sostiene che sarebbe illegittimo il rigetto della richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria basato esclusivamente sulla non credibilità del racconto del richiedente. Sostiene che la reiezione di tale domanda non può essere frutto di un automatismo conseguente al rigetto delle due richieste principali, senza alcuna indagine sulle condizioni poste a base del peculiare soggiorno temporaneo, da rilasciarsi quando ricorrano gravi violazioni dei diritti umani, ancorché non sufficienti ad interare le condizioni per le altre forme di protezione.

7. Il primo motivo di ricorso non è fondato. Questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

8. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositiva, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

9. Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).

10. Nel caso, la Corte d’Appello ha compiuto il dovuto esame delle dichiarazioni del richiedente, vagliandole alla luce delle informazioni attendibili ed aggiornate relative al paese di provenienza, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicché la doglianza relativa alla necessità di procedere ad ulteriore cooperazione istruttoria officiosa costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

11. A tale proposito, occorre ribadire, come precisato da Cass. S.U. 07/04/2014, n. 8053 e 8054, che l’art. 360 c.p.c., n. 51, nella formulazione vigente, configura un vizio specifico denunciabile per cassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

12. Nel caso, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un documento, ovvero della denuncia sporta dal padre del 2015, e non di un fatto storico. Peraltro, neppure riferisce in quale momento e sede processuale tale denuncia sia stata prodotta, sicché la produzione effettuata in questo giudizio di legittimità risulta inammissibile ex art. 374 c.p.c..

13. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato. Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

14. La Corte d’Appello ha motivato il rigetto della domanda di protezione umanitaria sulla base della complessiva inattendibilità del racconto del richiedente, inidoneo a dare adeguata contezza di uno sradicamento qualificato nel territorio di origine, tale da profilare una specifica situazione di vulnerabilità in caso di rientro.

15. Tale soluzione si pone in contrasto con il principio affermato da questa Corte secondo il quale il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva e, se necessario, previa integrazione anche officiosa delle allegazioni del ricorrente, in applicazione del principio di cooperazione istruttoria, in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti (Cass. n. 10922 del 18/04/2019, Cass. n. 21123 del 07/08/2019).

16. Il giudice di merito, a fronte della documentata integrazione in Italia risultante dall’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avrebbe dovuto quindi valutare comparativamente la situazione cui incorrerebbe il richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, in relazione alla situazione ivi presente in tema di compromissione dei diritti umani fondamentali.

17. Segue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, e la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione che dovrà procedere a nuovo esame in coerenza con i principi esposti e dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

18. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

protezione internazionale: l'omosessualità del richiedente deve essere provata

31/03/2020 n. 7623 - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. – OMISSIS ricorre per un unico articolato motivo, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 28 maggio 2018 con cui la Corte d’appello di Ancona, pronunciando su appello dell’amministrazione ed in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale o umanitaria, in conformità con quanto aveva inizialmente fatto la competente Commissione territoriale.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7, 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis, e art. 27, comma 1, violazione e falsa applicazione dei suddetti articoli di legge anche quale conseguenza della violazione dell’art. 116 c.p.c., violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria.

Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che dalla sua stessa narrazione non potesse desumersi la condizione di omosessualità posta a fondamento della domanda di protezione, risultando che egli avesse intrattenuto soltanto due relazioni omosessuali, una in età adolescenziale, l’altra mercenaria. Il giudice di merito, inoltre, nel valutare come incongruente, generico e non credibile il racconto del richiedente, non aveva indicato le ragioni su cui aveva basato il proprio convincimento, nè aveva doverosamente proceduto a richiedere al medesimo gli eventuali chiarimenti ritenuti necessari. Parimenti, la Corte territoriale non avrebbe potuto porre in dubbio l’orientamento sessuale del richiedente per il fatto che, una volta stabilitosi in Italia, egli non risultava aver frequentato ambienti gay. Erronea, ancora, era l’affermazione contenuta in sentenza in ordine all’assenza di una prova documentale della condizione di omosessualità, con l’aggiunta, addirittura, che la narrazione svolta fosse priva di riscontro per la mancanza di prove “dell’esistenza di un eventuale procedimento penale nei suoi confronti, nè di attività di ricerca da parte della polizia del Gambia, nè di atti persecutori nei suoi confronti”. Infine la Corte d’appello avrebbe mancato di approfondire la situazione del Paese di origine.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – L’inammissibilità discende anzitutto dalla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente ha posto a sostegno del ricorso le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale, il provvedimento di quest’organo nonché le argomentazioni difensive rappresentate nell’atto introduttivo del giudizio di fronte al Tribunale: ebbene, nessuno di tali atti è “localizzato” (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475), ed anzi non risulta dal ricorso neppure che siano stati prodotti i fascicoli di parte delle fasi di merito.

L’assenza di tale documentazione, d’altronde, non rileva soltanto sul piano, peraltro insuperabile, dell’inosservanza dell’adempimento formale prescritto dalla norma, ma ridonda su quello contenutistico, giacchè la Corte di cassazione non è neppure posta in condizioni di scrutinare la doglianza del ricorrente, nel suo nucleo essenziale, laddove egli afferma che il giudice d’appello si sarebbe limitato a richiamare “quanto già dedotto dalla Commissione territoriale” ed avrebbe “completamente omesso di valutare le ragioni introduttive del giudizio e accolte dal Giudice di primo grado”.

2.2. – Il ricorso è inoltre inammissibile per violazione del numero 3 dello stesso art. 366 c.p.c., il quale richiede che il ricorso contenga a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Si è accennato che, nel caso in esame, il Tribunale aveva accolto la domanda del richiedente, accordandogli “lo status di rifugiato” (tanto riferisce il ricorrente a pagina 5 del ricorso). Orbene, nulla è detto in ricorso nè della domanda rivolta al Tribunale, nè del contenuto della decisione di quest’ultimo, nè del contenuto dell’atto d’appello dell’amministrazione, nè delle difese svolte dal OMISSIS, nè dell’eventuale riproposizione, da parte sua, di domande ed eccezioni non accolte ai sensi dell’art. 346 c.p.c.: sicchè questa Corte non è in grado di verificare se le questioni sollevate siano tuttora “vive”, ovvero – e questa è la essenziale ragione della previsione normativa – se si tratti di questioni coperte da giudicato o comunque abbandonate.

2.3. – In ogni caso il ricorso è inammissibile perché totalmente versato in fatto.

Nel motivo, difatti, non si discorre affatto del significato e della portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma solo della concreta applicazione che il giudice di merito ne ha fatto, ritenendo che la narrazione posta dal richiedente a fondamento della domanda fosse generica, scarsamente credibile e stereotipata.

Come è noto, infatti, dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va difatti tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

Ciò detto, vale osservare che la Corte territoriale, nel ritenere sostanzialmente implausibile la narrazione del richiedente, ha, contrariamente a quanto da questi sostenuto in ricorso, esplicitato le ragioni del proprio opinamento in modo sintetico, ma ben comprensibile. OMISSIS, difatti, aveva sostenuto di essersi sforzato di mantenere segreta la sua relazione omosessuale con un cittadino canadese, e, tuttavia, non si sa come, un mattino si erano presentati presso la sua abitazione uomini delle forze dell’ordine che avevano sparato a sua sorella ed arrestato la madre ed il cittadino canadese, mentre lui era immediatamente scappato: al che la Corte territoriale ha obiettato che siffatti eventi presupponevano la pendenza di un procedimento penale contro di lui, del quale non vi era invece alcuna traccia non solo documentale ma neppure narrativa. Quanto alla situazione del Gambia, la sentenza impugnata ha valorizzato la circostanza del giuramento del nuovo presidente del Paese, in data 18 febbraio 2017, e la sua promessa di democrazia, libertà, progresso e benessere, a chiusura della precedente dittatura. E proprio tale complessiva valutazione di merito il ricorrente ha inammissibilmente attaccato, con lo scopo di ribaltarla.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2020

bangladesh: la scarsa tutela del diritto alla salute nel paese di origine non giustifica il riconoscimento della protezione internazionale

18/03/2020 n. 7424 - Cassazione Civile - Sezione I

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata in data 22.05.2018, ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di XXXX, cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, di quella umanitaria.

Il giudice di merito ha ritenuto insussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria in relazione alla natura palesemente economica e privata della sua vicenda di emigrazione ed alla mancanza di credibilità del suo racconto con riferimento al dedotto timore per la sua incolumità personale in caso di rientro in patria (il richiedente aveva riferito di essere fuggito dal Bangladesh a seguito di dissidi con un vicino sul diritto di proprietà di un terreno, sfociati in episodi di violenza privata di cui era stato vittima e in minacce di morte da parte dello stesso vicino).

Ha proposto ricorso per cassazione XXXX affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il ricorrente che al medesimo non è stato chiesto dai giudici di merito alcun chiarimento, non sono state approfondite le dichiarazioni dallo stesso rese davanti alla Commissione territoriale, lo stesso non è stato posto, attraverso il suo ascolto, in condizioni di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni, deduzioni e mezzi istruttori.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973/2019).

Dunque, anche nell’ipotesi in cui manchi la videoregistrazione del colloquio (situazione neppure dedotta dal ricorrente), non sussiste l’obbligo del giudice di rinnovare l’audizione del richiedente, il quale, peraltro, nel caso di specie, neppure risulta aver chiesto di essere nuovamente ascoltato dai giudici di merito.

Infine, il ricorrente neppure ha indicato gli elementi fattuali sui quali avrebbe eventualmente dovuto vertere la nuova audizione.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello ha escluso la verosimiglianza del suo racconto senza approfondire ed analizzare la corrispondenza delle sue dichiarazioni.

Rileva, inoltre che la salute e l’accesso all’alimentazione sono considerati diritti inalienabili dell’individuo, avendo il richiedente diritto a che gli sia garantito un livello di vita adeguato per sè e per la propria famiglia laddove le condizioni sociali ed economiche del Pese di provenienza non consentano un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non è sufficiente la generica deduzione della violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine.

Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini, Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato ad invocare genericamente la scarsa tutela del diritto alla salute ed alla alimentazione nel suo paese d’origine senza specificare quale fosse la sua condizione personale al momento della partenza, se non che la sua immigrazione fosse stata dettata anche da motivi economici.

Infine, il ricorrente ha lamentato il mancato approfondimento delle sue dichiarazioni senza confrontarsi minimamente con le argomentazioni con cui la Corte di merito ha ritenuto l’inattendibilità del suo racconto.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’interno costituito in giudizio.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2020

costa d'avorio: minori non accompagnati e protezione internazionale

11/03/2020 n. 6913 - Sezione I

Fatto

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, Omissis, cittadino della Costa d’Avorio, ha adito il Tribunale di Catanzaro impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva narrato di aver lasciato il proprio Paese perchè perseguitato dagli spiriti che lo avevano morso a un piede cagionandogli una emorragia inarrestabile, guarita solo allorchè si era recato in Burkina Faso e di non poter tornare al proprio Paese perchè altrimenti si sarebbe di nuovo scatenata l’emorragia.

Con ordinanza del 15/5/2017 il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo al richiedente asilo il diritto a un permesso di soggiorno motivi umanitari.

2. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno è stato accolto dalla Corte di appello di Catanzaro, a spese compensate, con sentenza del 3/7/2018, a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso Omissis, con atto notificato il 4/2/2019, svolgendo un motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto
1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo della minore età del richiedente al momento dell’arrivo in Italia.

Secondo il ricorrente, la Corte era incorsa in contraddizione perchè aveva considerato la tenera età quale fattore di vulnerabilità (pag. 3, terzo capoverso, rigo 20) salvo poi contraddirsi nella valutazione in concreto di tale elemento.

La Corte di appello si era anche contraddetta laddove, dopo aver ricordato i presupposti della concessione della protezione umanitaria quale misura atipica e residuale di tutela di soggetti vulnerabili, non aventi titolo alla protezione internazionale, aveva ravvisato la genericità della motivazione della sentenza di primo grado e aveva dato rilievo ai fini del diniego ad elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il ricorrente era minorenne non accompagnato quando era pervenuto in Italia il 16/7/2015 e al momento della sua audizione personale (2/4/2016), anche volendo considerare attendibile la data di nascita del 2/2/1998 in luogo di quella (1/1/2000) riportata nel provvedimento di diniego della Commissione.

Il caso non era stato trattato in via prioritaria, come imposto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28, per i minori non accompagnati; d’altra parte, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, il ricorrente non era espellibile in quanto minore di anni 18.

Le varie circostanze rappresentate (aver lasciato il Paese di origine ed essere entrato in Italia da minorenne, aver ricevuto accoglienza quale minore non accompagnato; aver compiuto la maggiore età nelle more della domanda di asilo, aver allegato una situazione di forte indigenza e instabilità psicologica, aver svolto qualche lavoro con regolare assunzione) erano elementi che il Collegio non avrebbe dovuto trascurare e che sul presupposto di una particolare vulnerabilità del richiedente avrebbero dovuto giustificare il rigetto del gravame.

2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

3. Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato il principio che la protezione umanitaria si configura come misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Sez. 6 – 1, n. 23604 del 09/10/2017, Rv. 646043 02); il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018,Rv. 651579 – 03); la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Sez. 6 – 1, n. 9304 del 03/04/2019, Rv. 653700 – 01).

4. La Corte di appello ha escluso la situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente, riconosciuta invece dal Giudice di primo grado, negando rilievo alla minore età del B. al momento dell’arrivo in Italia, anche secondo la meno favorevole opzione (per vero motivata solo da uno sbrigativo “come è noto”) fra le due date di nascita alternativamente considerate (1/1/2000 e 2/2/1998).

Il ricorrente è arrivato, solo, in Italia il 16/7/2015; in data 22/12/2015 è stato accolto presso il Centro di Accoglienza di Petilia Policastro, come risulta dal decreto del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro del 5/1/2016; solo in data 12/4/2016 è stato sentito dalla Commissione territoriale, nonostante il disposto del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 18, che imponeva la trattazione prioritaria della domanda di asilo del minore.

Il giovane è quindi arrivato in Italia, ha proposto domanda, è stato accolto e sentito dalla Commissione Territoriale quando ancora era minorenne, pur secondo il calcolo più sfavorevole adottato dalla Corte di Appello.

Il minore rappresenta una categoria di soggetto vulnerabile come risulta da numerosi indici normativi: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1-bis, prevede che in nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati; il comma 2 della stessa lett. a), inoltre non consente l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1, nei confronti degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi; l’art. 19, comma 2-bis, include il minore fra le categorie dei soggetti vulnerabili, per i quali il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate, al pari delle persone affette da disabilità, degli anziani, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali.

D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, con espressa previsione di salvaguardia dei diritti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra, impone di tener conto, sulla base di una valutazione individuale, della specifica situazione delle persone vulnerabili, quali i minori, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, i minori non accompagnati, le vittime della tratta di esseri umani, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

Il successivo comma 2-bis richiama l’attenzione sulla necessità di considerare con carattere di priorità il superiore interesse del minore.

D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 19, prevede che al minore non accompagnato che ha espresso la volontà di chiedere la protezione internazionale sia fornita la necessaria assistenza per la presentazione della domanda e sia garantita l’assistenza del tutore in ogni fase della procedura per l’esame della domanda, secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 5.

Se sussistono dubbi in ordine all’età, il minore non accompagnato può, in ogni fase della procedura, essere sottoposto, previo consenso del minore stesso o del suo rappresentante legale, ad accertamenti medico-sanitari non invasivi al fine di accertarne l’età. Se gli accertamenti effettuati non consentono l’esatta determinazione dell’età si applicano le disposizioni del presente articolo.

Il minore partecipa al colloquio personale secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 3, e gli deve essere garantita adeguata informazione sul significato e le eventuali conseguenze del colloquio personale.

5. La Corte catanzarese, in riforma della decisione di primo grado, ha attribuito valore decisivo alla sopraggiunta maggiore età del ricorrente, senza tener in alcun conto che anche secondo il conteggio più sfavorevole ciò era avvenuto ben dopo l’arrivo in Italia e la richiesta di protezione, in virtù di un automatismo matematico, del tutto indifferente ai tempi del procedimento che non possono essere imputati al richiedente asilo e al parametro di prioritaria trattazione sancito dalla legge.

In siffatto contesto la Corte ha anche ignorato la circostanza dell’assunzione del giovane a tempo determinato, rilevante ai fini del giudizio comparativo, documentata in secondo grado, per rimarcare la mancanza di qualsiasi allegazione di elementi di integrazione lavorativa.

5. In ragione dell’accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con il rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

richiesta di protezione internazionale: il giudizio sulla credibilità del racconto non può fondarsi su considerazioni generali o astratte

20/02/2020 n. 4357 - Sezione I

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano Omissis.

A sostegno della decisione ha ritenuto non verosimile il racconto narrato. Il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso da un gruppo terroristico sunnita che, in un assalto presso la sua abitazione durante una cerimonia religiosa, aveva ucciso molti partecipanti alla stessa. Secondo il Tribunale, il racconto è generico perchè “elenca più che descrivere i gravi fatti posti a sostegno del suo espatrio”. Nessuno degli eventi è stata narrato in modo circostanziato. La documentazione prodotta non è di provenienza certa. E’ inverosimile, infine, che il richiedente chè abbia lasciato in patria la moglie ed I figli minori.

Tale valutazione negativa ha portato ad escludere la sussistenza dei requisiti per il rifugio politico e la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla lettera c), dalle fonti consultate, è emersa una situazione critica in Punjab sia in relazione ai conflitti etnici e politici che, in particolare, a quelli religiosi anche in relazione agli attacchi terroristici. Tuttavia questi ultimi sono in calo anche se perdura una situazione d’instabilità creata dalla presenza sul territorio di gruppi affiliati all’IS e dalla presenza di gruppi radicali. Complessivamente però, si può escludere che la regione stia vivendo una situazione di violenza indiscriminata.

In relazione alla protezione umanitaria incide sulla valutazione d’infondatezza il difetto di credibilità e la persistente condizione di clandestinità del richiedente.

Viene proposto ricorso per cassazione dal cittadino straniero. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Sono, preliminarmente, sollevate eccezioni d’incostituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, lett. g) in relazione all’introduzione del rito camerale; della previsione di un termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato e della prescrizione secondo la quale la procura speciale per proporre ricorso per cassazione deve essere conferita successivamente alla comunicazione del decreto impugnato.

Le eccezioni sono manifestamente infondate secondo il costante orientamento di questa Corte così massimato:

in relazione al rito camerale:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.(Cass. 17717 del 2018).

In relazione al termine perentorio di 30 giorni.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento. (Cass. 17717 del 2018; 28119 del 2018).

In relazione alla peculiarità del regime della procura speciale nel giudizio di legittimità:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Cass. 17717 del 2018).

Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere il Tribunale escluso l’esame dei riscontri documentali offerti dalla parte perchè non di provenienza certa così da ritenere che i fatti narrati non fossero circostanziati.

Nel secondo motivo il vizio di violazione di legge è rappresentato in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25 e dell’art. 25 della Convenzione di Ginevra del 1951 dai quali si trae il principio della non compulsabilità delle autorità straniere a fini probatori quando si ritenga che tale attività possa danneggiare il richiedente perchè direttamente od indirettamente responsabili dei fatti narrati.

Nel terzo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 perchè il Tribunale nell’affermare la non veridicità dei fatti narrati non ha applicato i criteri di credibilità indicati dalla norma, in particolare in relazione al giudizio di non valutabilità delle prove offerte.

Nel quarto motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato non essendo stata esaminata dal Tribunale la condizione di perseguitato per motivi religiosi rappresentata dal richiedente.

I primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente ed accolti per quanto di ragione.

Il tribunale ha ritenuto che i fatti narrati dal ricorrente ancorchè “estremamente gravi” non sono stati riferiti in modo circostanziato. I documenti prodotti non costituiscono un supporto a tale deficit perchè non di provenienza certa e le dichiarazioni rese in udienza sono state confermative delle dichiarazioni rese.

La credibilità delle dichiarazioni del richiedente protezione internazionale deve essere valutata alla luce del paradigma stabilito nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e con una giustificazione argomentativa fondata sull’esame concreto delle dichiarazioni rese e non invece su valutazioni astratte. Il giudizio si deve fondare, perchè così richiesto dalla norma, sull’esame effettivo dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni anche in relazione agli sforzi allegativi e probatori del richiedente. E’ da escludere il rilievo ai fini della credibilità intrinseca della conformità delle produzioni documentali ai criteri processuali interni di ammissibilità. La documentazione deve essere “pertinente” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) ma non corredata da particolari attestazioni di conformità all’originale, salva l’evidente e motivata falsità riscontrata o la mancanza dei requisiti minimi perchè quanto prodotto possa essere valutato come documento. Non può pertanto escludersi la ricorrenza del requisito stabilito nel comma 5, lettera a), dell’art. 3 sopracitato ovvero lo sforzo di circostanziare i fatti quando sia stato fornito un supporto documentale preciso (cfr. elenco documenti indicati in ricorso, riprodotti ritualmente) e pertinente omettendo di verificarne la rilevanza sulla base di una valutazione del tutto generica di non utilizzabilità.

Si deve aggiungere che la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 si riscontra anche in relazione agli indici di cui alle lettere b) e c). Non è stato valutato se il richiedente abbia fornito tutti gli elementi pertinenti in suo possesso prima di formulare, nonostante i documenti prodotti, una valutazione d’insufficiente specificazione dei fatti e non è stata neanche adombrata l’incoerenza e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese (lettera c), salvo il richiamo all’aver lasciato la moglie ed i figli minori in Pakistan. Tale indicazione nella tessitura argomentativa della pronuncia impugnata non ha autonomo rilievo ed è stata valutata unitamente al profilo di rilevanza, ritenuta nettamente prevalente, costituito dalla mancanza di riscontri probatori così da escludere che i fatti esposti potessero essere circostanziati.

Sull’obbligo giuridico, scaturente dall’art. 3, di valutare le produzioni documentali, secondo un criterio di pertinenza e non con criteri formalisticamente ispirati ai principi interni in tema di tipicità della prova ed ammissibilità delle produzioni documentali si richiama Cass. 255534 del 2016, così massimata:

“In tema di riconoscimento dello “status” di rifugiato politico o della protezione internazionale, in presenza di eccezioni di contestazione della conformità dei documenti prodotti dal richiedente agli originali e di sostanziale credibilità delle sue dichiarazioni, non opera il tradizionale principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, ma il giudice – prescindendo da preclusioni o impedimenti processuali – ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, se del caso utilizzando canali diplomatici, rogatoriali ed amministrativi, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato la protezione sussidiaria ad un cittadino nigeriano limitandosi ad evidenziare l’inverosimiglianza delle allegazioni, la mancanza di riscontri probatori ed il difetto di autenticità dei documenti prodotti, nonchè abbandonandosi a facili espressioni dubitative in relazione ai fatti narrati, senza assumere alcuna posizione di esame attivo).

Sul rispetto della procedimentalizzazione della credibilità si richiama Cass.26921 del 2017, così massimata:

“In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’ autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale.

Sull’illegittimità di una valutazione di credibilità che si fondi sulla mancanza di riscontri probatori si richiama Cass. 19716 del 2018, così massimata:

“In tema di protezione sussidiaria, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto. (Nella specie, la S.C., ha cassato la sentenza con la quale era stato rigettato il ricorso avverso il diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria, avendo il tribunale ritenuto, senza alcun approfondimento istruttorio, che il timore di danno grave dedotto dal richiedente fosse esclusivamente soggettivo in quanto privo di riscontri obiettivi, e il pericolo non fosse più attuale.)

Il tribunale di Venezia non ha fatto buon governo dei principi interpretativi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sopra richiamati, incentrando il giudizio di non credibilità” su valutazioni astratte e generali, non rivolte al contenuto delle dichiarazioni rese ed alla qualità intrinseca delle stesse rispetto alla situazione oggettiva narrata, non valorizzando lo sforzo di allegazione e prova profuso dal richiedente in ossequio alla prescrizione contenuta nella norma, così da svalorizzare la produzione documentale sulla base di una valutazione negativa fondata sulla mera mancanza di requisiti formali sulla pertinenza della stessa.

All’accoglimento dei primi quattro motivi consegue assorbimento dei rimanenti. Il provvedimento deve essere, in conclusione, cassato con rinvio al giudice del merito in diversa composizione perchè provveda anche sulle spese del presente procedimento.

PQM

Accoglie i primi quattro motivi, assorbiti gli altri, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese processuali del presente procedimento, al Tribunale di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020